È stato inaugurato oggi, mercoledì 15 novembre, a Milano, il nuovo centro commerciale Merlata Bloom con al suo interno un nuovo Notorious Cinemas, terzo multisala meneghino del gruppo (dopo Centro Sarca e Gloria). Un moderno tempio dedicato alla magia del grande schermo.
Dieci sale e mille posti a sedere, per un incontro di tecnologia, comfort e coscienza green che rappresenta lo stato dell’arte dell’esperienza cinematografica.
Nel cuore del quartiere di Cascina Merlata in continua evoluzione arriva anche un nuovo multisala in pieno stile Notorious: confortevole, pratico e modernissimo. Punto forte del cinema è sicuramente la tecnologia all’avanguardia delle sue sale, con un totale di 100 metri di schermi, 1000 poltrone dotate di un codice qr tramite il quale è possibile ordinare cibo e bibite comodamente dal proprio posto, con basi di ricarica wireless, schienali e poggiapiedi comandabili elettronicamente.
”Per Notorious Cinemas la realizzazione dell’unico nuovo multisala che aprirà in Italia nel 2023 è motivo di grande orgoglio”, ha dichiarato Guglielmo Marchetti, Presidente di Notorious Cinemas, “abbiamo fortemente voluto che la flagship del nostro circuito fosse al Lifestyle Center Merlata Bloom Milano, un luogo di straordinaria attrattiva per chi ama la socialità, l’intrattenimento, la cultura e l’innovazione. I cittadini di Milano e provincia avranno la possibilità di vivere un’esperienza realmente immersiva. Notorious Cinemas – The Experience è ormai riconosciuto come circuito modello di qualità, comfort e tecnologia, il nuovo multisala di Merlata Bloom è lo stato dell’arte dell’esperienza cinematografica”.
Un macrocosmo pensato per esaltare la sensazione di comfort di ogni singolo spettatore, senza fargli mancare la qualità dei film che verranno trasmessi grazie all’intensità dell’audio Dolby 7.1.
“Siamo veramente molto felici che Notorious Cinemas porti a Milano la quinta Multisala allestita con il proprio format Notorious Cinemas The Experience”, ha commentato Andrea Stratta, Amministratore Delegato di Notorious Cinemas, “un universo in grado di offrire il massimo del comfort e della qualità ai propri spettatori, che ci fa diventare uno dei principali circuiti indipendenti del settore cinematografico italiano, raggiungendo, dopo poco tempo dalla nascita, una importante quota di mercato nazionale”.
Merlata Bloom Milano è il Lifestyle Center sviluppato dalla società Merlata Mall S.p.A. al centro del più grande progetto di trasformazione urbanistica in Italia, nel quadrante nord ovest di Milano.
Ancora commerciale e piazza di connessione tra il quartiere residenziale Uptown e il distretto dell’Innovazione MIND, offre 70.000 mq di nuove opportunità, tra brand inediti e concept store
sperimentali, inclusi: 210 spazi commerciali tra cui 43 innovativi concept F&B, un superstore Esselunga, Decathlon con il nuovo polo d’uffici e un cinema multisala di ultima generazione
NOTORIOUS. A completare il progetto della multisala, un’area Disney dedicata alle famiglie e una serie di “attenzioni” rivolte all’anima green di Merlata Bloom Milano affacciato sui 30 ettari di parco urbano. Dettagli come l’utilizzo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, di materiali di costruzione riciclati e riciclabili, di packaging food interamente compostabili e da un’attenzione alla differenziazione della raccolta in tutte le aree del cinema in cui è possibile.
Radio Italia è Radio Ufficiale del Circuito Notorious Cinemas Notorious Cinemas Merlata Bloom Milano
Si trova in Via Daimler – Milano
La 41esima edizione del Torino Film Festival si svolgerà dal 24 novembre al 2 dicembre sotto l’egida del Museo Nazionale del Cinema – presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Domenico De Gaetano – con la direzione artistica di Steve Della Casa.
Il comitato di selezione, coordinato da Giulio Sangiorgio, è composto da Claudia Bedogni, Giulio Casadei, Antonello Catacchio, Massimo Causo, Grazia Paganelli, Giulio Sangiorgio, Alena Shumakova, Caterina Taricano, Simona Banchi, insieme a Matteo Pollone, Stefano Boni, David Grieco, Paola Poli e Luca Beatrice con Luigi Mascheroni.
Nel solco della scorsa edizione, l’immagine guida è stata affidata nuovamente all’artista di fama internazionale Ugo Nespolo che declina uno dei più celebri fotogrammi di Sentieri selvaggi di John Ford in cui John Wayne tiene tra le braccia Natalie Wood, celebrando l’omaggio che quest’anno il TFF dedicherà al popolare attore, vera e propria icona del cinema americano classico.
A conferma della vocazione al dialogo con le eccellenze culturali ed artistiche del territorio, l’inaugurazione della 41esima edizione si svolge quest’anno alla Reggia di Venaria che, restituita alla sua magnificenza barocca, è diventata uno dei siti culturali più visitati d’Italia. Ospite d’eccezione della serata – in diretta su Hollywood Party, Rai Radio3 – il maestro Pupi Avati.
Madrina della cerimonia d’apertura Catrinel Marlon.
