Venom, un supereroe senz’ombra

Alla LifeFoundation, lo scienziato miliardario Carlton Drake esegue esperimenti genetici su cavie umane rastrellate nei bassifondi di San Francisco. Il suo obbiettivo è un trapianto transpecie: innestare negli organismi terrestri forme di vita simbiotiche recuperate durante una missione spaziale. Nel frattempo, Eddie Brock (Tom Hardy), popolare giornalista d’inchiesta, che proprio a causa di Drake ha perso impiego e fidanzata (Michelle Williams), indaga sulle losche sperimentazioni della Fondazione. Intrufolatosi nei loro laboratori, però, viene infettato da uno dei parassiti alieni, Venom, che scopre in lui l’ospite compatibile che andava cercando. Nonostante i poteri eccezionali di cui adesso Eddie dispone, è una coesistenza difficile, ma necessaria, perché solo formando un unico individuo i due potranno sopravvivere.

Della creatura ideata da David Michelinie rimane solo l’involucro. L’extraterrestre di Klyntar ha cambiato pelle. Niente di male, naturalmente, al contrario. La storia recente dei Marvel Studios, infatti, insegna che, spesso, disattendendo le aspettative dei fan, è possibile ottenere un prodotto migliore – “I Guardiani della Galassia” di James Gunn (2014).
Il film di Ruben Fleischer – “Benvenuti Zombieland” (2009) – taglia i ponti con il fumetto: da New York a San Francisco, da un giornalista suicida consumato dall’odio ad aspirante  supereroe. Non solo, a causa dell’imminente conclusione della Fase3 del media franchise Marvel (Marvel Cinematic Universe),tutte le ragnatele sono state spazzate via dagli angoli del lungometraggio – cancellando, in questo modo, il rapporto viscerale, simbiotico appunto, che il parassita alieno aveva con Spiderman.

Venom, come le macchie di Rorschach customizzate dei titoli di coda, è una “interpretazione” del soggetto ospitante: è l’essere umano a determinarne la natura (violenta). Eddie Brock, nel racconto originario, era un antieroe: la figura d’inchiostro di un (uomo)ragno deturpato. Il Venom di celluloide, invece, è tutt’altra cosa, ovvero ciò che ci aspetterebbe da un film degli studi californiani se un villain dovesse cambiar ruolo e diventare protagonista: un “classico” superheromovie. Le potenzialità celate nel lato oscuro della “bestia” sono inesplorate, le sue ambiguità taciute. Perché possono essere irriverenti, moralmente ambigui, violenti all’estremo – da Deadpool di Tim Miller (2016) a Logan – The Wolverine di James Mangold (2017) -, ma gli eroi Marvel rimangono pur sempre i cavalieri della Giustizia, i paladini del Bene  – per fortuna esiste la Troma!

MIchelle Williams in una scena del film , con la parrucca che non è piaciuta ai fan.

Ciò che resta, infine, è una pellicola divertente – nonostante la mancanza di Peter Parker -, un comparto action rinnovato – che sfrutta a pieno le possibilità combinatorie offerte dai poteri del Simbionte (la sequenza dei droni kamikaze) – e un character design che riempie gli occhi – quell’ammasso informe nero e bianco, che si allunga, si contorce, si scompone e subito si ricompone (lo scontro con Riot). Un’occasione (prevedibilmente) sprecata: un supereroe senz’ombra che proiettando la sua immagine sullo schermo dirada le (proprie) tenebre.

Alessio Romagnoli

Valerian e la città dei mille mondi

titanica produzione di Europa di Luc Besson e sostenuta dagli investimenti cinesi di  Fundamental Film che ha apportato ben 50 milioni di dollari degli oltre 200 milioni di cui si compone l’intero progetto. Il budget è ciclopico e nessuno se lo è rubato con il risultato che i soldi sono tutti lì nel film, ricco di effetti, scenografie ed un orgia di creature aliene la cui varietà non è mai stata raggiunta neppure da George Lucas. Fallita Relativity Media il film è uscito negli Stati Uniti con STX Entertainment, una giovane società che un film così grosso non l’aveva mai distribuito. In Italia la distribuzione è di Leone Film Group di Andrea Leone, un imprenditore che grazie all’incolpevole circostanza di essere nato dopo il proprio padre può aggiungere ai propri talenti dei capitali sufficienti per maneggiare un colossal del genere.

