Tre ragazzini indiani vengono arrestati. In attesa di giudizio, alla stazione di polizia, ascoltano la storia di Aja, ex-fachiro ora insegnante. Bambino poverissimo di uno slum di Mumbai, cresciuto tra trucchi di magia e furti, l’uomo realizza il proprio sogno quando, adulto, riesce a visitare il negozio Ikea di Parigi. In un soggiorno Kallax incontra Nelly ed è subito colpo di fulmine. Fissato il primo appuntamento sotto la Tour Eiffel, però, Aja le dà buca perché, addormentatosi in un armadio, è costretto ad un mirabolante viaggio tra Europa e Africa, prima di poter finalmente tornare da lei.

Tratto dal best-seller “L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea”(2013) di Romain Puértolas, arriva in sala una co-produzione franco-belga-indiana – il protagonista è interpretato da Dhanaush, famoso performer, cantante e produttore del Rajasthan – che affronta il tema dell’immigrazione e del destino beffardo che costringe l’umanità al nomadismo forzato.

Il regista Ken Scott – Starbuck – 533 figlie non saperlo (2011) – mette in scena un coloratissimo e rocambolesco family-(road)movie a spasso per un Europa magica ed esotica. Una piccola Odissea, un viaggio tra i luoghi che sono (Libia, Italia, Francia) e furono (i moriscos in Spagna) teatro della migrazione nel Vecchio Continente; una favola contemporanea che sprizza allegria e buon umore – con la consueta esibizione musicale in stile Bollywood–, ma che, pur evitando il sentimentalismo e il pietismo (grazie all’ironia), non riesce a sfuggire, in alcuni momenti, ad una morale preconcetta – le condizioni “disumane” degli esuli nella sala d’aspetto spagnola – e ad una rappresentazione stereotipata di certe situazioni narrative – la sezione italiana, per esempio, mescola un intreccio alla “Vacanze romane” (William Wyler, 1953) con una versione comedy dei film sulla malavita nostrana (il produttore cinematografico tratteggiato come un boss imbranato).
Senza (volutamente) la forza drammatica di “Lion – La strada verso casa” di Garth Davis (2016), ma con la struttura analettica, che ripercorre l’infanzia del protagonista, di “The Millionaire” di Danny Boyle (2008), “L’incredibile viaggio del fachiro” è un’avventura metaforica che mostra l’importanza della casualità, del Fato, nelle nostre esistenze. Perché, come ricorda l’incipit della pellicola (citando Rousseau), l’uomo nasce libero e uguale ma un attimo dopo il suo primo vagito viene “incatenato”, indelebilmente segnato dal contesto (socio-economico) in cui è venuto alla luce.

E se la Sorte è ineludibile, l’uomo possiede comunque uno strumento formidabile per tentare di sottrarsi alle sue spire, riscattarsi e scegliere chi essere: l’immaginazione.
Così, Aja inventa una storia: una storia in cui sentirsi ricchi – di possibilità e di denaro –, una storia in cui farsi beffe della povertà, del colore della pelle; una storia che è un sogno da realizzare, da inverare, anche solo, come dirà l’uomo ai tre ragazzini, «in alcune parti… le più importanti»; la storia di un fachiro turista, non più profugo, che, attraverso un racconto, trasforma la tragedia dell’immigrazione in commedia.
Alessio Romagnoli