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Io, Vittorio Feltri

IO,VITTORIO FELTRI: IL GIORNALISTA CHE TUTTI CONOSCONO, L’UOMO CHE POCHI CONOSCONO.

Il 17 luglio il quotidiano Libero, fondato da Vittorio Feltri, compie vent’anni. Nell’occasione verrà presentato e offerto il film Io, Vittorio Feltri, (durata 65’) scritto e raccontato da me, diretto da Tiziano Sossi, prodotto e distribuito dalla Dna di Giovanni De Santis. Ne propongo una selezione.

Le vicende attuali, già troppo scritte e parlate, vengono sorpassate, qui si parla d’altro e di un altro Feltri.

Partirei da alcune delle guest star presenti nel cast.

Francesco Alberoni: sociologo scrittore: “E’ il giornalista più coraggioso e il più sincero. Ha un suo punto di vista che vuole comunicarti, con uno stratagemma apparentemente paradossale, ma te lo dice con grande chiarezza. E’ un amico che ti parla.”

Paolo Del Debbio, docente universitario conduttore: “Feltri o del piacere della lettura. Scrive in un modo originale, suo, bello, lineare, che va subito al nocciolo della questione.”

Michela Vittoria Brambilla, politica, conduttrice: “Innanzitutto devo ammettere che io adoro Vittorio Feltri, dunque in questo mio racconto sarò parziale. Ma così è…”

Angelo Stella, storico della lingua, accademico delle Crusca: “E’ il giornalista che sa parlare alle masse, con cui vado meno d’accordo ma che leggo più volentieri.”

Pietro Senaldi, direttore responsabile di “Libero”: “Ho voluto fortissimamente lavorare con Feltri, perché ritenevo che lavorare con lui fosse un investimento per la mia professione.”

Alessandro Sallusti, direttore responsabile del “Giornale: “Feltri è un caposcuola, ha inventato un genere. Ma nessuno può aspirare ad essere il suo erede. Il feltrismo rimarrà cosa sua.”

Pupi Avati, regista: “Caro direttore, nel finale, con quei ragazzi che le chiedevano un selfie, avrei voluto che il film continuasse, che lei continuasse a dirci di sé. Come d’altra parte farà da domani mattina.”

Rachid Benhadi, regista algerino, una delle maggiori personalità della cultura africana. Vive anche in Italia. “Un proverbio arabo dice: voi fermatevi all’apparenza, io scendo dopo, alla sostanza, che è il lato umano, sincero, profondo di Vittorio Feltri.”

Gabriele Albertini, già sindaco di Milano, europarlamentare. Ha esordito dicendo: “Se Montanelli è il principe dei giornalisti, Feltri è il duca.” Poi si è rivolto a Feltri: “Credo che tu sia i titoli dei giornali che hai diretto. Il Borghese… e guarda la tua storia, sei il borghese del novecento, quello di qualità. Sei “libero”: il tuo pensiero non si assoggetta alle compiacenze del momento né al rapporto col potere. Indipendente: hai sempre cercato di avere i lettori come tuoi padroni. Europeo: intendi l’Europa non come burocrazia, non come UE, ma come storia.”

Feltri è forse il giornalista più popolare del Paese. In questa epoca dove la comunicazione deve essere diretta come un pugno, dove la critica deve diventare un attacco, ha adottato quel suo linguaggio che non fa prigionieri che si attesta su una posizione liberale che guarda a destra ma è capace di criticare quella stessa posizione se è il caso. Nel tempo, ha perfezionato il suo segnale più identitario, il “politicamente scorretto”. Feltri ne ha fatto una bandiera. Il “direttore”, è notorio, è personaggio divisivo, amato e odiato. Una certa fascia lo attacca e crocefigge, altre fasce lo seguono con passione, anche se magari non lo confessano, come accadeva col Berlusconi politico. L’ uomo, nella sua imperfezione, nel suo dividere l’utenza per sgradevolezza e antipatia o per i loro opposti, funziona. Ma questa, visibile e prevalente, è soltanto una parte di Feltri. Poi c’è l’altra, nascosta, direi “privata per pochi” ed è quella dell’intellettuale capace di uno stile di scrittura da romanziere, di un’analisi di un testo da accademico, di un’umanità semplice e profonda. E’soprattutto di questo Feltri che racconta il film.

