Ogni qual volta attraverso la barriera della sicurezza che porta agli imbarchi di un aeroporto dedico almeno qualche secondo a maledire l’infame che tentò di far saltare un aereo nascondendo del plastico esplosivo nelle scarpe. Il suo nome è Richard Colvin Reid (nato il 12 Agosto 1973), nazionalità inglese, membro di al-Quaeda. Il 22 dicembre 2001 si presentò all’aeroporto Charles de Gaulle per salire sul volo American Airlines 0063 Parigi-Miami, ma fu bloccato in tempo.
Da allora, centinaia di milioni di persone ogni anno devono togliersi le scarpe e passarle ai raggi X, con un fastidio e una perdita di tempo che, se sommati con un’equazione esponenziale, fanno di questo coglione il terrorista di maggiore successo della storia.
Se esistesse un “premio Osama bin Laden”, senza alcun dubbio andrebbe a lui. Magra consolazione che si sia beccato tre ergastoli e si trovi recluso in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti. Mi auguro che San Pietro, se mai ci sarà un giudizio universale, si renda conto della gravità del suo misfatto.
“Vieni un po’ qua Richard! Allora… per quella bella pensata delle scarpe esplosive, ti condanniamo a spalare merda per l’eternità nel più fetido girone dell’inferno.”
Giustizia è fatta!
Non discuto sulle motivazioni ideologiche che l’hanno spinto a una simile azione: le complesse dinamiche della storia ci hanno portato a una gravissima crisi del sistema e l’estremismo islamico è una conseguenza facile da condannare, ma altrettanto facile da comprendere. La sua crescita esponenziale nell’ultimo ventennio è dovuta in buona parte alla politica estera ottusa, aggressiva, arrogante, insensata, degli Stati Uniti e di alcuni suoi alleati. La scusa di imporre la democrazia in paesi dove non c’è una tradizione democratica, dove le istituzioni sono molto deboli, saltando un processo che normalmente richiede diverse generazione, ci ha portato al disastro a cui stiamo assistendo, con il concreto pericolo di disgregazione dell’Europa.
L’invasione dell’Iraq, la catastrofe della Libia… e vogliamo parlare dell’Egitto? Tanto è stato fatto per trovarsi con un nuovo stato di polizia che tortura e uccide il povero Giulio Reggeni, colpevole di simpatizzare con un sindacato che si oppone al regime. Si passa da una dittatura all’altra senza scrupoli morali. Quello che sta in mezzo, l’economia della guerra, è ciò che conta: business as usual, al costo di milioni di morti e sofferenze indicibili per le popolazioni civili, com’è appena successo in Siria.
Alcuni analisti semplificano tutto con la spiegazione che la guerra muove migliaia di miliardi di dollari e rivitalizza l’economia portando utili inimmaginabili.
“Finché c’è guerra c’è speranza”, come la commedia amara con Alberto Sordi nei panni di un rappresentate di armi che bazzica per il terzo mondo devastato dalle guerre civili, rischiando ogni giorno la pelle per dare alla sua viziata famiglia un tenore di vita che non merita.
C’è da domandarsi se quella che sembra stupidità non sia invece un piano preciso, portato avanti scientificamente. Non era difficile immaginare che milioni di giovani mussulmani avrebbero aderito al sogno di vendetta di fronte all’ignoranza criminale dell’altra parte del mondo. Quanto è accaduto nell’ultimo ventennio era stato profetizzato con estrema precisione nel 1992 da Samuel P. Huntington nel suo saggio “The Clash of Civilizations”, un’opera bandita e osteggiata fino a pochi anni fa, nella quale si prevedeva che il maggiore conflitto in arrivo sarebbe stato legato all’identità religiosa. Con un approccio scientifico, analizzando le curve demografiche e i flussi economici, Huntington prevede che le cose cominceranno a migliorare solo verso il 2032. Il peggio quindi, deve ancora venire…
La lotta al terrorismo rimane un alibi perfetto e solo poche voci isolate hanno il coraggio di svelare apertamente cosa c’è dietro lo scontro frontale, il fallimento dell’integrazione di cui parlava Oriana Fallaci, che ormai ha raggiunto in punto di “non ritorno”.