Si moltiplicano le occasioni di incontro e dialogo dei protagonisti del cinema con il pubblico, scelta fortemente voluta dal direttore Steve Della Casa e tratto identificativo di un festival che coniuga cultura e spettacolo. Numerosi gli ospiti, da Oliver Stone (che riceverà dal Museo Nazionale del Cinema il Premio Stella della Mole) a Fabrizio Gifuni, da Christian Petzold a Caterina Caselli e Paolo Conte, da Kyle Eastwood a Drusilla Foer, da Mario Martone a Barbara Ronchi, da Baloji a Thomas Cailley, da Roberto Faenza a Laura Morante… Idee e testimonianze diverse tutte accomunate dal grande amore per la settima arte.
Il festival presenta quest’anno una selezione estremamente ricca e articolata che riflette sullo stato delle cose della produzione cinematografica contemporanea senza gerarchie di sorta, tra cinema di ricerca e scritture di genere, maestri internazionali e giovani promesse. Uno spirito che si dispiega nelle diverse sezioni del festival, da quelle competitive (Concorso Lungometraggi, Documentario internazionale e italiano, Spazio Italia, Crazies) a quelle fuori concorso (Nuovimondi, Ritratti e paesaggi, TFLab, Il gioco della finzione. Nuovi sguardi argentini). Uno dei tratti distintivi della selezione è il grande ritorno della commedia, popolare e d’autore, in tutte le sue possibili formulazioni: politica, minimalista, malinconica, metatestuale.
L’Italia si ritaglia uno spazio importante, con la presenza di ospiti prestigiosi impegnati anche in masterclass, il concorso documentari italiani ampliato a 10 titoli per festeggiare un’annata particolarmente ricca, quello dei cortometraggi e dunque del cinema del futuro e due sottosezioni fuori concorso La prima volta e Ritratti e paesaggi, rispettivamente dedicate ad alcune tra le più interessanti opere prime della stagione e ad una serie di imperdibili documentari per il grande pubblico.
La 41esima edizione del Torino Film Festival presenta la prima retrospettiva integrale dedicata a Sergio Citti, che a buon diritto si inserisce nella tradizione delle grandi retrospettive del TFF. Per l’occasione sarà pubblicato il volume SERGIO CITTI – La poesia scellerata del cinema a cura di Matteo Pollone e Caterina Taricano (coedizione: Centro Sperimentale di Cinematografia – Edizioni Sabinae).
In un’ottica di “sistema” si rinnovano anche quest’anno le collaborazioni con Film Commission Torino Piemonte, Torinofilmlab e Torino Film Industry.
In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre) e della Giornata Mondiale contro l’AIDS (1 dicembre), il Torino Film Festival – in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali e Pari Opportunità della Città di Torino – dedicherà due momenti di riflessione a questi temi attraverso gli interventi di Monica Guerritore, protagonista de I girasoli, film d’esordio alla regia di Catrinel Marlon, Madrina del 41TFF, e di Laura Morante, attrice ospite del Festival con il film Folle d’amore – Alda Merini di Roberto Faenza.
Il Torino Film Festival ribadisce inoltre il suo impegno rispetto alla sostenibilità ambientale facendo proprie le buone pratiche indicate nella Guida Festival Green realizzata dall’AFIC (Associazione Festival Italiani Cinema). Dieci aree tematiche di intervento – dalla mobilità ai consumi energetici, passando per la sostenibilità alimentare e la produzione di un merchandising ecologico e riciclabile – per rendere un evento cinematografico più sostenibile.
Regia di Giorgio Treves. Un film con Roberto Herlitzka.
In occasione degli ottant’anni trascorsi (1938-2018) dalla promulgazioni delle leggi razziali, il documentario Diversi di Giorgio Treves è stato presentato fuori concorso alla 75esima Mostra internazionale del cinema di Venezia.
L’opera nasce in primis da un’esigenza personale del regista, vittima all’epoca dei fatti dell’odio razziale antisemita che lo costrinse alla fuga in Svizzera, e si propone di ricostruire in modo lucido il processo che trasformò l’Italia da un Paese in cui gli ebrei erano perfettamente integrati nel tessuto sociale e, anzi, ricoprivano cariche di grande prestigio, al momento in cui iniziarono a essere percepiti come “diversi” dagli italiani stessi e, infine, alla vera e propria emarginazione sociale a seguito alle leggi raziali nel ’38.
Attraverso la voce di testimoni dell’epoca, insieme a storici e ricercatori di primo livello, si ripercorrono le fasi di una tra le più abominevoli e crudeli persecuzioni della Storia, in un Paese come l’Italia che culturalmente non aveva insito il seme antisemita. Tuttavia, con la propaganda politica e una potentissima strategia comunicativa Mussolini riesce a mettere a punto il suo obiettivo: fascistizzare i cittadini attraverso la cultura popolare, fatta dei mezzi essenziali di informazione dell’epoca quali il cinema, i fumetti, la scuola e i giornali.
