Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali

L’ultima volta, nel 2015, avevamo visto Tim Burton cimentarsi con un dramma amoroso e artistico in “Big Eyes“. Tematiche e suggestioni più “adulte”, lontane dai mondi fantastici a cui Il regista di Burbank ci ha abituato. Con “Miss Peregrine – la casa dei ragazzi speciali“, Burton ritorna ai temi e alle visionarietà a lui così familiari e care. Ispirato al primo di una trilogia di opere di Ransom Riggs, la storia ruota attorno al sedicenne Jacob (Asa Butterfield) e una casa misteriosa sospesa nel tempo che custodisce bambini “peculiari” ovvero con doni speciali non sempre gestibili. A governare la casa, una tata premurosa e magica che all’occorrenza può assumere le sembianze di un falco pellegrino blu, da qui il nome Miss Peregrine interpretata dalla magnetica Eva Green, già creatura stregata da Burton in “Dark Shadows“.
La dimora che ospita i bambini e la loro istitutrice è intrappolata in un anello temporale costringendoli a vivere all’infinito lo stesso giorno, come congelati nella loro età e innocenza. La tata protegge i bambini dai pericoli del mondo e da i cosiddetti spiriti vacui, capitanati da Samuel L.Jackson, creature avide di immortalità senza occhi che vogliono nutrirsi di quelli dei bambini e per questo danno loro la caccia.
Chi ama l’arte di Burton può individuare nel film tutti gli elementi tematici e visivi della sua poetica, non semplicemente disseminati ma integrati perfettamente e immersi nel tessuto filmico. È come se il regista si ponesse anche da spettatore in un atto contemplativo della sua arte.

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Tim Burton è in ogni singolo fotogramma di questa pellicola: c’è il nonno affabulatore che richiama Edward Bloom di “Big Fish“, le creature peculiari che hanno attraversato tutta la sua filmografia, le sculture di “Edward Mani di Forbice“, la mansion di “Dark Shadows“, i puppets in stop motion, il luna park di “Frankenweenie“, gli scheletri alla Jack Skellington, persino gli scoiattoli di “Charlie e la fabbrica di cioccolato“. E non solo questo. In esso convergono tutti i riferimenti chiave della cinematografia del regista, Ray Harryhausen in primis con la danza degli scheletri.
I peculiar children si configurano come degli X Men ante litteram, Miss Peregrine è una sorta di Mary Poppins più dark mentre i cattivi “spiriti vacui” ricordano i Dissennatori di Harry Potter.

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Le scene del film gravitano attorno agli universi immaginifici di Burton, popolati da strane creature e paesaggi sospesi tra sogno e realtà, magistralmente rappresentati dalla fotografia di Bruno Del Bonnel. Come spesso accade nelle opere burtoniane la spettacolarità della visione non è controbilanciata da una sceneggiatura altrettanto brillante.
Il libro di Riggs, puntualmente riproposto da Tim eccetto che nel finale, si rivela materia troppo complessa da essere sviscerata in due ore di film, penalizzando i personaggi e le loro peculiarità che restano in superficie, seppur incantevoli.
Da gustare un cameo di Tim Burton e la colonna sonora di Florence and the Machine (Wish that you were here), al cui testo pare abbia collaborato lo stesso regista.

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Burton in questo film fa quello che gli riesce meglio: trasfigura il reale attraverso lo sguardo incantato di un bambino…speciale.
Nel film uno dei ragazzi peculiari ha il dono di proiettare attraverso i suoi occhi i suoi sogni e quelli degli altri. Credo che questo sia l’elemento più autoreferenziale del film: quel bambino è Tim Burton.

Maria Cristina Locuratolo