La minaccia nelle grandi capitali europee è ormai costante. Non è chiaro come mai a Roma non sia ancora accaduto nulla. Dubito che i servizi segreti italiani, o quelli del vaticano, siano più bravi degli altri. E’ probabile che stiano aspettando il momento giusto per attaccare un simbolo, oppure che non vogliono farlo proprio perché è un simbolo… o forse evitano di prendersela direttamente con dei “colleghi”. Solo qualche secolo fa in fondo, il comportamento della chiesa cattolica era piuttosto violento con miscredenti ed eretici. Il Vaticano ogni tanto si scusa… vuoi per i preti pedofili, vuoi per non essersi opposto apertamente al nazismo, vuoi per le persecuzioni dei non cristiani nel lontano passato… Nel 1992 hanno chiesto scusa per quello che hanno fatto a Galileo nel 1633.
Forse anche l’Isis pensa che tra qualche centinaio di anni potrà chiedere scusa. In fondo, a parità di condizioni, pensando alle dominazioni islamiche, quando anche nel mondo occidentale la religione aveva un ruolo centrale, i mussulmani erano molto più tolleranti. Vale anche per l’Impero Ottomano e la moderna Turchia, dove Mustafa Kemal (1881-1938) era un convinto sostenitore della separazione del potere politico dalla religione, mentre Recep Tayyip Erdoğan, Primo Ministro dal 2003 e Presidente dal 2014 (leader per partito AKP) sta portando il paese verso una pericolosa regressione.
Come Huntingon aveva previsto nel 1992, ci troviamo ormai in mezzo a un “clash” tra due mondi.
La propaganda è parte integrante di questo sistema che va ad alimentare patriottismo e nazionalismo con formule semplici e convincenti, specie per chi vive nella più profonda ignoranza. La maggior parte dei giovani americani mandati a morire in Afghanistan e nelle varie missioni di guerra (citati con orgoglio dalla politica nei discorsi ufficiali) conosce a malapena la geografia e la storia del proprio paese, figuriamoci quello che può sapere di culture così lontane diverse. Lo stesso vale per i giovanissimi mussulmani indottrinati e plagiati con la promessa di una pletora di vergini che li attenderebbero in paradiso non appena si saranno fatti saltare in aria per la causa. Bisognerebbe far sapere a questi giovani obnubilati dal testosterone che le tanto agognate vergini il più delle volte sono noiose e inesperte.
Il “sacrificio della vita per la patria” è un valore intoccabile, ma nella maggior parte dei casi la triste realtà è “spreco della vita a favore degli interessi di pochi” ovvero, per dirlo con Paul Valery: “La guerra è il massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono e non si massacrano tra di loro.”
Nel mondo globalizzato non esistono più i famosi “sei gradi di separazione” (Six degrees of separation), titolo della commedia di John Guare portata poi sul gande schermo nel 1993 da Fred Schepisi con un cast stellare (che comprende gli allora giovanissimi Will Smith e Philip Seymour Hoffman).
Il film è molto bello. Racconta di un giovane sbandato, senza famiglia, negro, omosessuale, che simulando di essere la vittima di un’aggressione a Central Park, si presenta a casa di un ricco mercante d’arte (Donald Sutherland), spacciandosi per un amico dei figli che al momento sono all’università in un altro stato e non lo possono smentire. Con la sua vivace intelligenza, con una classe impeccabile, fa credere al padrone di casa e alla sua signora di essere nientedimeno che il figlio di Sidney Poitier, la star di “Indovina chi viene a cena?”.
Lo stratagemma serve a mettere a nudo le contraddizioni della società americana, nella definizione pretestuosa dei ruoli.
Il resoconto dell’episodio diventa oggetto d’intrattenimento nei salotti della New York che conta fino a che la sofisticata ma sensibile moglie del mercante d’arte (una straordinaria Stockard Channing) crolla di fronte alla consapevolezza del vuoto della sua vita, che per attimo aveva trovato un senso grazie all’incontro con Will Smith, il magnifico impostore, dotato di grande intelligenza e di una rara capacità maieutica.