Nasce sotto il suo regime un giornalismo nuovo, volto a manipolare e filtrare ogni notizia. Passo passo ci vengono mostrate le trame, le ragioni primarie e gli obiettivi che si imposero Mussolini e il fascismo per portare nell’arco di pochi anni il popolo italiano a sostenere e approvare la militarizzazione del Paese e il senso di superiorità della razza ariana giocando sull’orgoglio nazionale, facendo passare l’idea che la razza italianità pura nascesse dalle radici della cultura latina e romana e che tale purezza andasse preservata a tutti i costi a discapito di minoranze come i neri e gli ebrei.
Per gli ebrei inizia un percorso involutivo dove i diritti civili e politici ottenuti grazie al re Carlo Alberto di Savoia a metà Ottocento vengono corrosi progressivamente fino ad arrivare alla persecuzione aperta con la Carta di Verona del 1943 e alla deportazione.
Il documentario offre un resoconto puntuale con articoli di giornali e fumetti dell’epoca, interviste e toccanti animazioni illustrate che mostrano la crescita progressiva dei divieti imposti agli ebrei al fine di cacciarli dal nostro Paese, il tutto alla luce di un’imperdonabile indifferenza della classe intellettuale dell’epoca.
Aleggia il monito che se sentimenti di tale odio e violenza siano potuti fiorire e radicarsi nel giro di pochi anni all’ombra di un Paese colto e civile su basi inesistenti grazie al lavoro costante di un regime e della sua manipolazione onnipresente, la nostra unica arma è, oggi più che mai, essere consapevoli di come ciò avvenne per scongiurare che cose simili si possano ripresentarsi nell’orizzonte del nostro futuro.
Jessica Sottile
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Non basta averlo sognato. No: deve parlare bene, possibilmente come il Pasolini che fu. Parlerà un po’ da maestro e un po’ da spirito guida: dolcemente ma senza confidenza; non da amico – la frase di tutta la vita è sempre «io sono solo» – ma con l’aria dell’angelo. Sarà un angelo in senso puro, come chi annuncia e va via. Che cosa annuncia? Niente di troppo pubblico. Non dice più «io so i nomi», ammesso che li abbia mai saputi. Oggi annuncia altro: qualcosa di sé e di chi sogna.
Nella Terra vista dalla Luna l’ha scritto e filmato: «Essere morti o essere vivi è la stessa cosa». Poi c’è un giudizio su Sanguineti, in Empirismo eretico, anno 1972: «Insisto a fare il nome di Sanguineti perché è l’unico che sa in cuor suo (e lo sa perché tanto, lui potrà continuare) che l’avventura sta per finire». Morale: c’è chi finisce e c’è chi continua; chi continua è sano ed è anche furbo: sa di poter continuare e lo sa in cuor suo, e tace e aspetta. E anche la Madonna ha conservato i pensieri in cuor suo (Lc., 2, 19).
Sanguineti era un ateo di ferro e conservava in cuor suo la notizia della sopravvivenza: in cuor suo, proprio come la Madonna. E anche Pier Paolo, in cuor suo, si è sentito l’unico nome continuo, come Dante. Sarà stato sicuro di sopravvivere, non solo con le opere? Sì: con l’io postumo, se non con il corpo. Così l’avventura di chi sa qualcosa in cuor suo non finisce. Chi sa di poter continuare continuerà; non gli altri, e peggio per loro. E adesso i segni – i sogni – e i nomi.
DACIA MARAINI: «Di notte sogno spesso Pier Paolo che cammina sopra la mia stanza con i suoi stivaletti messicani; io mi alzo, salgo sulla terrazza condominiale e mi appare lui che mi dice: Questa morte mi è costata dieci chili. Pier Paolo era così, era soave». (www.dagospia.com, 8 novembre 2005). Ancora DACIA: «Sono salita sul terrazzo e ho visto Pier Paolo, in blue jeans, magrissimo, muscoloso perché giocava a calcio, con l’anello con lo scarabeo preso in Egitto. C’erano alcuni suoi collaboratori cinematografici. Che fai?, gli ho chiesto. Vorrei riprendere il lavoro, mi ha risposto. I collaboratori volevano che gli dicessi che era morto, ma io lo vedevo vivo anche se sapevo che era morto. Pasolini allora mi ha detto che sapeva di essere morto, ma che adesso stava bene. Un sogno di vita» («Gazzetta di Mantova», 9 settembre 2013).
NINETTO DAVOLI parla da anni di questi sogni. Nel 1998: «Al primo ne sono seguiti mille altri. Ogni settimana, almeno tre o quattro volte, io lo vedo e parlo con lui. Non mi si fraintenda, non mi si dia del visionario. Io ho veramente un contatto con Pier Paolo e ormai non posso più dire che si tratta di sogni, almeno secondo il significato che ai sogni siamo soliti attribuire» (Piero Poggio, Parliamo con l’aldilà. Ritrovarsi nella luce, Edizioni Mediterranee, Roma 1998, p. 173).
«Lo sogno spesso. Nella maggior parte dei casi lo vedo durante la realizzazione di un nuovo film o di un prossimo viaggio. Ogni volta che mi offrono un nuovo ruolo, gli chiedo col pensiero, prima di decidere: Pier Paolo, cosa ne pensi? È buono? Quando ho un qualsiasi dubbio cerco i suoi consigli... (www.pasolinipuntonet.blogspot.it, 17 agosto 2012).ENINETTO, di nuovo, sul«Fatto quotidiano», 11 gennaio 2013:«Pierpa’ me lo ripete sempre: “Nine’, de fa’ quello che te viene facile è capace qualsiasi stronzo, tu devi fa’ il contrario, devi sperimenta’». Nel 2016, NINETTO parla ancora di sogni: «Vive in me, con me. Lo interpello nei sogni, nei pensieri. Ci ho persino litigato: “A Pa’, ma nun eri morto?” e lui “Ma che stai a dì, Nine’?»
