La stupidità quotidiana

Che la stupidità sia il nostro pane quotidiano lo dimostra il livello della pubblicità, che ormai ha intrapreso la discesa verso gli strati più bassi della conoscenza e quelli più miserabili della convenzionalità.

Perché ciò avviene lo spiegano i tecnici del marketing, che avendo assunto come principio base che l’essere umano è un povero deficiente, gli danno in pasto quello che può digerire, cioè le immagini di una realtà fatta su misura per le sue povere capacità.

Ecco che allora il bucato lo fanno uomini giovani accompagnati dai figli, esibendo misteriosi accrocchi colorati, i piatti vengono controllati da altri uomini che la Hunziker descrive “con la faccia soddisfatta” presupponendo di vivere con uno di questi in una casa modesta, e non come sanno tutti in un luogo faraonico col suo vero e ricchissimo fidanzato, ecco che automobili identiche tra di loro, di colore giallo ocra, di forme simili a melanzane, suscitano l’interesse di donne bellissime, ecco che famigliole ridanciane fanno colazione in cucine di 50 metri quadri con la prole bellissima e buonissima, ecco che divani di ogni taglia vengono venduti ad attori che invece incassano centinaia di migliaia di euro per far finta di comprare, ecco che gentili hostess o impareggiabili funzionari ricevono poveri allocchi in banca offrendo i migliori servizi, quando tutti sanno che in banca è difficile ormai anche solo entrare e che se non sei Tronchetti Provera non ti saluta nessuno, ecco che finanziarie usuraie ti consentono di rifare il bagno di casa prestandoti i soldi appena entri, ecco che  un bel giovanotto targato Enel si avventura in una strada inventata piena di gente sorridente compiendo miracoli a costo zero, ecco che casalinghe brutte e grasse, come vengono immaginate le casalinghe più povere, dibattono sui detersivi, mentre quelle ricche e belle, interpretate dalla ex moglie di Totti, dormono fino alle 11 di mattina, ecco uccellini parlanti che conversano con un calciatore per reclamizzare un’acqua minerale, ecco donne che abbracciano una forma di formaggio con passione, ecco giovanotte procaci che fanno finta di sorseggiare un caffè napoletano da una tazzina vuota, ecco Gerry Scotti che reclamizza tanti di quei prodotti che non li riconosci più, e potrei continuare all’infinito, perché infinito è il campo delle idiozie, delle falsità, delle mistificazioni che ogni minuto pervade l’etere. Quando molti anni orsono, un signore di grande capacità imprenditoriale, titolare di una famosa emittente televisiva mi sintetizzò lo spirito della pubblicità, cominciai a comprenderne i retroscena.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi disse: “le categorie di coloro che commissionano la pubblicità sono o responsabili di società che te la ordinano e poi vogliono il 20% della spesa come tangente, o responsabili di società che il 20% lo vogliono da coloro che realizzano gli spot pubblicitari. Qualcuno, ma sono pochi, lo fa per mitomania personale o per far lavorare la sua amante.“

Presi atto allora di queste sorprendenti verità e del fatto che le sponsorizzazioni, quelle sportive, quelle nella moda, quelle nei profumi, erano tutte metodologie creative di false fatturazioni e oggi, in questa società della comunicazione e della prestazione, credo che purtroppo le false fatturazioni siano l’industria più redditizia esistente, perché, come esemplificato sopra, vive di un materiale che non costa, l’ignoranza.

Ma ragionando in positivo, esiste una forma di pubblicità corretta, non corrotta intendo, rispettosa della intelligenza delle persone, informativa e onesta? Sono certo che potrebbe esistere, e talvolta fa la sua comparsa, timida, in mezzo alle altre.

Forse, è un augurio, quando la folla di coloro che vengono ritenuti poveri deficienti comincerà a non comprare più certi prodotti, forse, allora, i ricavi aziendali prenderanno il sopravvento sulle fatture false e la pubblicità farà un esame di coscienza.

 

 

 

 

 

Avv. Michele Lo Foco

Anicastelli

Che il cinema italiano, con il suo speciale tax credit, sia anche una fonte di guadagni illeciti, di speculazioni e di operazioni strumentali lo dico da anni e l’ho dimostrato più volte, ma che Rutelli presidente Anica oggi dia la colpa al Ministero per la carenza di controlli è più che paradossale, è la dimostrazione di quanto sia capace l’ex sindaco di Roma per ammortizzare tutto il suo precedente entusiasmo per il successo del cinema italiano.

