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Crazy for Football

Fresco della candidatura al David di Donatello come miglior documentario, esce domani 23 febbraio nelle sale Crazy for football di Volfango De Biasi, la storia del primo campionato del mondo di calcio a 5 per giocatori con problemi psichici. Lo sceneggiatore del film, Francesco Trento, ci racconta i retroscena e i possibili sviluppi di questa esperienza indimenticabile

 

Tutto è cominciato nel 2004, quando Volfango De Biasi mi ha proposto di andare ad allenarci con un gruppo di pazienti psichiatrici che giocava a calcio per curarsi.

All’inizio, l’idea di Volf era quella di scrivere un film. Avremmo dovuto frequentare un po’ i ragazzi, capire bene come funzionava questa cosa del campionato tra i Dipartimenti di Salute Mentale, e poi cavarne fuori una sceneggiatura, una specie di Full Monty all’italiana.

Ci ha accolti uno spogliatoio come tanti: i ragazzi parlavano di calcio e di donne, discutevano di Roma e Lazio, insistevano con lo psichiatra per giocare subito una partitella invece d’allenarsi.

E poi, dieci minuti dopo l’inizio della partitella, è successa la cosa che ha cambiato tutto: alla terza o quarta azione Benedetto, un ragazzo schizofrenico, s’è involato sulla fascia. Mario, un centravanti dai piedi raffinati e dalla stazza imponente, libero al centro dell’area, ha iniziato a urlargli “crossa, mettila in mezzo, crossa!”. Benedetto però non l’ha ascoltato: ha dribblato un paio di persone, è arrivato sul fondo e ha tentato un tiro impossibile, che è passato dietro la porta. Marione non ha gradito, gli è andato incontro piuttosto alterato e gli ha urlato di nuovo: “Passala, la devi passare!”. Al che Benedetto, con la più totale naturalezza, ha allargato le braccia e ha risposto: “ ‘A Mario, io già sento le voci, se te ce metti pure te…”.

“Ok, non abbiamo bisogno di attori”, ha detto subito Volfango. E il film è diventato, ancora prima di cominciare, un documentario.

È nato così Matti per il calcio. Un piccolo film autoprodotto rompendo i nostri salvadanai e chiedendo tanti favori a gente meravigliosa, poi venduto alla Rai e a varie televisioni europee. Ma da quel film, e dal lavoro indefesso di un manipolo di psichiatri all’avanguardia, è venuto fuori un miracolo: dalle 30-40 squadre esistenti tredici anni fa, si è passati oggi a migliaia e migliaia di squadre di pazienti psichiatrici nei cinque continenti, in campionati che molto spesso si chiamano proprio “Matti per il calcio”.

Chiudendo il cerchio, Nobuko Tanaka, che aveva visto e amato il documentario, è diventata nel 2016 la prima organizzatrice di un mondiale per pazienti psichiatrici. Quello che con Volfango abbiamo raccontato in Crazy for football.

Ma ecco, perché vi infliggo questa lunga narrazione?

Perché in Italia abbiamo chiuso i manicomi, tanti anni fa. Ma in molti paesi, compreso il Giappone, dove si è tenuto il mondiale, i manicomi ci sono ancora. E alcuni di quei luoghi, come quelli raccontati da Scott Typaldos nei suoi strazianti reportage da Bosnia, Kosovo, Indonesia, sono puro inferno. Un inferno dove i pazienti psichiatrici vivono incatenati, subiscono angherie di ogni tipo, nascosti allo sguardo del mondo.

E non lo so, ieri, pensando a quanta strada abbiamo fatto dopo Matti per il calcio, mi è venuto di sognare quanta strada potremmo fare con Crazy for football. E ho pensato che, boh, se grazie a questo film verrà chiuso anche uno solo di quegli inferni, allora avremo fatto una cosa davvero enorme. Che se grazie a questo film Volfango de Biasi e Santo Rullo riusciranno a organizzare il mondiale a Roma nel 2018, allora avremo tirato via dai loro letti, dalle loro stanze buie, altri ragazzi, dato una nuova spinta a un movimento che sta rivoluzionando la psichiatria, diminuendo drasticamente gli effetti collaterali dei farmaci, aiutando i pazienti a reinserirsi nella società, garantendogli non solo le cure, ma anche e soprattutto la dignità e la qualità della vita.

Ma questo miracolo, ecco, dobbiamo farlo insieme. Se vi è piaciuto il film, parlatene, e poi magari parlatene ancora. Se non lo avete visto, nei prossimi giorni lo trovate in sala. Quanto ci rimarrà, quanto se ne parlerà, se Volf e Santo riusciranno a coinvolgere sponsor, donatori, per organizzare il prossimo mondiale, dipende un po’ anche da voi. Se in qualche parte del mondo un’altra Nobuko Tanaka metterà in piedi un movimento con 600 squadre, dipende forse da quanti battiti d’ali, da quante farfalle riusciamo a mettere in campo da quest’altra parte del mondo.

Oppure, se preferite, mettiamola così: noi la palla l’abbiamo crossata. Adesso sta a voi spingerla in rete.

Francesco Trento

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