Poi Paola Gargaloni, cioè PAOLA PITAGORA, in due tweets di Twitter (4 novembre 2015): «Tanti anni fa ho sognato Pasolini – molti lo hanno sognato – I MIEI NEMICI MI CONSACRANO – mi diceva triste» e «Non lo conoscevo personalmente, è venuto in sogno tre volte, in primo piano. Poi lessi che era successo a Dacia Maraini e a qualcun altro».
Poi GIANCARLO MARINELLI: «Faccio un sogno. Pasolini vestito da Cristo in mezzo ai binari, che ad ogni treno che giunge alza il braccio destro e fa esplodere i primi cinque vagoni. Questo con il primo treno, poi con un secondo, con un terzo, e via di seguito» (Amori in stazione, Guanda, Parma 1995, p. 16). Dopo la strage, questo Pasolini sale su un treno a forma di arca, tra gli animali, in mezzo a trombe e tromboni: è un «bel sogno senza senso», ma non è vero. Il senso c’è, ed è un misto di lamentazione (treno, thrénos, canto funebre), di onnipotenza e di allegria, alla fine. Come nel sogno di Salvatore Maresca Serra, su Facebook (1° febbraio 2012): «Sognai ragni corpulenti che lottavano con serpenti, cianfrusaglie d’ogni tipo che avanzavano come eserciti inesorabili, cani rabbiosi che m’inseguivano abbaiando a più non posso, sognai mio padre che stava su un’altalena gigantesca che spariva tra le nubi, sognai Pasolini che mangiava le sue pellicole e poi le sputava in faccia ai miei compagni di terza media».
Poi GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO: «Dormivo là, nella mia soffitta di Lambrate e sognavo. Lui venne e mi portò una lettera. Io la lessi ma non mi ricordo niente di quel che diceva» (Partita a calcio con Pasolini. Racconto, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2011, p. 23)
Anche PINO PELOSI ha sentito Pasolini dopo il 1975. Ovviamente Pelosi si prende con le pinze, da sempre. Simula bene e assimila meglio, perché – davvero – è il più pasoliniano di tutti: il vero erede di Pasolini e Pino, volente o nolente (e volenti o nolenti noi, gli altri). È ambiguo come il maestro e sa sperimenta’ con le parole. Ha imparato in carcere o è un poeta nato? O Pier Paolo – da vivo e da morto – l’ha rieducato come il Gennariello delle Lettere luterane? È successo tutto questo, insieme. Ecco la visione di PINO: «Sento delle voci che urlano Pelosi, Pelosi!… Sono convinto che sia Pasolini. Ma che vuole da me? Ormai sono quasi distrutto, mi ha distrutto…» (Io, Angelo Nero, Sinnos, Roma 1995, p. 106). DACIA commenta a p. 12 del libro, perché ha capito la situazione: «Dobbiamo ringraziare il fantasma di Pasolini che ha avuto la buona idea di andare a trovarlo in carcere… Infine gli ha fatto capire che uccidere è come sposarsi: non ci si libera più di chi si è cacciato dalla vita, diventa una parte di sé». Tanto che Pino scrive poesie, e ne pubblica due a p. 132 del libro.
Pino è obbligato all’ambiguità, ma Ninetto deve essere chiaro. Non è ambiguo, e nemmeno un esegeta dell’ambiguità: è un dolcissimo animale umano, e per questo è puro. Parla con la costanza di chi non è poeta – quindi ha un solo stile –, ed è l’unica forma possibile, per lui. Dice: Pier Paolo me lo ripete sempre. Sempre è sempre: anche oggi, ogni giorno, non c’è un minuto senza Pier Paolo. E poi si torna al Ciappelletto del Decameròn, libro e film: santi non si nasce, ma si diventa. Non solo: ci si può anche ricostruire santamente, per forza di teatro e di parole. E la pratica funziona, perché – questo vale per Pasolini – l’importante è l’effetto e anche un falso santo può fare miracoli. Se Pasolini torna, torna per dire che lavora sempre – quindi non è morto – e per insegnare, o per dire che ha una certa potenza simbolica.
C’è una disperata passione didattica, che non si nega mai allievi, più o meno informali. E forse c’è una fede, la più fantastica delle fedi: lavorare – a dismisura, all’infinito, senza l’ossessione del guadagno – è più interessante della vita e della morte, che sono uguali. Si agirà più sottilmente, anche nei sogni degli altri, fedeli al santo. I fedeli stanno già «in cuor suo», nel cuore di chi annuncia. Il fatto è bello, molto. E l’avventura di Ciappelletto non sta per finire, come per gli altri: «Vorrei riprendere il lavoro» e si fa «un nuovo film», è chiaro?
