“Io vorrei sapere: senza fede, senza ipotesi. Voglio la certezza. Voglio che Iddio mi tenda la mano e scopra il suo volto nascosto, e voglio che mi parli. Il suo silenzio non ti parla? Lo chiamo e lo invoco, e se egli non risponde io penso che non esiste. Forse è così, forse non esiste. Ma allora la vita non è che un vuoto senza fine: nessuno può vivere sapendo di dover morire un giorno come cadendo nel Nulla, senza speranza. Molta gente non pensa né alla morte né alla vanità delle cose.
E ancora: “Il sole compie il suo alto arco nel cielo, e io Antonius Blok gioco a scacchi con la morte.”
Sono frasi scritte da Ingmar Bergman e recitate da Max von Sydow nel “Settimo sigillo”. Basterebbero queste citazioni per fare dell’attore svedese una pietra alla Stonehenge della storia del cinema. Sentimento e cultura e quella domanda sul mistero della fede, che certo non era roba nuova (vedi l’Essere non essere del pardo oltre a tutta “quella letteratura”) ma detta dal cavaliere di ritorno dalla crociata, nelle ombre dolenti di quel film, era qualcosa a cui tutti noi, negli anni vulnerabili della formazione e dei cineforum, assistevamo con occhi incantati, animo propizio e sussulto del cuore. E può essere che la potenza di quelle immagini abbia anche contribuito alla nostra fede o ai nostri dubbi.
Basterebbe ho detto, ma Max von Sydow ha fatto quasi settant’anni di cinema. Di tutto-cinema. Partito come modello di uno dei massimi autori, Bergman, si è poi evoluto attraverso tutti i generi e tutti i Paesi. Ha letteralmente frequentato tutti i set. Credo proprio: nessuno come lui.
E così, secondo il mio schema quando devo raccontare di qualcuno che ha fatto così tanto, ricorro, come per altri e, recentemente per Kirk Douglas, alla memoria immediata, che è quella capace di cogliere l’essenza dei personaggi e delle vicende. Nel 1965 l’attore è stato Gesù nella “Più grande storia mai raccontata”, di George Stevens, dove dava corpo e volto a un messia non perfettamente allineato all’ortodossia. Non posso non ricordare il sacrificio di Max nei panni di padre Merrin nell’”Esorcista”, firmato da Friedkin nel 1973. Nei Tre giorni del condor (Pollack 1975) è il raffinato killer francese Joubert che risparmia Robert Redford. Nel 1976 von Sydow è diventato “italiano”, scelto da Francesco Rosi per Cadaveri eccellenti e da ValerioZurlini per Il deserto dei tartari. E ancora: eccolo nel ruolo del maggiore nazista Von Steiner che balza in piedi dopo un gol su rovesciata di Pelé in Fuga per la vittoria (Huston 1981). Nel 1916, 87enne, è entrato nel cast del “Trono di spade”, ed era ancora dinamico e vitale.
Tanto basta.
Ciao Max.
Pino Farinotti
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