La teoria che da il titolo al film, fu formulata nel 1929 dallo scrittore ungherese Frigyes Karinthy: ognuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona al mondo attraverso una catena di relazioni che contano non più di cinque intermediari.
Ormai il numero dei gradi di separazione è in caduta libera.
Per fare qualche esempio con me stesso (evitando il mondo del cinema perché sarebbe troppo facile)… prendiamo i leader delle tre grandi potenze del mondo.
La mia amica Elga conosce molto bene un uomo d’affari che incontra regolarmente il Presidente cinese Xi Jinping. Due gradi si separazione quindi tra me è il capo della più popolosa e ricca nazione del mondo.
Un’altra amica, Evelina, è stata a una cena con Vladimir Putin (ma non posso svelare le circostanze). Un grado di separazione.
Tony Lo Bianco, un attore americano con il quale ho lavorato in due film, vecchio repubblicano convinto (per me è come uno zio e gli voglio molto bene), era con Donald Trump nella sua villona di Palm Beach a festeggiare capodanno 2016. Un solo grado di separazione con Donald.
Un grado di separazione con Nelson Mandela: nel 2009 a Washington ho intervistato Sten Greenberg, che ha lavorato con lui come principale consulente della sua prima campagna elettorale. E’ quello che l’ha convito ha sostituire lo slogan “Now it’s the time!” vagamente minaccioso con la prospettiva della presa del potere nero in Sud Africa, con “A better life for all!” più inclusivo e rassicurante. Lo stesso Greenberg ha seguito la campagna elettorale di molti altri leader tra i quali Bill Clinton a Tony Blair… e anche con loro posso quindi contare un unico grado di separazione.
Jimmy Carter l’ho incontrato quando era governatore della Georgia negli anni 70’. Avrò avuto dieci anni… ma se anche non fosse successo, ecco che attraverso l’ex presidente boliviano Gonzalo Sancez de Lozada (intervistato più volte per un documentario sulla Bolivia) avrei comunque un solo grado, perché Goni e Jimmy si conoscono molto bene.
L’amico Hugo Acha, anche lui rifugiato politico negli USA, è stato accusato dal governo boliviano di essere a capo di un tentato golpe in Bolivia, con un esercito privato (inesistente) di 15.000 paramilitari. Hugo è un avvocato e giornalista, poliglotta e coltissimo… ma a parte questo (nel gioco dei gradi di separazione) conosce bene Mario Teran, il sergente dell’esercito boliviano che il 9 ottobre del 1967, a 28 anni, si offrì volontario per giustiziare Ernesto Che Guevara. Ecco quindi che posso vantare due soli gradi di separazione anche con il Che.
Pensando alle fidanzate che ho avuto in gioventù mi vengono in mente in pochi secondi i nomi di alcuni uomini famosi delle loro vite con i quali, mio malgrado, ho un solo (imbarazzante a pensarci) grado di separazione, nella condivisione di un amore, di una passione, di un’intimità… Jeff Bridges, George Roy Hill, Rod Stewart, Mick Jagger, Silvio Berlusconi, Gigi Riva, Franco Califano, Placido Domingo… e questo è il poco che ho saputo senza indagare, solo per aver ricevuto qualche confidenza.
Wittgenstein e Hitler si conoscevano da bambini. Lo racconta Beppe Grillo in un lungo e sorprendete monologo trasmesso su Netflix.
La storia che Grillo racconta è corredata da una vecchia foto scolastica del 1901, con Ludwig Wittgenstein e Adolf Hitler ritratti insieme a una ventina di altri bambini (scoperta dello storico inglese Kimberly Cornish). Non erano in classe insieme ma nella stessa scuola. Coetanei, entrambi nati nell’aprile 1889, Hitler il 20, Wittgenstein il 26. Di pochi giorni più vecchio quindi, il futuro dittatore era però un anno indietro. Hitler di umili origini, mentre il Wittgenstein veniva da una delle famiglie ebree più ricche d’Europa (il padre era un magnate dell’acciaio).