A 500 anni dalla scomparsa, gli editori di Geronimo Stilton e il Museo Leonardiano di Vinci celebrano il grande genio del Rinascimento
con il libro Il Segreto di Leonardo
Per il 2019 anche Geronimo Stilton renderà omaggio Leonardo da Vinci, il genio del Rinascimento Italiano nato a Vinci nel 1452 e spentosi ad Amboise nel 1519. In occasione dell’anniversario dei 500 anni dalla morte, sono infatti numerosissime le iniziative e le mostre dedicate a Leonardo.
Per celebrare questa ricorrenza, Geronimo Stilton, nato da un’idea di Elisabetta Dami, ha lavorato con il suo editore italiano Edizioni PIEMME e con il Museo Leonardiano di Vinci, per dar vita a uno speciale volume dal titolo Il Segreto di Leonardo, un libro divertentissimo e pieno di misteri che vede protagonisti Geronimo Stilton, i nipoti Ben e Trappy e ilClub Internazionale Amici di Leonardo, composto da ragazzini (anzi da topini!) di diverse nazionalità alle prese con un’avventura tutta dedicata all’artista e ambientata nei luoghi della città natale del Vinciano, con incursioni nel Museo Leonardiano e nella Biblioteca Leonardiana.
Il volume è stato realizzato da Edizioni PIEMME con il contributo di Atlantyca e del Museo di Vinci ed è stato lanciato in Italia in occasione della Bologna Children’s Book Fair 2019 in un appuntamento che si tenuto oggi, 2 aprile, alla presenza di Giuseppe Torchia (Sindaco di Vinci), Paolo Santini (Assessore alla Cultura e al Turismo di Vinci), Stefania Marvogli (Responsabile Comunicazione del Museo Leonardiano di Vinci), Claudia Mazzucco (CEO di Atlantyca), Rachele Geraci (Stage Rights e Sales Development Manager di Atlantyca), Patrizia Puricelli (Responsabile Editoriale Stilton per Edizioni PIEMME), Alessandra Berello (Publishing Manager di Atlantyca), Carmen Castillo (Foreign Rights Manager di Atlantyca), e alla presenza degli editori internazionali di Geronimo Stilton. Hanno partecipato all’evento anche Elisabetta Dami e Pietro Marietti.
Appena saputo dell’accordo tra l’editore italiano e il Museo di Vinci, infatti, gli editori internazionali di Geronimo Stilton, coordinati da Atlantyca, hanno aderito all’idea di celebrare con un evento di co-pubblicazione internazionale il grande genio del Rinascimento. Già dalle prossime settimane andranno alle stampe le prime versioni straniere che porteranno a 8 le linguein cui verrà co-pubblicato Il Segreto di Leonardo. Completa il progetto un apparato collaterale di attività ludico-educative, insieme a un contest di preparazione alla pubblicazione, lanciato in 8 idiomi dal sito ufficiale di Geronimo, in cui i fan di Geronimo sono chiamati a rispondere alla domanda “Che cosa inventeresti se fossi Leonardo per un giorno?”. Le frasi raccolte sono state lette nell’ambito dell’incontro odierno, ognuna nella sua lingua madre.
Il libro di Geronimo Stilton dedicato a Leonardo sarà successivamente presentato mese dopo mese nei vari Paesi in cui sarà pubblicato. In particolare, il prossimo 19 maggio, il volume sarà presentato da Geronimo Stilton “in pelliccia e baffi” proprio a Vinci, presso il Museo Leonardiano. Il 15 giugno sarà il turno del Louvre di Parigi, dove il Direttore dell’Eco del Roditore sarà protagonista di uno speciale firma-copie proprio nel museo che conserva, tra le altre opere, la Gioconda di Leonardo. Sempre in Francia sono previste inoltre presentazioni adAmboise, cittadina della Valle della Loira dove Leonardo si spense 500 anni fa, e nell’ambito del festival storico letterario di Blois, Les Rendez-vous de l’histoire.
Tradotto in 49 lingue e con 161 milioni di copie vendute nel mondo, Geronimo Stilton, il topo giornalista più amato dai bambini è un fenomeno globale che dall’Italia si è diffuso in tutto il mondo. Ormai da diversi anni, inoltre, Geronimo Stilton collabora con i musei italiani, come accaduto per il MUDEC di Milano e il sito Unesco di Pompei, Ercolano, Torre Annunziata,il Galata-Museo del Mare di Genova, la Fondazione Museo Civico di Rovereto.
Nel cuore di Vinci, il Museo Leonardiano è la più antica collezione di modelli interamente dedicata a Leonardo tecnologo, scienziato, ingegnere e, più in generale, alla storia della tecnica del Rinascimento. Dagli studi sul volo a quelli sul moto in acqua, dalle macchine da guerra agli esperimenti di ottica, il Museo di Vinci documenta la vastità degli interessi del Vinciano. Completano il percorso leonardiano la Casa natale immersa nella campagna senza tempo della località di Anchiano e la sezione Leonardo e la pittura che presenta le riproduzioni delle opere di Leonardo a grandezza naturale. Nell’occasione dei 500 anni dalla morte del Vinciano, il Museo Leonardiano celebra l’anniversario con la mostraLeonardo a Vinci. Alle origini del Genio che documenta il legame di Leonardo con la sua città natale e le suggestioni che questa terra offrì al suo percorso di artista e scienziato. In apertura nella data simbolica del 15 aprile, la mostra esporrà suggestivi documenti dall’Archivio di Stato di Firenze e il celebre disegno di Leonardo Paesaggio, in prestito dalle Gallerie degli Uffizi.