Quella di Rutelli si chiama, in termini filosofici “morale eteronoma” ed è quella di chi passa col rosso se non c’è il vigile e si contrappone, secondo Kant, alla morale autonoma di chi prende coscienza dei limiti.

Anica si è posta come elemento strutturale della politica di Franceschini e la figura di Rutelli, fino a quel momento estranea alla vicenda cinematografica, è stata cooptata, in particolare su suggerimento di Lucisano, come fondamentale collegamento con il ministro.

Rutelli ha posto lì la sua base professionale, interpretando il ruolo di morbido assemblatore delle esigenze dei potentati, ed è diventato anche imprenditore, inventando una strana quanto invisibile ricorrenza annuale dal titolo Videocittà, anch’essa largamente finanziata dalle istituzioni.

Anica avrebbe dovuto tastare il polso dell’industria ed avvertire che la febbre stava salendo assieme al finanziamento pubblico, ma al contrario ha inneggiato ai continui slanci di Franceschini, che, mi auguro, del tutto incoscientemente ignaro delle conseguenze pratiche, con la sua visione politica ha inciso talmente nel profondo sul dna del settore per farlo diventare non più un elemento di cultura ma pane per il saccheggio di fondi statali e per speculazioni nazionali ed internazionali.

Anica ha applaudito in ogni sede, soprattutto festivaliera, al fatto che l’Italia fosse invasa dagli stranieri attirati dal miele del tax credit, ed ha partecipato come protagonista al banchetto, rilasciando interviste entusiastiche e ricevendo applausi.

Non si è ricordato Rutelli che già ai tempi di Veltroni si era verificato un fenomeno simile, quando la parola “culturale” aveva provocato la devastazione dei fondi pubblici: registi che fino al giorno prima ricevevano un corrispettivo di quaranta milioni, ne ottennero quattrocento, più cento per la moglie assistente, cento per un montatore e qualcosa per i nipoti. La “cultura” di Veltroni ebbe l’effetto di demolire l’industria, eliminare il merito, è di far evaporare quasi cinquecento milioni di “fondo rotativo” tramite film che poi lo Stato dovette digerire con la cosiddetta “cartolarizzazione”.

Sarebbe stato onesto da parte Anica comprendere che era il caso di intervenire per regolamentare il flusso dei fondi, esaminando con coscienza e non con l’attuale cattiveria il disagio del Ministero costretto da Franceschini a lavorare su norme incomplete e talvolta imbarazzanti, costretto a seguire l’onda delle richieste sempre più numerose e pressanti, costretto a subire la tracotanza di una sinistra artisticamente esosa e sorretta da Anica.

Invece oggi, nel momento in cui comincia a venire a galla l’indecenza di alcuni finanziamenti, e la Guardia di Finanza si accorge che qualcosa non torna nei costi del film, Anica dichiara che la colpa è di Borrelli che non ha vigilato, che il Ministero manca di dirigenti e che pertanto i produttori sono privi di responsabilità.

Dispiace ascoltare queste frasi, perché la mancanza di una seria presa d’atto delle proprie responsabilità rende tutto possibile, anche quello che non lo sembra.

Avv. Michele Lo Foco

L’assueFazione

Nello spettacolo italiano ci sono forme di istituzionalizzazione che non subiscono variazioni nel corso del tempo ma che anzi appaiono, grazie ad una stampa ormai assuefatta ai fenomeni, sempre nuove ed originali.

 

 

 

 

 

Caso classico è quello di Fiorello, che riempie lo schermo di stupidaggini, di scherzetti, di prese in giro tipiche di un animatore di centri vacanzieri e che da decenni sembra sempre apportare alla televisione italiana quello spirito rivoluzionario necessario a rianimare spettacoli mummificati.

Assistiamo con curiosità alle ennesime evoluzioni di format come Ballando Con Le Stelle, ormai diventato una sorta di “Grande Fratello” in musica, ostaggio delle litigate di una giuria che esiterebbe chiunque ad invitare a cena.

