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Blade Runner 2049

L’uscita del sequel di “Blade Runner” è avvenuta tra i timori alimentati dallo scempio dei prequel di Alien e per nulla placati dai teaser che giravano in rete. Fortunatamente già dai primi fotogrammi, prima dei titoli di testa, s’intuisce un altro passo di questa produzione che distende lo spettatore e predispone ad una visione che consigliamo, se possibile, in una sala Dolby Atmos.

Hampton (a sinistra) e Green (a destra)

Hampton Fencher , che fu lo sceneggiatore del Blade Runner storico, e Michael Green, che oscilla tra ottime cose come “Logan-The Wolverine” ed altre meno riuscite come “Alien Covenant“, hanno fatto un gran lavoro ed, eccettuate un paio di forzature nella trama, il film fila senza intoppi conservando quell’atmosfera “noir” della pellicola degli anni ottanta.

Denis Villeneuve (a sinistra) e Roger Deakins

Per nulla intimidito da un cast di autentiche star, Denis Villeneuve ha diretto il film con la sua caratteristica impronta che abbiamo già avuto modo di apprezzare in “The Arrival“, ma senza che questa tracimi nel meccanismo narrativo a tutto beneficio dell’effetto finale. La fotografia è di un autentico maestro come Roger Deakins (“Le Ali Della Libertà” “Non è un paese per vecchi“) che rende ogni fotogramma un’opera a sé che si potrebbe incorniciare. C’è poi una grande attenzione per l’aspetto acusamtico con una sonorizzazione precisa e suggestiva che si avvale di un veterano come Hans Zimmer (“Interstellar“) ed il giovane Benjamin Wallfisch, reduce dalla collaborazione con Christopher Nolan per “Dunkirk” ( e non è un caso evidentemente).

Ana De Armas

Della trama nulla si può desumere dai trailer e nulla è ciò che sembra, anche quando nella visione del film sembra di anticipare alcune verità  non c’è invece nulla di banale e scontato. Tutto il cast è perfetto nel proprio ruolo e non c’è spazio per gigionerie inopportune. Anche la cubana Ana De Armas si rivela una scelta fortunata in un film in cui i ruoli femminili hanno una spiccata centralità accanto a Robin Wright ed all’olandese Sylvia Hoeks che abbiamo visto in  “La migliore offerta” di Tornatore.

Jared Leto nella parte di Wallace

Se il tema del primo Blade Runner era il senso e l’origine della vita, in questo seguito il focus è sulla relazione e sul concetto di persona. Raro e pregevole caso in cui si assiste ad un alzo del tiro. L’occhio vede ma è il cuore che percepisce, per cui si può desiderare ciò che si vede ma non si può entrare in una vera relazione senza una percezione cinestesica. Una cosa per essere reale deve essere toccata? Questo è un quesito che sarebbe piaciuto a Philip K. Dick e che nel film trova una delle risposte possibili. Un topos che invece  lega questo film di Villeneuve a quello di Ridley Scott è la creazione della vita. A Tyrell,il creatore dei replicanti, è succeduto Wallace, interpretato da Jared Leto, che non a caso è cieco e prima ancora di vedere le persone, grazie ad evolutissimi interfaccia cybernetici, deve o meglio vuole toccare con le mani per percepire. E’ chiaro il riferimento alla figura dell’orologiaio cieco, assunto a simbolo dei creazionisti che negano che l’evoluzione possa produrre  per caso qualcosa di così sofisticato come l’occhio umano. Wallace vive a bordo di una piscina sotterranea, in una sala buia, in un ambiente che ricorda un utero, con l’acqua a significare il liquido amniotico. E’ lì che crea replicanti ubbidienti, con  i quali non ha però empatia e né pietà.

Ryan Gosling ed Harrison Ford

Efficaci le ambientazioni che si giovano di effetti impensabili 30 anni fa eppure usati con gusto e misura il tutto a rendere l’idea di una Los Angeles sterminata e con poco senso. Un inferno sovraffollato di persone che non hanno scelta se non sopravvivere o smettere di farlo. I replicanti fanno i lavori che gli uomini non vogliono più fare e questo ci ricorda tristemente una situazione vicina ai nostri tempi in cui negare l’umanità a certi individui assolve dal senso di colpa di non trattarli come tali. Mentre il navigatore dell’auto o il nostro telefono si rivolge a noi con una voce calda e cordiale noi ignoriamo chi ci sta a fianco, uomo o forse ormai già replicante che sia.  Uno scenario (non necessariamente quello del film) scevro d’amore dove bisogna sgomitare per un pasto ed in cui il concetto di umanità trascende lo status legale di replicante, di umano o… altro.

 

 

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