Movie Posters

I prodotti nazionali saranno magari afflitti da budget sempre molto misurati, ma questo non scusa l’effetto generalmente deprimente delle locandine cinematografiche. Negli Stati Uniti il visual di un film precede addirittura l’inizio delle riprese, mentre in Italia spesso è l’ultima cosa ad essere approntata in fretta e furia quando ormai si è già alla stampa delle copie.

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A seconda degli obblighi imposti dagli agenti dei vari attori ci sono differenti stili di locandine. Quando il produttore è contrattualmente molto potente il visual può limitarsi ad esempio ad un solo grande logo. Un unico simbolo che racchiude tutto il film. Si pensi ad esempio a “X Men – Conflitto Finale” (2006) il terzo film della prima serie. La Fox inizialmente fece circolare una locandina dove non compariva neppure uno di pur cotanto celebri attori.

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Il manifesto di “Interstellar” di Christopher Nolan presenta invece l’attore principale Matthew McConaughey a figura intera, vestito con la tuta spaziale, in un ambiente polare. Eppure non mancano certo altri attori di rilevo come il premio oscar Anne Hathaway, Matt Damon, Michael Cane o Jessica Chastain (scritti volutamente in violazione al billing block con cui appaiono sul poster per rendere omaggio ad un grande del cinema ancora orfano di un oscar). Come accennato è dovuto alla potenza delle major in fase di casting, nel senso  che possono imporre certe linee grafiche forzando i desiderata degli attori. In soldoni significa che quando paghi 5 milioni di dollari una Hathaway per fare un film puoi magari negoziare con il suo agente affinché non compaia per forza sul poster.

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Il caso di “Un Diavolo Veste Prada” è diverso ed il visual è stato probabilmente sviluppato prima che il casting fosse definito, così che a posteriori è stato necessario inserire delle faccine lassù in alto con un effetto poco accattivante.

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Noi italiani il più delle volte scontorniamo le figure dei personaggi principali e li incolliamo su di uno sfondo bianco. Spesso le immagini sono pure scontornate male e danno l’impressione dei “trasferelli” degli anni settanta, con un effetto di pochezza di mezzi e di idee che se non fosse tragica, farebbe ridere. Un cliché intramontabile che si perpetua oramai da prima del Ciclone e sino ai giorni nostri. Praticamente si tratta del massimo del minimo.

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Per fortuna ci sono anche esempi positivi che depongono a favore della nostra creatività che è limitata forse dai mezzi e dalla scarsa professionalità di quelle produzioni che hanno un’idea molto semplicistica del film inteso anche come prodotto commerciale. Citiamo Perez ad esempio positivo di come non è il concetto generale di scontornare immagini su sfondo bianco ad essere banale, ma è il modo in cui si fa.

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Altro guizzo nostrano che sta alla pari con gli standard oltreoceano  è il caso di “Lo Chiamavano Jeeg Robot” con un corredo grafico studiato accuratamente così come del resto il film a cui è dedicato e che forse non a caso è stato uno dei più fortunati titoli italiani dello scorso anno. E invece forse no, soprattutto se si considera che le locandine dei block buster di Checco Zalone seguono pedissequamente lo stilema del cartellone tipico della commedia italiana cui si accennava prima. Quello che sembra realizzato da qualche cugino grafico che si vuol far lavorare per forza indipendentemente dal talento. Invece forse, dopo tutto, c’è una chiave estremamente funzionale in questo italianissimo stile che andrebbe studiata ed approfondita. D’altro canto nel commercio non è bello ciò che piace ma ciò che incassa.

Drammaturgia a 360 gradi

Le sfide della narrativa omnidirezionale. Un articolo scritto da Guto Aeraphe, filmmaker brasiliano e tra i pionieri delle produzioni video a 360 gradi.

Parte fondamentale di qualsiasi progetto audiovisivo è la scelta e la pianificazione delle inquadrature che si terranno in ogni scena. Non c’è bisogno di discutere qui circa l’importanza di scegliere la giusta inquadratura per ogni fase del film o del video. Lo scopo di questo articolo è proprio il modo in cui dobbiamo ripensare questi concetti tradizionali di linguaggio cinematografico, partendo da una prospettiva in cui è lo stesso spettatore a controllare il suo il punto di vista. In pratica il regista dovrebbe prendere in considerazione l’inquadratura tenendo conto che lo spettatore sarà libero di guardare quello che vuole nella scena e anche al di fuori di quella scena così come il regista la immaginata.

La prima cosa che cambia quando si pensa di un progetto ove riprendiamo scene a 360° è che non dobbiamo più pensare a quale parte dell’immagine mostreremo allo spettatore sullo schermo, ma dove posizioneremo lo stesso spettatore dentro alla scena.