Jack può fare tutto: trascinare un cadavere sulla strada e avere un temporale che cancella ogni traccia; uccidere due bambini davanti alla madre; farsi un portafogli con una mammella; trasportare decine di cadaveri in piena città e non essere visto.
Si vede che Jack è come un regista: indiscutibile e magistrale, padrone o master del suo campo. Solo una cosa gli è negata da Von Trier, che è il regista del regista: uccidere sei persone con un solo proiettile. Prima perché il proiettile non è un full metal jacket, e bisogna cambiarlo (questo implica una perdita di tempo); poi perché il mirino del fucile non mette a fuoco il bersaglio, che è troppo vicino (questo implica non sparare più).
A questo punto si apre la seconda porta e appare Verge, cioè Bruno Ganz. Ganz è stato l’angelo umanizzato del Cielo sopra Berlino e ora è Virgilio, con gli abiti ottocenteschi di una specie di Dr Watson. Jack – che ha già indossato una cappa vermiglia per l’ultima strage – diventa un perfetto Dante. A questo punto inizia la catabasi, ma è un altro discorso. Jack può fare quello che vuole, in modo simbolico e paradossale – cioè impunemente –, come Christian Bale in American Psycho.
Ma perché il regista – regista del regista, architetto dell’architetto – gli nega l’ultima strage? Guardiamo meglio. In realtà c’è un’altra cosa che sfugge a Jack. È proprio the House. The House viene costruita e demolita più volte, all’aperto, nella forma di una casa classica. The House sarà costruita solo alla fine, con i cadaveri congelati, e non all’aperto. Sarà paurosa e non classica; e sarà paurosamente simile ad un igloo di Mario Merz (e uno dei grandi igloo di Merz ha come insegna un cadavere: un cervo). Di fatto è un’installazione museale. Un’opera di Merz (per la forma) e di Spoerri (per la materia organica). Ed è facile pensare che sia volutamente un’opera museale, che sta al chiuso, in una cella frigorifera (prima destinata alle pizze: parodia e secondo nome delle grandi bobine di pellicola). In pratica: la grande cultura è roba da frigorifero, preparata maniacalmente e destinata a rimanere al chiuso.
All’esterno di questo Museo Ghiacciato, Jack è un fallito, ed è un fallito proprio nella sua missione artistica. Quindi: Jack fallisce come architetto all’aperto e vince come architetto al chiuso; vince come massacratore di una persona alla volta (all’aperto), ma perde come stragista (al chiuso). Quando perde come stragista (al chiuso), vince come architetto (sempre al chiuso), e quando perde come stragista e vince come architetto, allora si manifesta Verge (che c’è sempre stato, con il suo stile da Watson, in secondo piano; ma non si è mai fatto vedere, né all’aperto né al chiuso: non era il suo tempo). Quando si manifesta Verge, Jack diventa Dante. Quando tutti e due si manifestano – uno come duca e uno come poeta – il film rallenta. Rallenta, letteralmente: nelle immagini e nel suono, fino all’abominio di Hit the Road, Jack rallentata nei titoli di coda. Il rallentamento implica che siamo nel campo dei Novissimi.
Torno alla domanda fondamentale: perché Jack può tutto ma non può uccidere sei persone al chiuso, con un colpo solo? Vediamo: sei individui sono stati catturati singolarmente, e sono le prime prede vive di Jack. In altre parole: Jack sbaglia a portare la vita dentro il suo museo, per ucciderla; la vita deve essere uccisa fuori e portata, morta, al chiuso; la vita deve essere uccisa con una certa improvvisazione, e non con troppa programmazione; anche the House all’aperto viene costruita con un eccesso di programmazione, e non può essere mai finita.
Al chiuso – tra le pizze, nel gelo, senza Sole, e quindi in una specie di casa del Vampiro – the House è fattibile, ma – attenzione – può essere fatta solo con materia morta. Nessun vivo può essere ucciso in questo luogo chiuso. Nemmeno lo stesso Jack può morire nel Museo Ghiacciato, e – a quanto pare – Jack scende all’inferno da vivo. Adesso ci siamo. Jack è il solito genio, uno di noi professionisti. E sbaglia quando vuole essere contemporaneamente vivo e creativo, improvvisatore e programmatore. Sbaglia quando vuole agire da artista nel mondo (all’aperto), e sbaglia quando vuole agire da umano nel museo (al chiuso).
È uno schema molto semplice, un po’ come l’amico di Tonio Kröger che si chiude in un locale quando arriva la primavera inesorabile. All’esterno del Museo, il vampiro può solo cercare prede, ma non può innalzare una casa tradizionale. Nel Museo, si può costruire l’igloo di Merz, ma non è the House tradizionale. Ammetteremo, da creativi, di essere un po’ mostruosi? Ma certo. Se lo fa Von Trier possiamo farlo anche noi. Che poi ci si senta in colpa, isolati e isolabili, contemporaneamente vincenti e perdenti – e che tutto questo non piaccia – è un altro discorso. In fondo, a noi vampiri, ci piace un po’ di autocritica, stimolata da gente che vediamo al nostro Livello: Virgilio, per esempio, con il viso di un grandissimo Ganz. Niente di meno? Niente di meno.