A quanto parte Wittgenstein, pur essendo ebreo, avrebbe poi rinnegato la sua gente scegliendo anche di rinunciare alle grandi ricchezze di famiglia. Nella fantasiosa visione di Grillo, sarebbe stato Wittgenstein a suggerire al suo compagno di scuola che gli ebrei sono gentaglia.
“Ma dai, Ludwig… non esagerare.” Gli rispondeva il piccolo Adolf.
Alla fine Wittgenstein deve essere stato molto convincete.
Questa geniale trovata satirica di Grillo non ha certo lo scopo di una ricostruzione esegetica della tragedia dell’olocausto, ma usando un paradosso punta a un discorso più ampio su come nella vita gli incontri possano dare una direzione completamente diversa alla storia di una persona, a volte di una nazione o dell’intera umanità.
Grillo porta ad esempio la sua esperienza personale: dal laboratorio del padre tornitore a Genova e una breve stagione di rappresentante di capi d’abbigliamento, passa al racconto dei suoi esordi… Dalle conzoncine satiriche ai primi monologhi, fino al successo sorprendete della TV, quando c’erano solo Rai 1 e Rai 2. Tutti i passaggi sono corredati da spiegazioni in linea con il tema di fondo del racconto: ogni fallimento diventava l’occasione per rigenerarsi e aggiustare il tiro verso il compimento del proprio destino personale.
Anche la famosa puntata di Fantastico del 1986, nella quale Grillo accusò i socialisti di essere ladri, viene analizzata con precisione antropologia. Se Bettino Craxi non si fosse incazzato (negando l’evidenza di una disonestà ormai istituzionalizzata) il suo destino sarebbe stato un altro. Essere sbattuto fuori dalla Rai per sedici anni dopo aver pronunciato una verità ormai evidente a tutti, lo trasformò immediatamente in un eroe che con i suoi monologhi riempiva i teatri, e poi addirittura gli stadi. Questa dimensione da outsider, con un grande seguito di pubblico, ha definito le basi della sua discesa in politica.
E’ curioso come venga spontaneo in italiano parlare di “discesa” in politica. In spagnolo, forse con più ottimismo, l’espressione è “dare il salto” alla politica.
Erano molti anni che non vedevo Grillo in azione e il lungo monologo su Netfilx me l’ha restituito nel ricordo con un assestamento spontaneo alla sua maturità e alla mia, in questa nuova stagione della vita. Il mio grado di separazione con lui è una sua partecipazione a un film di Sabina Guzzanti del quale ero produttore esecutivo, “Viva Zapatero!” (2005), dove Grillo si rivolgeva a un gruppo di giornalisti, senza astio, dicendo che parlare con loro era inutile poiché avrebbero sicuramente manipolato le sue parole. All’epoca però non ebbi modo di incontrarlo.
Il disegno dello spettacolo trasmesso su Netfilx è perfetto, come la sceneggiatura di un film ben scritto, che spazia tra i ricordi personali, l’analisi antropologica della società italiana in un momento di profonda crisi e decadenza, gli accenni amichevoli e nostalgici della giovinezza condivisa con Fabrizio De Andrè e Gino Paoli (presente in sala)… Il top è quando racconta della sua amicizia con Renzo Piano e del disaccordo da quando è stato nominato “senatore a vita”, immaginando che Napolitano lo chiamasse per farlo andare a votare in senato.
La parte più esilarante è il racconto di una serata alla Casa Bianca per un premio consegnato da Clinton all’archistar Renzo Piano che aveva invitato Grillo e signora a seguirlo (The Pritzker Arichitecture Prize, edizione 1998). Dopo la quasi vivisezione di Parvin Tadjk all’aeroporto di Washington (la moglie di Grillo, di origine iraniana), il comico/politico non resite all’occasione che gli si offre quando Clinton chiama uno ad uno i vincitori delle edizioni precedenti del prestigioso premio. Le varie archistar del mondo si alzano e raccolgono un applauso. Ma ecco che uno dei nominati è assente… forse un errore del protocollo e forse è andato in bagno. Senza esitazioni Grillo si alza, raccogliendo l’applauso: archistar anche lui, per un minuto. Una ricchissima cinese seduta al suo tavolo ci casca in pieno e gli chiede per quale opera aveva ricevuto il premio.