Partendo da questo presupposto dobbiamo prendere in considerazione un paio di cose come, ad esempio, quale tipo di sensazione di immersione vogliamo dare al nostro pubblico? Fino a che punto lo faremo sentire parte della scena che sta guardando? O lo faremo divenire solo un osservatore passivo e distante? Ricordate che tutte le buone sceneggiature che prevedano una esperienza immersiva a 360° devono contenere i seguenti elementi:

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Quadri e Piani sequenza

Per definizione, un quadro è un particolare “pezzo” di spazio/tempo che sommato agli altri quadri crea la narrazione filmica necessaria alla comprensione dello spettatore. Attraverso, ma non solo, di esso guidiamo lo sguardo dello spettatore da questo a quel punto determinato dal regista. Tradizionalmente i piani possono essere esemplificati nelle tre immagini qui sotto.

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Ma quando lavoriamo con un file a 360 gradi, un frame esportato è simile a questo:

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Quindi come possiamo identificare e applicare i concetti tradizionali di inquadratura nella creazione di un filmato in cui tutto il set è esposto? Non c’è dubbio che la pianificazione deve essere molto meticolosa quando si girano video a 360 gradi. È necessario pensare, per esempio, che non esiste una scelta di ottiche, poiché la maggior parte delle videocamere predisposte per questo tipo di riprese ha angoli vicino 160 °, poco più o poco meno a seconda delle apparecchiature. Da subito possiamo poi immaginare che un primissimo piano è un tipo di inquadratura da usarsi con molta cautela, poiché la distorsione del volto dell’attore o dell’oggetto scenico è molto grande, inoltre, possiamo dire con quasi totale certezza che la “risorsa estetica” della profondità di campo nei video a 360 gradi non esiste.

La regola dei terzi (?)

Tradizionalmente nei film usiamo la famosa “regola dei terzi” che ci guida nel posizionamento degli elementi sulla scena. Ma funziona in video a 360 gradi? La risposta è no!

Immaginiamo una certa inquadratura. Il regista posiziona la telecamera e gli attori all’interno di spazi definiti nel rispetto delle regole e di tutto ciò che accadrà in tale contesto. Ora pensate che, al momento della registrazione, il regista consegni il comando della videocamera allo spettatore e lo lasci libero di guardare quello che vuole nella scena. Questo è esattamente ciò che accade nei video a 360 gradi. Questa libertà dello spettatore pone fine al fatto di poter/dover rispettare la regola dei terzi e porta un lavoro extra per l’ intera equipe che deve lavorare pensando che l’intero set è inquadrato dalla telecamera. Così, quando si lavora con video 360°, vi suggerisco di pensare diversamente, pensate alla “regola dei quadranti.” Ecco come appare…

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Per far funzionare la disposizione degli elementi dell’inquadratura è necessario che in fase di editing si scelga il il punto centrale dell’orizzonte dell’immagine panoramica con il rischio che, quando visualizzato, la guida sia in contrasto con il quadrante che abbiamo prima mostra al nostro pubblico. Inoltre, il movimento della videocamera sulla la scena è fondamentale per dare drammaticità e guidare gli occhi di coloro che stanno guardando il filmato.

Si noti che nella figura seguente, i quadranti A, B e C hanno la stessa dimensione, mentre D1 e D2 sono più piccoli. Questo poiché ciascuno è la metà di un quadrante completo. Ricordatevi che stiamo parlando di una forma sferica e non piana, come avviene nelle zone di ripresa tradizionali.

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Inquadrature

Un altro grande problema per i nuovi produttori di drammaturgia a 360° è la scelta delle inquadrature. Abbiamo visto che, presupponendo che la telecamera sia “controllata” dallo spettatore, sono principalmente gli attori che si muovono verso o meno la videocamera. Vedremo nelle immagini qui sotto in che modo si dispongono i vari tipi di inquadratura appliate a questo nuovo concetto immersivo, ovvero utilizando la “regola di quadranti”.

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Si noti che la terminologia utilizzata è diversa da quello tradizionale. Dato che è difficile determinare quale sarà l’inquadratura reale di un video a 360°, ho scelto di usare la parola “ZONE” al posto di “PIANO”, perché credo esprima meglio il concetto e faciliti la comprensione.

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Movimento della Telecamera

Un punto che ha ancora bisogno di evolversi tecnologicamente è quello del movimento della telecamera all’interno delle scene di film a 360°. Ricordate sempre che la videocamera è lo spettatore e che lo stiamo letteralmente mettendolo dentro alla scena. Così, quando si sposta la telecamera stiamo anche muovendo lo spettatore stesso.

Attualmente il modo più efficace per spostare la telecamera all’interno del set è attraverso una serie di cavi aerei come quelli utilizzati nelle apparecchiature chiamate “Skycam” o “Spidercam”. Tuttavia sono ancora tecnologie molto restrittive, quasi insostenibili per piccoli e medi produttori o filmmaker. Ciò non impedisce che la creatività di questi registi affiori e crei i più disparati modi per mettere la telecamera in movimento dentro ad una scena.