Prendiamo uno schermo. Popoliamolo di figure misteriose, avvolte nell’ombra, di atmosfere rarefatte, di città notturne, di anime perdute, di dolore e nevrosi, di segreti… Aggiungiamo l’amore, o il desiderio, o il tema della morte. Nei film noir tutto ci appare sotto una prospettiva diversa. Il noir è il linguaggio del nostro mondo interiore, turbolento e tormentato.
Nei 5 giorni che hanno ospitato questa rassegna nella mia città ho sentito l’anima dell’universo noir tornare a vivere, a vibrare (un termine che ho usato nel primo articolo) ed è stato bellissimo. In questi giorni abbiamo preso parte a eventi di grande importanza. Una retrospettiva di altissimo livello; bellissimi film, di cui due colpi-al-cuore, Most beautiful island e La terra dell’abbastanza, impossibili da dimenticare; incontri memorabili (De Cataldo, certo, ma anche Acerbis o Vichi), e una serata finale molto partecipata.
L’ultima giornata è iniziata con il grande Werther Dell’Edera, protagonista sia di un workshop pomeridiano (in compagnia della colorista Giovanna Niro), sia di un incontro serale. Il fumettista si è concentrato sul rapporto che lo lega al noir: “A un certo punto della mia carriera sono incappato nel noir e nei suoi codici visuali”. L’estetica di questo genere lo ha anche ispirato direttamente: ha rivelato infatti di aver tenuto presente, per il suo lavoro degli ultimi anni, il cinema espressionista tedesco (con i suoi potenti contrasti tra luce e ombra) o il capolavoro di Carol Reed Il terzo uomo, di cui ricordiamo le inquadrature grandangolari e “deformate”, nonché spesso inclinate o oblique.
Il film che ha accompagnato l’ultima dark night di quest’anno, Le fidèle di Michaël R. Roskam, è un ottimo melodramma franco-belga dalle venature crime, presentato in anteprima italiana (uscirà nelle sale il 6 settembre, distribuito da Movies Inspired). La travolgente storia d’amore tra Bibi (la bravissima Adèle Exarchopoulos) e Gigi (Matthias Schoenaerts, che di nascosto da lei fa parte di una banda di gangster) vive numerose difficoltà ma è tanto forte da superare ogni barriera esterna.
Roskam si nutre della forza dei due interpreti e firma un coraggioso ritratto di coppia misto al crime/gangster movie, che non disdegna un certo sentimentalismo. L’amore resta il tema portante, e la sostanza prima su cui poggia il film. Il piano sequenza finale, che non è altro che la soggettiva di una porsche, è potentissimo. Ma non voglio rivelare altro.
La notte è stata animata dalla musica del dj set di Eddie Piller, venuto direttamente da Londra, che ha celebrato i 30 years of Acid Jazz Records. La terrazza dove si sono svolti gli eventi della settimana si è trasformata per l’occasione in una pista da ballo, e il pubblico si è scatenato. Ad accompagnare lo spettacolo musicale, per rimanere in tema di cinema, sono state proiettate sullo schermo tutte le sequenze iniziali dei film di James Bond: tra le più belle ricordiamo The spy who loved me, For your eyes only e Skyfall. Ma ci ha tenuto compagnia anche un montaggio di varie clip tratte da moltissimi film di ogni provenienza: dal cinema asiatico a Bande à part di Jean-Luc Godard, fino a Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l’échafaud) di Louis Malle, con la meravigliosa Jeanne Moreau che cammina per le strade di Parigi, scena simbolo del noir europeo. Magari la retrospettiva del prossimo anno potrebbe essere dedicata a lei. Staremo a vedere. Appuntamento a KISS ME DEADLY 2019!
Allo Space cinema di Via Santa Radegonda a Milano, si è tenuta la serata (organizzata da The Hot Corn, rivista on line Spin-Off di Chili spa) in occasione dei 20 anni del mitico film di Carlo Verdone “Gallo Cedrone”, che anticipava già alla fine degli anni 90 i tempi politici che stiamo vivendo.
La cornice è ineccepibile, nella sala dedicata all’evento, la presentazione condotta dal direttore di Hot Corn, Andrea Morandi, ha visto anche l’intervento del regista e attore Carlo Verdone, il quale ha commentato la storia del film con aneddoti e curiosità come se fosse tra amici al bar, in maniera genuina e cordiale come è solito fare.
Con la scomparsa (quasi totale) delle videoteche e il calo di presenze che lamentano le sale cinematografiche, occasioni come queste, che propongono sul grande schermo film cult o di “catalogo”, potrebbero essere “l’uovo di Colombo” per far ritornare le persone al cinema?
Che sia uno spunto per offrire a Natale non solo il solito e ormai anacronistico “Cinepanettone”, ma anche dei classici come per esempio: “La vita è meravigliosa” di Frank Capra, proprio per andare in controtendenza ai blockbuster americani di ultima generazione?
