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LA CASA DI JACK

Regia di Lars von Trier.

Un film: con Matt Dillon, Bruno Ganz, Uma Thurman, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Riley Keough.

Una cruda discesa agli Inferi, il 15esimo lungometraggio del regista pluri-contestato Lars Von Trier. Anche questa pellicola si ritaglia uno spazio all’interno del genere Dogma, inventato dallo stesso regista. La casa di Jack (The House That Jack Built) scandisce in 5 capitoli – definiti “incidenti” – gli efferati omicidi commessi da Jack, appunto, un uomo comune che paragona questi atti a forme espressive e artistiche alte, al pari della natura complessa e articolata delle cattedrali gotiche o delle poesie di Dante. In un escalation di orrore e pazzia entriamo passo passo nel delirio folle del protagonista, che ha una dipendenza dall’omicidio e dalla tortura, e che nella sua pazzia teorizza lucidamente le ragioni che lo spingono all’azione. È lui stesso voce narrante della vicenda, in un dialogo fuori campo con Verge, la cui identità ci sarà svelata solo nel finale. Jack disquisisce con questo personaggio circa la mania compulsiva che lo spinge a uccidere, e scende nei dettagli più macabri delle pene che infligge alle sue vittime. Matt Dillon è riuscito molto bene a vestire i panni di un uomo talmente lontano dalla soglia di accettazione e comprensione umana che lo stesso attore ha più volte ammesso lo sforzo immenso nell’entrare nella mente del personaggio. Come sempre è forte il richiamo – e la critica – alla morale cattolica, e l’affermazione che la ricerca del “sublime”, espresso da una forma artistica, sia giustificata a rompere le barriere di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Magistrale, come sempre, la capacità di Trier di raccontare la storia di un serial killer scardinando il senso comune, fornendo una prospettiva disturbante quanto però alternativa.

Forse dal regista di Dogville, Melancholia, Nymphomania ci si sarebbe aspettati una trama più dinamica rispetto a un modo di procedere ripetitivo e prevedibile, che ricalca, però, la mente del protagonista. La narrazione, con continue incursioni di dimostrazioni teoriche, quasi fossimo davanti a un trattato rinascimentale, scomoda i massimi sistemi della speculazione artistica creando un esilarante contrasto con la grottesca comicità che ritroviamo in altri punti. Molteplici sono le citazioni colte che si colgono: una fra tutte, nelle scene in cui Jack mostra i cartelli appoggiato a un’automobile c’è un chiaro riferimento al video Subterranean Homesick Blues di Bob Dylan. L’utilizzo della Steadicam si inserisce nel modus operandi del regista conferendo una drammatica crudezza a quanto narrato. Una menziona va anche al cameo di Uma Thurman,

la prima vittima di questo sanguinolento racconto. Film molto ambizioso, che va approcciato senza giudizi di morale, lasciando cadere le nostre certezze di uomini illuminati dalla ragione e figli di una cultura occidentale, e accogliendo il perverso e l’animalesco come parte di un universo che prevede anche questo. Trier si spinge davvero molto in là in questa pellicola nel chiederci di sospendere il giudizio. In scena c’è l’apice estremo della frustrazione di un uomo che, mediante un sadismo osceno e perverso, tenta di dare un senso alla sua esistenza, di lasciare una traccia, così come vorrebbe essere in grado di costruire ex-novo la sua dimora, con le abilità di architetto tanto millantate fin da giovanissimo e che non è mai davvero riuscito a tradurre in qualcosa di concreto, in un’opera d’arte appunto.

Uscita cinema giovedì 28 febbraio 2019

Jessica Sottile

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