Dane De Haan e Cara Delevingne nei panni di Valerian e Laureline

La storia è tratta da una serie di fumetti conosciuta come Valérian e Laureline agenti spazio-temporali creati negli anni sessanta dallo scrittore Pierre Christin ed il disegnatore Jean-Claude Mézières. I fumetti avevano la caratteristica di trattare temi sociali ed ecologici che si ritrovano nella narrazione di Besson che ha scritto e diretto il film. La notorietà dei personaggi è troppo limitata alla Francia per incontrare un gusto internazionale e forse anche per questo i risultati al botteghino non sono entusiasmanti. per il pubblico italiano ma anche americano il nome Valerian non dice poi molto e non è quindi spendibile con la stessa efficacia di Spiderman. Il plot poi non restituisce quel senso di avventure per adulti che hanno i 21 volumi della serie a fumetti,  ma si definisce come un film fantastico per bambini. In questo genere Besson eccelle ed impone una sospensione del giudizio sulle ingenuità della trama e la leggerezza dei personaggi principali, per concentrarsi sulle magnifiche ambientazioni ed il susseguirsi di azione farcita da effetti visivi abbondanti e ben fatti.

Il trasmutatore

In un pianeta lontano chiamato Mul, bagnato da oceani dove si affacciano spiagge bianchissime,  una razza aliena vive in comunione con la natura grazie ad un animaletto, chiamato trasmutatore, che moltiplica all’infinito tutto ciò che mangia. Una routine idilliaca che viene interrotta da una catastrofe che distrugge tutto quanto con l’eccezione di pochi superstiti ed un unico animaletto custodito dalla federazione dei mille mondi. I due agenti spaio temporali dovranno dipanare un mistero che minaccia la democrazia della federazione, proteggere il prezioso animaletto e restituire un futuro alla razza pacifica ma quasi estinta.

Nel futuro i gradi dell’esercito si sono un po’ incartati e mentre Valerian è maggiore con due stellette sul bavero, Laurelin che è solo sergente ne ha soltanto una, ma ciò non le impedisce di togliere la scena a Dane De Haan che ben contento di essere promosso da goblin a protagonista si è visto sorpassare dall’elfica modella che in “Suicide Squad” , non potendo rivaleggiare con la Margot Robbins né nelle forme esteriori così come neppure nello spessore attoriale, era finita un po’ in fondo ai titoli di coda. Ma non è colpa di De Haan e neppure merito di Cara Delevingne , sempre rigida ed algida come una mannequin (forse un po’ aliena con quelle sopracciglia da Tiberio Murgia), quanto della sceneggiatura di Besson, che ha sempre avuto il debole per figure femminili forti sin dai tempi de “Il quinto elemento”. Non è un caso che un o dei personaggi più riusciti del film sia infatti quello di un mutaforma di nome Bubble, interpretato da Rihanna,  che tra un numero di burlesque e tentativi di seduzione, ci fa affezionare e ci ricorda che le cantanti sanno anche prodursi in oneste prove di recitazione.

Rihanna

Qualche soldo del budget si poteva risparmiare dall’ingaggio di Clive Owen che per il ruolo assegnato, il super gallonato comandante della federazione, appare sovradimensionato e francamente anche un po’ fuori luogo, ma si sa che il cartellone e le vendite hanno le loro esigenze. C’è cosi poca fantascienza hard core che quanto di buono c’è in questo film ne incoraggia di certo la visione, ma per gli appassionati è giusto precisare che si tratta solo un gap filler in attesa di “Blade Runner 2046″.