Il termine è “direttore”, decisivo, quello che più identifica l’uomo. In sintesi estrema:

Feltri è stato un nomade delle direzioni, con corsi e ricorsi, con una costante non banale: assume una direzione e le vendite si moltiplicano, lascia le direzioni e le vendite cadono, viene richiamato e la testata si rilancia. Un dato che si è verificato in tutti i giornali da lui diretti: da Bergamo oggi, a seguire con L’Europeo, L’Indipendente, Il Giornale, Il Borghese, traiettoria che il film racconta nei dettagli.

Feltri parla della famiglia. Tanti particolari: il papà morto a quarantasei anni quando Vittorio ne aveva sei, la mamma, giovane vedova, che dovette subito lavorare duramente, i fratelli più grandi che lo tutelavano. Poi la prima moglie scomparsa giovanissima, poco dopo aver dato alla luce due gemelle e la seconda moglie, Enoe, madre di altri due figli, tanti racconti, anche fra sentimento e dolore.

La formazione e le passioni.

Feltri racconta dei suoi riferimenti letterari: i russi con predilezione per Dostoevskij e i romantici francesi, Stendhal e Balzac. Gli italiani che lo hanno segnato: Zeno e Berto fra gli altri. Ne parla da competente vero. La letteratura non è disciplina estranea a Feltri, parlo di quella personale. Se è vero che due suoi (molti) libri, Non abbiamo abbastanza paura e Il borghese sono nel catalogo degli Oscar Mondadori, collana nobile.

C’è un passaggio al ristorante “Carpaccio” specialità pesce, ma il direttore ha altre preferenze: il pizzocchero. Che gli viene servito.

Alla fine, il cameriere, gentile: “Direttore gradirebbe un caffè?” “Preferirei un whisky, torbato.”

Voglio indicare tre momenti del mio rapporto con Feltri. Lo conobbi quando, primi anni ottanta, ero direttore dell’emittente bergamasca Videodelta, la prima del network Rete 4, allora della Mondadori.

Enoe, moglie di Feltri, era la mia assistente. Un anno ero a Pontremoli, il mio romanzo La grande ambizione aveva vinto un premio Bancarella.  Feltri era lì a rappresentare Oriana Fallaci, sua grande amica, che era in America. Tre anni fa, tornato a dirigere Libero, mi telefonò chiedendomi se volevo collaborare. Da allora il rapporto è stato… assiduo.

In una delle sequenze finali gli dico: “C’è un momento in cui ti metti una maschera, indossi un costume e sali sul palcoscenico del piccolo schermo, e il pubblico ti applaude, sei attore di grande successo. Poi c’è l’uomo, che è diverso dall’attore… e forse è migliore.

Risposta: “Beh, se lo dice Farinotti devo credergli. Ma non del tutto.”

Quello che segue è la voice-over che accompagna l’ultima scena, dove Feltri cammina in mezzo alla gente in Galleria. Lo fermano continuamente, molti giovani.

“Vittorio Feltri non è lontano dai suoi primi ottant’anni. Ha molto operato in questa prima parte della sua vita. Si è fatto notare.  Non c’è dubbio che, uomo di ieri e di oggi, sarà anche uomo di domani. Quando gli è stato chiesto di dire il suo epitaffio ha risposto finalmente. Ma mentiva. Ha troppo vissuto e si è troppo speso per pensare di astenersi dalla vita. E’affezionato al suo ruolo “contro”, abrasivo, irriverente, non mollerà. E poi cosa farebbe senza i suoi lettori che si fidano di lui, della sua chiarezza e della sua onestà. E che sono, come Feltri dichiara, i suoi padroni.  Ed è corretto che questa storia finisca con l’attore, e l’uomo, nel suo scenario naturale, in mezzo alla gente.”

Pino Farinotti

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