I grandi maestri come Stanley Kubrick ci presentano i loro capolavori e ci sfidano a interpretarli, più o meno consapevolmente.
Ed eccomi qui di fronte a questo film assolutamente unico e straordinario come 2001 Odissea nello Spazio a offrire qualche mia piccola osservazione in mezzo a una quantità di interpretazioni molto più qualificate della mia, ma tant’è stiamo al gioco e giochiamo.
Cominciamo con i ricordi, quei ricordi che anche Hal, la macchina, possiede, che affiorano con il suo spegnersi (la vecchiaia) e che la umanizzano quando racconta quando è stata costruita, chi l’ha costruita, la canzoncina che cantava da …piccola.
Per quanto mi riguarda ricordo che la prima volta in cui vidi Odissea al cinema alla sua uscita in sala fui colpita da un film di cui capii pochissimo, ma rimasi emozionata (sì le emozioni) dalle scene nello spazio e dalla musica. Ne rimasi così presa da ritornare a rivederlo dopo pochi giorni con alcune mie amiche, spinte dalla mia insistenza. Un flop totale, si annoiarono, mi chiesero che cosa avessi trovato nel film. Sinceramente non seppi rispondere, dissi solo che il film mi aveva fatto sentire delle emozioni.
Nella stessa ricerca del significato del monolito, cercandone un’interpretazione, mi ha colpito un’osservazione del maestro a proposito di questa straordinaria essenza “la verità di una cosa sta nel sentirla non nel pensarla.”
Una spinta, forse, a non interpretare ma a prendere il monolito per quello che è, che risuona in ognuno di noi, nel cuore più che nel cervello, un momento emotivo.
In questa affascinante ricerca dei significati ecco intervenire Andrea Chimento che collega nel finale del film lo sguardo in macchina del feto(?) con l’iniziale sguardo in macchina di Alex in Arancia Meccanica, uscito tre anni dopo 2001. Un altro spunto affascinante.
Lo sguardo è veramente straordinario, nella sua tenerezza che colpisce nel profondo. E allora non è forse meglio prendere questo sguardo per la ricchezza di emozioni che ci suscita piuttosto che cervelloticamente cercare una “spiegazione” più o meno razionale per cercare di “capire”?
Come sosteneva anche, a volte scherzosamente, Kubrick è difficile “capire” un film alla prima visione. Per questo lo vediamo e rivediamo. Ma a volte, io aggiungo, per capire qualcosa forse non è necessario capire con la testa. “I can feel it”, dice Hal, la macchina.
Per questo penso che la grandezza dei film come Odissea consista nell’essere sempre attuali nella loro capacità di emozionarti, a seconda del momento in cui lo vedi, momento psicologico o temporale che sia.
L’ultima volta in cui l’ho visto, al cinema, nel 2018, restaurato, io diciamo “diversamente giovane”, ma non il film, ho riprovato ancora emozioni forti questa volta nel momento della solitudine dell’interprete invecchiato.
E credo che anche Kubrick come pochi altri grandi maestri abbia saputo parlare egregiamente della vecchiaia e della sua solitudine, in questo caso in uno spazio prospettivamente asettico come quello dell’astronave.
Anche questa volta ricordi, emozioni, vecchiaia, un tutt’uno in un capolavoro eterno di un genio come Stanley Kubrick.
Serena