Indipendentemente dalla tecnologia o dal metodo utilizzato, occorrerà comunque ricordare che questo movimento dovrebbe avvenire solo in avanti o indietro, o su e giù, sempre dolcemente e mai rapidamente. Fare poi attenzione quando si sposta la fotocamera sul proprio asse (a destra o a sinistra), farlo solo se strettamente necessario e sempre molto delicatamente.

Questo perché una panoramica improvvisa o un continuo movimento può confondere lo spettatore e generare disagi fisici che possono raggiungere anche nausea e vomito. L’esperienza di uno spettatore in un video a 360 gradi è di sicuro immersiva n modo tale da avere anche qualche “effetto collaterale” se il filmmaker non pone attenzione a questi nuovi concetti di ripresa.
Il Suono

Una delle “armi” più efficaci per una completa immersione in un video 360° è l’uso corretto del suono. È un elemento importante nel condurre lo spettatore all’interno dell’inquadratura della scena. Ma attenzione,non solo il suono deve essere stereo o in formato 5.1 ma sarà necessario utilizzare la recente tecnologia di “suono spaziale”, che funziona più o meno come il nostro orecchio.

Si consideri il seguente esempio. In una particolare scena lo spettatore sta guardando il movimento di fronte a lui. Improvvisamente un suono alla sua sinistra attira l’attenzione. In una pellicola tradizionale, il regista può muovere la telecamera a sinistra o fare un cut verso un altra inquadratura che mostri allo spettatore l’elemento che ha attirato l’attenzione sulla sinistra del movimento precedente. Ma il suono ha cambiato il canale (la sua posizione), perché ora l’elemento è proprio di fronte allo spettatore.

Nei film a 360° è complicato poter utilizzare questa funzione dal momento che non vi sono cut e quando lo spettatore si girerà alla propria sinistra il suono lo accompagnerà, facendo si che l’elemento che ora sarà di fronte allo spettatore avrà il suono posizionato a sinistra. Non solo! Dobbiamo prendere in considerazione che lo spettatore potrebbe decidere di non guardare a sinistra, ma a destra. Quindi, se non avete accesso alla tecnologia spatial sound, vi consiglio di tenere i due canali con gli stessi suoni e utilizzare elementi visivi per guidare lo sguardo dello spettatore ai punti di interesse della scena. Il grafico qui di seguito vi mostra quel che intendo…

SUONO

Conclusioni

Non c’è dubbio che tutto questo è un punto di svolta nei concetti di processi così ben definiti come quelli della narrazione cinematografica. Ma dobbiamo ricordare che le nuove tecnologie e i nuovi consumatori stanno trasformando il nostro rapporto con le storie raccontate attraverso immagini in movimento. Tutto questo all’interno di un processo che, al di la dei riferimenti storici dell’arte fotografica e cinematografica, sta diventando sempre più individualizzato e personalizzato.

Così occorre ripensare la costruzione delle panoramiche, delle scene, delle inquadrature. Non bisogna chiedersi più “dove per metto la camera?”, ma “dove devo mettere il mio spettatore nella scena?”. E per questo, quando si pensi che il tuo progetto cinematografico a 360 ° fare un bilancio di chiave “quattro forze” per il successo del loro lavoro. Essi sono narrazione, gamification, progettazione di interfacce (gli anglosassoni le chiamano G.U.I. graphical user interface) e le reti sociali che saranno prossimamente oggetto di un altro articolo.

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Fino a ieri era comune per le persone dire “Ho amato quella scena.” Ora diranno “Mi sentivo come se fossi dentro a quella scena”. E’ meglio che noi filmmaker e produttori ci abituiamo a questo.

Chi l’Autore di questo articolo…

Guto Aeraphe è regista e sceneggiatore laureato in Comunicazione Sociale con Specializzazione in Creazione e Produzione di Media Elettronici presso l’Università di Belo Horizonte (UNI-BH) in Brasile. Crea audiovisivi dal 1997. E ‘stato docente di Fotografia, Audiovisivi e Cinema presso alcune facoltà di Minas Gerias. E’ l’autore del libro “Webseries – Creazione e sviluppo”. Con le sue produzioni ha partecipato ai principali festival internazionali di produzioni transmediali come il Festival di Los Angeles negli Stati Uniti e di Marsiglia in Francia. Attualmente è founder e CEO dell’internet channel Webseriados.tv e del progetto CineVirtual.net.

Info/Contatti per produzioni e co-produzioni con Guto Aeraphe: info[at]triaveo.com

FONTE / ARTICOLO ORIGINALE: Sito Web Guto Aeraphe