Emily Dickinson è tra i maggiori esponenti della poesia americana di tutti i tempi, ma soprattutto era una donna determinata a pensare con la propria testa nell’universo WASP (White Anglo Saxon Protestant) degli USA del XIX secolo, una società bacchettona e retrograda che alla donna negava una reale capacità intellettuale e ne inibiva ogni espressione. Ostinatamente anticonformista, nacque e visse ad Amherst nel Massachusetts dove scriveva quotidianamente i suoi componimenti che a fatica trovavano lo spazio tra le pagine del quotidiano locale (furono solo 7 i brani pubblicati prima della sua morte). A 25 anni, minata da disturbi nervosi oltre che fisici, si appartò nella sua camera al piano superiore della casa di famiglia e lasciò che la fantasia si spingesse là sin dove la sua esistenza non osava.
Narrare la sua storia evitando ogni pedanteria didascalica e rendendo invece la singolare sensibilità del suo talento letterario è un compito non facile che il regista inglese Terence Davies è riuscito ad espletare con efficacia e maestria. A partire da una sceneggiatura, sempre dello stesso Davies, densa di dialoghi raffinati e di una sagacia in punta di fioretto che si pensava ormai scomparsa nella nuova cinematografia.
Nonostante l’importanza dei dialoghi non è da meno la funzione dell’immagine che ha sempre una funzione semantica (si noti ad esempio come il clima statico ed immobile della società puritana sia sottolineato da inquadrature che spesso pongono chi parla al centro di un impianto simmetrico, tra due finestre, tra due quadri, tra i battenti di una porta). Il tutto valorizzato da una fotografia sapiente di Florian Hoffmeister che ci illude di trovarci di fronte alla sola luce naturale.
Cynthia Nixon e Jennifer Ehle
Interpreti principali sono Cyntiha Nixon, nota per la parte di Miranda in “Sex and the City” e Jennifer Hele, che ad esercitarsi nella parte di sorella in epoca vittoriana aveva iniziato già nel 1995 con il celebre “Orgoglio e Pregiudizio“. Brave entrambe anche se il ruolo di Emily riempie talmente la narrazione che la maggior responsabilità per la buon riuscita del film ricade inevitabilmente sulla Nixon che dà una prova mirabile di recitazione, complice anche il trucco ed una forse non casuale certa somiglianza con la Dickinson.
Più che una biografia è un vero e proprio tributo alla poetessa del New England, tanto più gradito dal momento che proviene da un autore della vecchia Inghilterra dove di certo non difettano in letteratura. Un omaggio che rinnoverà senz’altro l’interesse verso le opere di questa poetessa che spesso avevano per oggetto la morte, il lutto, il passaggio verso un altrove. Così come diceva Rainer Maria Rilke, dalla sua lettera a Von Hullewicz, “la morte non è un baratro ove si annida il nulla, ma una soglia di là dalla quale c’è un oltre” o come diceva Gianfranco Ravasi “La morte è il lato della vita rivolto altrove rispetto a noi, non illuminato da noi”. Molto probabilmente Ravasi non ha mai letto la Dickinson altrimenti avrebbe concluso che qualcuno ha il dono di illuminare anche quel lato della vita.
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