“Per un ponte – improvvisa Grillo – che va dall’altra parte e poi torna indietro perché andare di la non aveva più senso.”
Pare che Renzo Piano si sia proprio arrabbiato.
Il racconto delle diatribe personali con l’amico architetto è corredato dai filmati realizzati con il cellulare in uno studio dentistico di Pegli, dove entrambi si fanno trapanare. Mentre il primo è sotto i ferri con la bocca spalancata e non può parlare, l’altro lo tartassa… poi i ruoli s’invertono.
Nello stesso monologo Grillo svela che a Genova, negli anni dell’infanzia, il suo vicino di casa era Donato Bilancia, futuro serial killer, condannato per 17 omicidi.
La madre di Grillo quando uscivano la sera gli diceva:
“Mi raccomando… Poi torna a casa con Donato così mi sento tranquilla.”
Questa coincidenza gli permette di asserire legittimamene:
“Ma non lo capite che io non ho paura di niente? Da bambino sono stato coccolato da un serial killer!”
La conclusione della brillante e movimentata esposizione di Grillo è ovviamente il suo approdo alla politica: l’incontro con Casaleggio e la creazione del Movimento 5 Stelle.
L’elettorato italiano, ormai esasperato, sta premiando questo tentativo di rivoluzione che ha lo scopo far saltare un sistema profondamente corrotto, con il sogno di una diversa forma di rappresentanza.
“Basta delegare a un’associazione per delinquere!”
Non c’è da stupirsi per il successo dei 5Stelle quando gli altri fanno una figura di merda dopo l’altra e continuano sistematicamente a mentire. Virginia Raggi si è un po’ incartata come sindaco di Roma, facendo una serie di errori, ingenuità e cazzate abbastanza gravi che forse hanno frenato il volo del movimento dopo la disfatta del referendum Renzi/Boschi… ma ancora il margine è ampio rispetto alla pochezza dell’ennesimo rimpasto di governo, alle faide interne al PD, alle boutade proto naziste di Salvini, alla volgarità cronica di altri protagonisti. Quanto dovremo aspettare prima di avere un Presidente del Consiglio votato dai cittadini? Monti, Letta, Renzi, Gentiloni… tutti risultato di accordi politici sotterranei “nell’interesse del paese”. Balle! Quegli accordi sono nell’interesse dei partiti di governo e di alcuni potentati, non certo dei cittadini.
Nel 2006 intervistai Massimo Cacciari per un documentario sul 68’ realizzato per Cinecittà-Luce. Era amico di mio zio Vittorio e di mia cugina Alberta Basaglia, lo conoscevo abbastanza bene anche per aver dato un esame con lui nel 1984, quando insegnava “estetica” alla facoltà di architettura di Venezia. Gli sarò sempre grato per avermi insegnato/suggerito un metodo di approccio alle cose, un’impostazione analitica che cerca di lasciare al caso il meno possibile.
Durante l’intervista, allargando il discorso agli anni di piombo, disse una cosa che spesso mi torna alla mente.
“Non dimentichiamoci che il giorno in cui fu rapito Aldo Moro il partito comunista avrebbe votato in parlamento il sostegno al governo Andreotti, passando dall’astensione al “sì”… E non diciamo che il terrorismo non paga. Il terrorismo paga eccome! Cosa sarebbe stato questo paese se fosse andata avanti la politica del compromesso storico che poteva essere garantita solo da Moro e Berlinguer?”
La domanda legittima è se il movimento di Grillo, sarebbe in grado di gestire una transizione nel momento in cui avesse davvero l’occasione di riformare il paese.
Mi sembra che la tendenza generale è la convinzione che non possa fare peggio di chi l’ha preceduto: meglio rischiare il tutto e per tutto che la delusione continua, le bugie, l’illusione cronica del “meno peggio”. Una classe politica profondamente corrotta e autoreferenziale che ha perso il contatto con la realtà, che ha infettato il paese come un cancro, contribuendo al dissesto del sistema bancario… dalle alte sfere ai piccoli consigli comunali, alle mille inutili poltrone d’impensabili enti che fanno vivere molto al di sopra dei loro meriti una schiera infinita di mediocri approfittatori… quella che già il Principe di Salina vedeva arrivare come un’orda barbarica.