Per stimolare la gente a ritornare al cinema cercando di raggiungere quegli incassi che oramai si stentano a realizzare, si è provato molto e con tante iniziative, l’ultima delle quali è il prezzo a 3 euro a biglietto(Cinema Days). Perché allora non percorrere anche questa strada, premiando quei prodotti che sono diventati mitici solo grazie al tempo, unico vero critico al di sopra delle parti, senza soccombere a regole dettate da interessi o chissà quale altra diavoleria?
CASTELLO ERRANTE è la prima Residenza Internazionale del Cinema che quest’anno si svolge dal 1 al 31 luglio nell’incantevole Abbazia dei Santi Quirico e Giulitta, a Micigliano, in provincia di Rieti.
È un’iniziativa ideata da Adele Dell’Erario e organizzata dalla Occhi di Giove srl con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MIBACT), della Regione Lazio, dell’Unione di Comuni della Bassa Sabina e del Comune di Cottanello, in collaborazione con l’Istituto Italo Latino Americano-IILA, le Ambasciate dell’Argentina, del Cile, della Costa Rica, di Cuba, del Guatemala, del Nicaragua, del Perù e dell’Uruguay, e la Roma Lazio Film Commission.
Il progetto promuove le diversità culturali e i nuovi linguaggi espressivi attraverso la prima Residenza Cinematografica Internazionale che ogni anno si svolge in un borgo della Regione Lazio che si distingue per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche. Nell’arco di un mese viene realizzato un cortometraggio a opera di una troupe internazionale formata da studenti provenienti dalle più importanti Scuole di Cinematografia italiane e dell’America Latina. Per l’occasione i territori che hanno aderito all’iniziativa si trasformano in set cinematografici, permettendo alla comunità del posto di partecipare a un confronto attivo tra culture differenti.
L’intero mese di Residenza è caratterizzato inoltre da rassegne cinematografiche, realizzate in collaborazione con le Ambasciate; convegni e MasterClass in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia, l’Accademia di Cinema e Televisione Griffith e la Roma Lazio Film Commission; workshop con le scuole secondarie del territorio.
Numerose sono le gite e le escursioni nel territorio sabino alla scoperta della storia, dei sapori e dell’artigianato locale, organizzate con la collaborazione dell’Agenzia Regionale del Turismo del Lazio.
Ispirandosi alla frase di Ludwig Feuerbach “Noi siamo quello che mangiamo”, il tema della Residenza del 2018 è il cibo. A tal proposito importanti appuntamenti sono i Fuori Menù dedicati alle degustazioni dei prodotti locali del reatino e del Latino America, in collaborazione con la Chef School “La Corte” di Elia Grillotti e l’Istituto Alberghiero di Amatrice.
Il cortometraggio realizzato dai ragazzi nel corso della Residenza, parteciperà – grazie al lavoro congiunto dell’organizzazione e delle Ambasciate dei Paesi che hanno aderito all’iniziativa – a festival nazionali e internazionali, veicolando così il patrimonio della Regione Lazio anche oltre Oceano.
Si terrà il prossimo 26 maggio a Milano alle ore 18:30 presso Bloodbuster, in via Panfilo castaldi 21, la presentazione del nuovo libro di Antonio Tentori ed Enrico Luceri, intitolato “La Voce Del Buio“.
Giulia, Emanuela, Eva, Irene, Adele, Patrizia. Sei vite diverse, sei donne che condividono un tragico destino: l’Ombra le ha scelte, seguite, spiate e infine le ha colpite. L’Ispettore Capo Anna Ranieri è chiamata a investigare sui delitti di un assassino meticoloso e perverso, un maniaco feroce e determinato che si muove nelle tenebre senza lasciare tracce e firma i suoi crimini con una rosa. Anna ha due ottimi motivi per dargli la caccia: un passato nell’Unità Analisi Crimini Violenti che l’ha resa una brillante investigatrice, e sua sorella Giulia, primo bersaglio del killer. L’Ispettore Ranieri può contare su un unico testimone: il buio. Quel buio che ha una sua voce segreta, quella voce che bisbiglia frasi apparentemente senza senso, frasi che solo Anna può comprendere e interpretare. La voce del buio.
Enrico Luceri è una prestigiosa firma del Giallo Mondadori e inoltre autore, con Luigi Cozzi, del saggio “Giallo Pulp”, la storia del romanzo poliziesco italiano (Profondo Rosso, 2018).
Antonio Tentori, sceneggiatore e saggista, ha pubblicato due raccolte di racconti horror e thriller e ha scritto, tra gli altri, per Dario Argento, Lucio Fulci e Sergio Stivaletti. E’ apparso anche in un cameo nel film “Catacomba” di Lorenzo Lepori recensito in questo sito.
L’associazione e compagnia teatrale le Muse Impenitenti, Marinetta Martucci e Arianna Villamaina, due attrici potentine, tornano a calcare il palcoscenico con una nuova esilarante ed originalissima commedia: Come lo zucchero per il caffè – ‘‘O Teatro è ‘o paese d’ ’o vero. Una commedia divertente e con performance di danza fuori le righe, che ci trasporta in un musical vero e proprio per poi allietare il pubblico con una sorpresa golosa. Lo spettacolo è un contenitore di arte a tutti gli effetti ed è un inno alle mille sfaccettature che in essa sopravvivono.