Per Cinema Digitale s’impone innanzitutto definire un lessico comune e disambiguo che non può certo limitarsi alla mera definizione tecnica del processo di acquisizione e proiezione delle immagini, né al solo aspetto materiale dei dispositivi e la componentistica o all’ambito informatico degli algoritmi e dei protocolli che stanno alla base del suo funzionamento.
Nel senso più ampio la definizione di Cinema Digitale deve ricomprendere il nuovo paradigma di fruizione dei contenuti audiovisivi, che grazie alla dematerializzazione delle informazioni1, è cambiato radicalmente tanto da influenzare a sua volta la creazione dei contenuti.
Nella storia della narrazione si sono già verificate numerose rivoluzioni di cui il cinema è una di esse ed oggi non è ormai né la più recente e nemmeno la più antica.
Fa riflettere come Cinema sia in realtà la forma abbreviata della parola Cinematografo, che identificava un brevetto (quello depositato da Auguste e Louis Lumiére nel 1895) e successivamente, per estensione, un luogo adibito alla fruizione delle immagini in movimento (sì perché cinematografo deriva dalle parole Kinema = movimento + grapho=descrivere).
Il Cinema quindi in origine designava non il contenuto , ovvero il film, ma il suo contenitore. L’esperienza dello spettatore è centrale e più importante del significato delle immagini che scorrono sullo schermo. Più precisamente si può dire che l’eclatanza del mezzo precede sempre temporalmente il suo utilizzo semantico al servizio del racconto.
Accadde per il sonoro come per il colore o anche per i formati di ripresa e proiezione. Al principio il colore aveva il compito di riprodurre la realtà e stupire così la platea, in seguito l’intervento sugli aspetti cromatici del film ha assunto un ruolo pregnante nella sintassi del linguaggio filmico e così si può dire anche dell’introduzione dello zoom.
Media, autore e spettatore si influenzano così in un’interazione che da luogo ad esiti inediti. Ad esempio la formula del racconto seriale, che pur già esisteva all’epoca d’oro del cinema, trova la sua maturità solo dopo l’avvento della televisione con la nascita dei telefilm e sopravvive molto bene all’evoluzione dei media sino ai giorni nostri con il fenomeno delle serie web
La digitalizzazione ha comportato un profondo mutamento non soltanto nelle tecniche di ripresa cinematografica, ma anche nella distribuzione dei film, sia nelle sale cinematografiche che negli altri canali della filiera. Il digitale ha ridotto enormemente i costi ad ogni livello rispetto alla pellicola e risolto problemi di qualità che la pellicola comportava (si pensi anche solo alle copie rovinate dopo numerose proiezioni).
Il miglioramento dei protocolli di compressione dati ed il diffondersi delle reti ad alta velocità (la fibra ed il wi fi) hanno infine reso possibile anche la “smaterializzazione” del luogo di fruizione del racconto. Se alla sala si era aggiunto negli anni 50 il salotto di casa,
Un film è scomponibile in informazioni relative alla luminanza, la crominanza del video ed alle frequenze e decibel dell’audio.
oggi è possibile vedere un film ovunque arrivi lo stream di dati, basta disporre di un dispositivo connesso, un PC, un tablet o l’onnipresente telefonino.
Cosa sia meglio tra i vari media e i vari topoi e cosa sia cinema e cosa non lo sia (molti dicono che le serie degli OTT come Netflix e Amazon non siano cinema con la C maiuscola), rischia di essere un dibattito oltre che poco interessante anche piuttosto sterile di indicazioni utili.
Più fecondo è invece spostare l’attenzione dei professionisti del settore sul fatto che ogni produzione intellettuale legata alla narrativa periodicamente gemma una nuova modalità e che ciò implica un nuovo ordine e ridimensionamento tra le varie alternative di fruizione.
Ma nella savana della comunicazione, se analizziamo nella storia recente, sono piuttosto rare le estinzioni e molto più frequenti le convivenze tra specie differenti. Certo l’imprenditoria ha il compito di individuare quale sarà il leone dominante dei prossimi anni ed alla politica spetta i compito di dettare delle regole etiche che permettano a tutti di accedere ed operare in questo ecosistema.
Ciò che invece non è possibile è dettare le regole ai consumatori, i quali come l’acqua scorrono verso l’alveo che trovano più comodo e confacente.
L’audience tra l’altro non è un monolite omogeneo e coeso, ma differisce per gusti, abitudini, età anagrafica ed evoluzione “tecnologica” e queste sono variabili che hanno senz’altro tante intersezioni ma nessuna condivisione unica.
All’industria conviene perciò imbandire un buffet di alternative tra le quali lo spettatore sceglierà quella che preferisce.
Ritornando in ultimo alla dialettica tra Cinema e Cinematografo, non ci confondiamo in quest’era digitale come agli albori tra causa ed effetto e teniamo bene a mente che l’opera audiovisiva è in ultima istanza un contenuto e non un contenitore.
Il cinema è il vino, non la bottiglia.
Avv. LoFoco