L’ATTESA

La serialità che ha invaso le nostre piattaforme di riferimento, e che ha conquistato spazi e successi, in realtà ha antenati illustri.

Difficile immaginare la folla a New York che aspettava in porto la nave e la nuova puntata dei racconti di Dickens, ormai romanziere sulla strada di diventare famoso. Difficile pensare che Dostoevskij e Tolstoj pubblicassero i loro complessi e affascinanti romanzi a puntate: eppure quello che all’inizio era un sistema usato dagli scrittori per guadagnare un po’ di soldi frazionando l’impegno, ed un’intuizione di editori intelligenti e pratici per irretire i lettori, divenne poi una modalità commerciale ed una strategia di vendita. Grandi, straordinari scrittori creavano l’attesa.

Ai giorni nostri quello che era il format degli sceneggiati classici è stato ripreso ed adattato, al punto che il racconto frazionato prosegue di puntata in puntata, quasi senza fine, e viene somministrato ai poveri utenti in un’unica soluzione, senza attesa, permettendo che le puntate vengano viste una dopo l’altra senza soluzione di continuità, da una ricerca bulimica di saturazione.

Il racconto, così centellinato, diviene la risposta all’attesa delle persone, e così facendo l’attesa diventa la “mano invisibile” che guida gli scrittori verso un risultato gradito e popolare.

La nostra fiction ha avuto anche forti contrazioni durante gli anni nei quali la moltiplicazione delle storie e delle interpreti era più importante del racconto. Le miniserie in due puntate, volute fortemente dal direttore della fiction Saccà, nonostante non incontrassero i favori degli acquirenti esteri, gli risolvevano un problema di piazzamento di registi e di attrici che era il suo cruccio principale. Rispetto alla lunga serialità di Stefano Munafò, cui si devono i grandi successi del maresciallo Rocca e di Montalbano e non solo, le miniserie trasmesse domenica e lunedì sera rappresentavano l’uscita del prodotto italiano dal mercato europeo, e la trasformazione della serialità in TV movie di insolita lunghezza e totale modestia.

Netflix, la piattaforma definita, dalla Guardia di Finanza, società occulta, più tardi sorprese il mondo con la sua teoria del “tutto e subito”, storie da vedere di seguito anche stando svegli tutta la notte per arrivare al termine del racconto.

Sembrò allora una rivoluzione, all’attesa ansiogena subentrò l’ingordigia.

Oggi è tutto programmato con questo format, solo che le puntate non sono più solo ratei di un racconto ma anche di reality, di narrazioni d’ambiente, di applicazioni lavorative.

È tutto ridotto a pezzi, in modo che lo spettatore possa fruirne in assoluta libertà, fermandosi, rifiutando di proseguire, appassionandosi all’argomento: è un buffet sempre pronto a qualsiasi ora e per tutti i gusti.

Poi, da un’altra parte, c’è il cinema, che è un argomento diverso, un concentrato di situazioni, una linea che unisce due punti.

È una forma d’arte, forse normalmente no, è un modo di esprimersi, è un eccesso di significati, talvolta, perché no è una esigenza, un modo di vivere.

Avv. Michele Lo Foco

PRIMADONNA

PRIMADONNA

Di Marta Savina

Genere: drammatico
Durata: 100’
Uscita: 8 marzo 2023

In arrivo nelle sale dall’8 marzo, Primadonna è un film di Marta Savina sul primo rifiuto al matrimonio riparatore.

Siamo alla fine degli anni Sessanta, in Sicilia. Lia (Claudia Gusmano) ha 21 anni, va a lavorare la terra con il padre (Fabrizio Ferracane), anche se lei è “femmina” e dovrebbe stare a casa a prendersi cura delle faccende domestiche con la madre. Lia è bella, caparbia e riservata, ma sa il fatto suo. Il suo sguardo fiero e sfuggente attira le attenzioni del giovane Lorenzo Musicò, figlio del boss del paese. Quando lo rifiuta, l’ira di Lorenzo non tarda a scatenarsi e il ragazzo si prende con la forza quello che reputa di sua proprietà. Ma Lia fa ciò che nessuno si aspetterebbe mai: rifiuta il matrimonio riparatore e trascina Lorenzo, e i suoi complici, in tribunale.

Tratto da una storia realmente accaduta nel 1965 che ha portato alla cancellazione del matrimonio riparatore (vent’anni dopo), il film di Marta Savina risulta ancora incredibilmente attuale, forse perché non si parla di un passato così remoto, forse perché è una parentesi della storia italiana che non abbiamo mai davvero riconosciuto ma di cui soffriamo il retaggio ancora oggi. Attraverso la vicenda di Lia infatti è impossibile non vedere quello che accade ad ogni vittima di stupro o di femminicidio: davanti all’evidenza, prima di riconoscere il colpevole viene lasciato il beneficio del dubbio sul perché è successo, che cos’ha fatto la vittima per provocare il suo carnefice. Questo accade perché, come dice la madre di Lia nel bel mezzo del processo: “È mortificante perché a parlare sono solo loro”.


Qui la vera svolta sta però nell’inversione di rotta della storia, lontana anche dai canoni a cui siamo abituati della narrazione di quegli anni. In una Sicilia ben lontana dall’immaginario collettivo fatto di cieli limpidi, soleggiati e mare azzurro ma al contrario grigia, fredda e nell’entroterra campagnolo Lia non è sola, è supportata da una stretta cerchia di “reietti” della società – dalla famiglia che la ama e vuole proteggerla nonostante le ripercussioni dei mafiosi, dalla prostituta del paese e dall’avvocato escluso dalla politica e dalla comunità per non essersi mai sposato. La forza che li unisce si basa su un unico grande principio: l’autoaffermazione di sé senza badare ai giudizi degli altri.

Primadonna è un inno al coraggio: il coraggio di restare, il coraggio di parlare, il coraggio di portare avanti una battaglia, il coraggio di non nascondersi. È una cronaca attenta e curata anche quando lascia spazio al non detto, dove vediamo ad esempio il rapporto platonico di Lia e Lorenzo esclusivamente attraverso il gioco di sguardi, accompagnato per altro da una splendida colonna sonora e da una fotografia estremamente attenta ai dettagli e agli oggetti che non sono mai inquadrati per caso.

Un film necessario, quindi, questo primo lungometraggio di Marta Savina che ha già vinto il Concorso Panorama Italia ad Alice nella città, prodotto da Capri Entertainment, Medset Film, in associazione con Tenderstories e in collaborazione con Rai Cinema, Vision DistributionSky.

Francesca De Santis