“La mia è un’infelice generazione, a cavallo tra due mondi e a disagio in tutti e due. Noi fummo i gattopardi, i leoni… Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene…”
Qualche anno dopo Tomasi di Lampedusa, un’altra analisi spietata del grande Richard Buckminster Fuller, architetto, filosofo, inventore, scienziato… che nella sua lucida e profetica visione del mondo, divideva gli uomini in cinque categorie.
“La quinta e ultima categoria è quella dei politici, persone che non hanno particolari capacità, per lo più mediocri, ma che hanno la determinazione, il carisma, l’arroganza o la fortuna di arroccarsi in una condizione di potere, di controllo sulle altre categorie, difendendo quello status che gli garantisce la sopravvivenza a un livello molto superiore di quello che le loro effettive capacità gli consentirebbero.”
Il tentativo riformatore di Matteo Renzi purtroppo è miseramente fallito, non credo per malafede o disonestà, ma per ignoranza, per arroganza, per aver scelto ancora una volta dei collaboratori inadeguati. Una grande occasione perduta.
Devo ammettere che mi sento molto più preparato sulla politica boliviana che su quella italiana. Della Bolivia so quasi tutto e sono costantemente informato da una rete molto attiva.
La complessità dell’Italia è scoraggiante e poiché da diversi anni vivo la maggior parte della mia vita all’estero, mi sento meno legittimato a intervenire nella specificità dei problemi di casa nostra. Quando leggo i giornali italiani on line mentre sono in viaggio, mi sento quasi un turista che cerca inutilmente di comprendere le notizie e la loro forma, spesso palesemente faziosa. La sostanza è che in Italia siamo quotidianamente vessati, minacciati, soffocati dalla burocrazia che approfitta della debolezza del singolo, perseguitandolo sistematicamente, mancando completamene nel rigore e nelle certezze che uno Stato dovrebbe dare al “suddito” per avere credibilità. Invece della semplificazione mille volte promessa, arrivano ogni giorno nuove complicazioni. E’ un sistema che celebra e difende il suo ruolo, nascondendo con la boria un’evidente inadeguatezza, un’incapacità di risolvere i problemi.
Quello che spaventa davvero è la profonda ignoranza della maggior parte dei politici. Saranno anche lo specchio del paese, ma in una prospettiva davvero scoraggiante. Non è detto che la cultura, la conoscenza, siano sinonimo di onestà, ma sono convinto che una visione più ampia, un metodo, la curiosità e il rispetto per tutto ciò che non si conosce a fondo, l’amore per l’arte… possano essere l’ispirazione per un vero impegno civile. Poi forse, sporcarsi le mani nella mischia diventa inevitabile, chissà, bisognerebbe avere la voglia di provarci. Finora non ho mai avuto la “tentazione della politica” se non per qualche istante di rabbia, quella stessa rabbia e delusione che certamente hanno motivato Beppe Grillo.
L’Italia potrebbe vivere di cultura per il patrimonio unico che possiede, ma non ha mai avuto una politica culturale.
La strada da percorrere non può che essere quella della competenza, delle capacità di affrontare i problemi con la sicurezza che deriva da un bagaglio di conoscenze, non da una sistematica e ridicola improvvisazione. Basta con l’incompetenza! E’ anche vero che solo gli strafalcioni e le figure di merda dei politici fanno notizia, ma negli ultimi tempi c’è stato un peggioramento progressivo che porta addirittura al rimpianto di una stagione ormai tramontata. Una Ministra dell’istruzione che millanta una laurea mai conseguita… Un leader di partito che confonde per ignoranza una cosa per un’altra… “Pinochet dittatore del Venezuela” e che lotta perennemente con i congiuntivi… e ancora peggio, ancora più pericoloso, presentarsi agli appuntamenti internazionali con i potenti della terra, rappresentati da un ministro degli esteri che non spiccica una parola d’inglese e si spiega a gesti, in un ridicolo e imbarazzante teatrino.
Il livello è troppo basso. Così non c’è speranza.
Ferdinando Vicentini Orgnani
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