Ogni tanto qualcuno ci prova a sfidare gli studios e già questo da solo fa simpatia. Open Road era stata fondata nel 2011 da AMC Entertainment e Regal Entertainment per cercare di trovare una fonte di approvvigionamento alle proprie sale senza passare sotto le forche caudine delle major che, come è intuibile, hanno le proprie priorità spesso collidenti con le necessità degli esercenti e dei produttori indipendenti.
La partenza era stata scoppiettante e sono seguiti anni di crescita costante almeno sino al 2015 ( $137 mil nel 2012 ; $150 mil nel 2013; $162 mil. nel 2014; $89 mil nel 2015 e $88M and 2016), anno della svolta che ha condotto sino al secondo trimestre di quest’anno in cui la società ha annunciato un a perdita di ben 179 mil di dollari, quando nello stesso periodo dell’anno precedente aveva registrato un utile di $24 milioni.
Titoli fortunati non sono mancati come “The Grey” (questo magari è più furbo che bello), “Silent Hill” e “The Host“, ma la distribuzione è una gara di fondo che si misura nel tempo e ci vuole, come è risaputo, costanza di prodotto. Inoltre le major hanno i loro piani ed un’uscita concomitante ad un blockbuster vanifica in un week end l’intero budget di lancio di un film indipendente.
Eppure il CEO Tom Ortenberg aveva né più né meno attuato la strategia che aveva fatto crescere Lion Gate, da cui proveniva, sino ai livelli attuali. La ricetta era quella di acquisire (anzi preferibilmente pre-acquisire quando i costi sono molto convenienti) e produrre un mix di generi in cui l’action dedicato ad un giovane pubblico maschile aveva la quota maggiore, seguito da qualche horror come “The Hounted House” e solo occasionalmente pochi dramma di qualità come “Snowden” e “Spotlight“, quest’ultimo vincitore dell’oscar come miglior film e miglior sceneggiatura.
I numeri degli ultimi anni hanno fatto recedere AMC dalla partnership e l’ammontare dei debiti di Open Road impedisce la prosecuzione dell’attività e così si fa avanti la Tang Media Partners, azienda di proprietà di Donald Tang, un personaggio il cui cognome tradisce un origine cinese tanto quanto il suo nome di battesimo richiama una certa sgradevolezza procedurale. Sì perché Tang è quello che si è comprato IM Global lo scorso giugno per 200 milioni di dollari e a preso a calci in culo il suo fondatore e CEO Stuart Ford.
Una miglior sorte è toccato per ora a Ortenberg che continuerà ad essere a capo della Open Road che è stata acquistata da Tang all’esorbitante prezzo di un dollaro, ma con l’impegno di evitarne il tracollo accollandosene i debiti.
A ben pensarci tutto ciò non è poi una gran notizia, ma serve a confermare come il cinema sia il modo più rapido ed infallibile per perdere un’immensa fortuna incontrando nel contempo degli autentici squali dall’appetito più grande del loro portafoglio. Inevitabile l’accostamento analogo con esperienze italiane più o meno lontante come il CIDIF o la Distributori Associati , ma l’idea che la produzione incontri direttamente gli esercenti rimane affascinante e merita che un giorno possa trovare una prassi vincente. In fin dei conti ogni esercente non solo conosce il cinema , ma conosce il pubblico molto da vicino. Forse in futuro si assisterà anche in Italia ad un soggetto in cui confluiranno le professionalità migliori provenienti da esercizio, porduzione e distribuzione. Sì perché, anche a costo di usurarlo, vale ricordare l’antico adagio “Ofelé fa el to mesté”.
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