Subiamo personaggi come Morgan, con il ciuffo inamidato, o Malgioglio vestito col tutù, che pretendono di dare lezioni di orgoglio o di morale ad un pubblico già prostrato dalle scempiaggini di Signorini e ipnotizzato dalle vicende sessuali dei VIP di turno e ascoltiamo come babbei i racconti dei soliti Al Bano, Vanoni, Zanicchi, Pravo, Hunziker, Ventura, Goggi… ormai svuotati di ogni contenuto e capaci solo di ripetere l’irripetibile.

Assistiamo soprattutto al continuo, interminabile flusso di ospiti di qualsiasi tipo, sempre interrogati nelle materie che conoscono, sempre osannati, sbaciucchiati, omaggiati, esaltati nelle loro banalità ed incapaci di trasmettere qualcosa di sensato.

Ma in un paese di millenaria cultura, culla delle arti più nobili, pervaso dal genio di grandi artisti, seminato di monumenti straordinari, ma anche patria di pensatori, divulgatori, eroi, scrittori, medici, di donne bellissime e bravissime, di sarti unici al mondo, di imprenditori coraggiosi, di giovani sportivi, in un paese ricco di vita e di pulsioni positive, possibile si debbano ancora subire gli scherzetti ripetitivi di Fiorello e le noiose e strumentali interviste di Fazio? Cos’ha il nostro paese, che continua a viaggiare col freno a mano tirato? A chi dobbiamo questa stagnazione culturale che ha invaso ogni angolo dello spettacolo? A chi sono affidate le sorti del nostro intrattenimento? Per questo motivo, per questa stagnazione che limita la libertà di espressione, sembra che Report sia una sorta di enclave di talebani, solo perché cerca di entrare nel tessuto molle delle vicende per dare una scossa agli spettatori rincoglioniti da Conti e dalla Venier. Per questo Kilimangiaro sembra un programma da Oscar e Bruno Vespa tranquillizza le menti, per questo Angelo Guglielmi e Brando Giordani risplendono nell’empireo della televisione, perché non hanno avuto paura di usare l’intelligenza e di trasmetterla ad un pubblico non di deficienti ma di ascoltatori.

Avv. Miche Lo Foco

Non ci sono più le stagioni di una volta

La segretaria Lucia Borgonzoni cavalca la favola dell’allungamento della stagione: sono riusciti a convincerla nonostante questa storia sia una baggianata che ci portiamo dietro da sempre. Stavolta ci aiutano gli americani! Incredibile, ma proprio coloro che ci colonizzano ci salveranno!

Nessuno ha spiegato alla bella Senatrice che gli americani di noi se ne sbattono e che se per caso un loro film, durante il lancio mondiale, casca da noi in estate non è per generosità. Nessuno poi le ha spiegato che anche in estate i film americani portano soldi agli americani: ma dobbiamo far finta di essere contenti… e così sia, evviva gli americani generosi alleati!

Michele Lo Foco

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SIAE

Nastasi e Blandini

SIAE è il nuovo territorio di Salvo Nastasi, l’ex potente ministeriale, dove incrocia un regnante storico, Blandini, con il quale ha già condiviso molto nel passato. Uniti sono un muro invalicabile e per chiunque sarà difficile penetrare all’interno del sistema SIAE, fatto di diritti, soldi, immobili, gestioni e misteri. Uniti, spalla a spalla, faranno della SIAE l’ultimo fortino dell’era Letta!

Michele Lo Foco

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Il cinema e le associazioni… in libertà

Al Ministero della Cultura (MIBACT) non spira una buona aria: nuovo D.G., legge che non funziona, soldi che non arrivano, burocrazia al massimo. Il cinema è in panne e gli incassi sono ai minimi storici, ma nessuno lo dice, men che meno le associazioni e in particolare Anica. C’è poi APT che ha deciso di far concorrenza ad Anica e si chiama ora APA. Perché limitarsi ai televisivi?

Mario Turetta Direttore generale cinema al MIBACT

Anche l’APA può assoldare chiunque e prendere soldi ovunque: pertanto il cinema è morto ma le associazioni crescono. Evviva.

Michele Lo Foco

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Bettino Craxi, il film

Parte il film su Bettino: Pierfrancesco Favino fa il leader e ci assomiglia davvero, munito del trucco. La Claudia Gerini fa Ania Pieroni che per la verità era molto più bella di lei, ma poi tutti smentiscono: non c’è Ania, non ci sono nomi, ma solo simboli!

