I FIGLI DELLA NOTTE

Opera prima di Andrea De Sica, classe 1981 e figlio d’arte del compositore Manuel De Sica e della produttrice Tilde Corsi, nonché nipote del grande Vittorio De Sica, il film narra di un collegio per giovani rampolli dell’alta società, una generazione destinata un giorno a succedere nella gestione delle aziende di famiglia. La scuola è isolata, senza internet e social media, nello splendido paesaggio delle dolomiti e la disciplina è eguagliata soltanto dal controllo ossessivo e puntuale dei tutori. La trama è incentrata sulle vicende di Giulio, interpretato da Vincenzo Crea, abbandonato da una madre lontana, troppo giovane per ricoprire il suo ruolo e troppo impegnata in azienda per accorgersi degli effetti di ciò sul proprio figlio. Giulio è spaesato e non lega con nessuno tranne che con Edoardo (Ludovico Succio), con il quale condivide un’analoga storia di anafettività dei genitori. Edoardo è però uno spirito più ribelle ed intraprendente di Giulio e lo coinvolge in fughe serali fuori dall’istituto dove poco distante c’è un locale a luci rosse. Durante queste sortite notturne Giulio incontra una giovane prostituta slava (Yuliia Sobol) della quale s’innamora ed intesse con lei una relazione che sconvolgerà i già fragili equilibri emotivi dei due giovani.

Andrea De Sica a destra e Vincenzo Crea sul set del film
Andrea De Sica a destra e Vincenzo Crea sul set del film

E’ una denuncia aperta al cinismo ed al vuoto di valori di una certa classe dirigente. La vicenda narrata è naturalmente un’iperbole e in questo sta proprio il limite del film, ovvero risulta essere una storia puntuale che stenta ad assumere significati più generali e francamente non si riesce ad appassionarsi alle disgrazie di questi poveri ricchissimi che proprio vicino al college di lusso c’è perfino il bordello raggiungibile a piedi e frequentabile da minorenni con buona pace per le forze dell’ordine. Buona prova di recitazione degli attori principali, mentre non convince la regia di Andrea De Sica, giovane ma non giovanissimo, che ha partecipato anche alla sceneggiatura. Personaggi sfumati, ignorati per tutto il film, assumono nel finale un’importanza che non si spiega. I toni del genere horror sottolineano forse il turbamento interiore dell’adolescenza abbandonata a sé stessa, ma il massiccio ricorso a tali stilemi invade la struttura del racconto e ne svia il focus dal tema principale.

Vincenzo Crea a sinistra e Ludovico Succio a destra
Vincenzo Crea a sinistra e Ludovico Succio a destra

Complice la competente direzione della fotografia di Stefano Falivene, il regista da prova di conoscere tutti gli stili di inquadratura e forse ne usa un po’ troppi. Si riconoscono evidenti omaggi tra i cui più popolari spicca Kubrick, ma non emerge uno stile originale e l’impressione finale che se ne ricava è di assistere ad una prova di esame su di un’antologia di inquadrature. In conclusione si tratta di un film che soffre dei malanni di molte opere prime, senza contenere per contrappeso i semi di un futuro migliore. Una storia che guarda ad un mondo con un angolo troppo acuto per suscitare l’interesse della gente comune afflitta da mali di ben altra magnitudine. Un film per pochi ricchi, fatto con potenti mezzi (infatti è co-prodotto da RAI, con finanziamento del MIBACT e della film Commission Trentino, una regione che non ci fa certo una bella figura nella trama del film), messi a disposizione di chi forse il film poteva anche farselo da solo.