Sarà, ma l’impressione è che Saccà, il produttore ex D.G. della Rai, non voglia pagare diritti. Di diritti c’è solo lui, questo è certo.

Michele Lo Foco

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Dopo 24 anni alla Warner il CEO Tsujihara è stato cacciato

Così anche il Ceo della Warner, Kevin Tsujihara, si è fatto cacciare per una donna! Difficile separare cinema e sesso, sembra quasi una congiunzione astrale: invece è semplicemente l’incrocio di due desideri, quello del maschio che non ha mai avuto belle donne da papocchiare e quello della donna che vuole spasmodicamente diventare famosa. In fondo, darsi al Presidente della Warner non è così drammatico: mezz’ora di gemiti e il più è fatto. Il resto è solo calcolo del desiderio prodotto: vestiti scollati, spacchi, piedini, voce soffiata, tanga, niente di drammatico!

Michele Lo Foco

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No, Veltroni no …

Un film di Valter Veltroni… sembra un epitaffio, una condanna per una pellicola appena uscita. Si tratta di “C’è tempo” il film con Stefano Fresi e Simona Molinari uscito ieri nelle sale.

Liberarsi di Veltroni non è attività semplice per tutti coloro che si sono arricchiti grazie a lui e che ora scontano giustamente il peso della riconoscenza: libri, film, documentari, non manca nulla, solo il teatro, ma arriverà presto l’occasione.

Diciamo subito che per Palomar ormai non è un gran problema produrre un film di Veltroni, tanto il contributo ministeriale è certo, la RAI è certa e in fondo qualche soldino possono anche spenderlo facendo finta che il prodotto sia originale, poetico e necessario.

Veltroni, lui, procede spedito nella via editoriale come se niente fosse, anzi come se fosse un regista affermato, un regista d’arte, un po’ Faenza, un po’ Muccino, forte di una melanconia che traspare a ogni piè sospinto dal suo volto perennemente contrito. Non che ci si debba toccare i sacrosanti appena incrociamo qualche creazione di Valter, ma quando constatiamo che Veltroni, Rutelli, Follini ed altri si sono riversati nel povero settore dello spettacolo, ci domandiamo se non sia il caso di rivolgerci all’Autority per la pirateria e denunciarli tutti. 

foto scena film Walter Veltroni – C’è tempo Walter Veltroni foto di Chico De Luigi

Rimane il mistero su quanto vengano pagati i diritti d’autore e l’opera di regia e forse è meglio non saperlo visto che libri e professionisti di grande successo, talvolta, vengono sottostimati e le opzioni a condizioni misere sono di grande moda. Ma la politica esprime tutto il suo potere anche quando non si occupa di politica e a noi non resta altro sfogo che quello di non andare a vedere il film di Veltroni, così forse, la smette. 

Michele Lo Foco

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Gabriele La Porta

Al mondo ci sono persone dotate di carisma e di forza caratteriale, poche, ed altre di cui non ricordi nulla, tante.

Gabriele era una forza della natura, e proprio la sua natura lo aveva forgiato e lo ha poi ucciso, un mix di esibizionismo, cultura, aggressività, bisogno di affetto e decadentismo.

Chiunque lo abbia conosciuto ha avuto modo di sentire alcuni di questi aspetti e di esserne attratto, anche perché il coinvolgimento era la sua logica lavorativa.

Come Platone anche Gabriele estraeva dalla persona quello che sapevano dare, pensare e inventare, anche se non lo avevano mai fatto. L’arte maieutica gli consentiva di creare gruppi di amanti della cultura, appassionati cantanti e poeti, estrosi artigiani e donne speranzose.

Donne: Gabriele le amava come una volta si amavano, con passionalità e dedizione, con libidine e insofferenza, e loro lo ricambiavano con amore ed isterismo. 

Gabriele resterà nella memoria degli amici che lo hanno visto cadere nel pantano della depressione e sopravviverà nella memoria lavorativa della Rai cui ha dato anima colore e passione, elementi che le mancavano e le mancano soffocati da un diffuso egoismo e da un generico disinteresse verso il mondo.

Gabriele amava il mondo in molte delle sue espressioni e lo interpretava preferibilmente come divulgatore ma poi anche come attore, attore che recita e che partecipa, che racconta e che soffre.

E’ morto soffrendo ma ci ha raccontato tanto.

Michele Lo Foco