Le giornate professionali di Sorrento: lo sbarco degli americani

Sorrento ha ospitato come ogni anno la manifestazione più interessante del settore, le giornate professionali, nella quale tutti i distributori esibiscono il loro listino agli esercenti.

Non c’è bisogno di dire che gli americani arrivano con le truppe corazzate, umiliando i concorrenti, e che l’Italia è difesa da 01 e un po’ da Medusa, ma quello che sorprende sempre è la miseria della produzione nazionale, anche se realizzata dagli americani.

Commediole bislacche senza alcuna pretesa autoriale, tematiche scontate e già viste, di nessun interesse, attori usati allo spasimo, sempre gli stessi, annoiati, sembrerebbero anch’essi, di quello che fanno, con l’eccezione di Scamarcio che pare essere in fuga solitaria verso il successo. Il cinema italiano è certamente in avvitamento senza controllo. Ma i gestori del settore non danno segnali di aver capito né di alcuna inversione di tendenza: l’argomento rimane quello solito, l’immarcescibile allungamento della stagione. Anche la povera sottosegretaria, assalita da ammiccanti presidenti di settore e lodata allo spasimo per la Sua capacità di ascoltare, è stata travolta dall’ondata di coloro che nell’allungamento vedono l’alba del cinema, e nascondono le loro responsabilità.

l’albero di Natale di Sorento

Ero piccolo e già c’era questo problema: ho vissuto tutto la mia vita professionale con il ronzio nelle orecchie dell’allungamento, ed ho spiegato più volte che non c’è niente da fare, che in Italia ci sono le ferie estive, diversamente dall’America, che siamo circondati dal mare, che la gente va a cena fuori, all’aperto, che fa caldo ed è meglio prendere aria!

Niente da fare: quest’anno sono gli americani a salvarci, i generosi e preveggenti americani, che vogliono aiutarci a tutti i costi e che se poi aumenteranno il loro fatturato… sarà il male minore!

Un momento dello showcase della italiana Notorius

In realtà agli americani i nostri problemi non interessano per nulla, loro lanciano il prodotto a livello mondiale e se da noi è agosto, è agosto, punto. Ma noi italiani siamo buoni, e le major sono quelle con i soldi che pagano i contributi all’Anica! E tanto basta.

 

Michele Lo Foco

La distribuzione che verrà

La nomina di Luigi Lo Nigro a Presidente dei distributori è la prova, qualora ce ne fosse bisogno, del sentiero imboccato dal cinema nazionale che porta direttamente nel baratro.

Intendiamoci, ottima persona e professionista di livello, ma Rai Cinema non dovrebbe nemmeno esserci in Anica, figuriamoci poi presiedere un settore così fragile e strategico.

L’azienda pubblica, anche se è evidente che i dirigenti non la considerano tale, dovrebbe rimanere super partes, essere prevalentemente emittente, comunque equidistante dai privati imprenditori, al limite supporto delle strutture indipendenti.

Ma in Italia non c’è niente da fare: gli elefanti in cristalleria ci vogliono rimanere e oltretutto si agitano.

In un altro paese qualcuno si sarebbe alzato per protestare, ma qui no, chi volete che esprima la sua contrarietà alla struttura che finanzia quasi tutto?

Giampaolo Letta

Per completare il quadro verticistico del potere, Letta come Vice: come dire, voi straccioni indipendenti che non avete una televisione alle spalle non venite a disturbarci.

Francesco Rutelli a Venezia

Ed ecco che Anica assume sempre più l’aspetto rutelliano di un circolo privato di potenti, nel quale, in un piccolo salotto, ci si spartiscono i pochi beni rimasti di un settore agonizzante, le feste, i mercati, i contributi statali.

Giunti al fondo del pozzo, cominciamo a scavare.

 

Michele Lo Foco

Il Blade Runner che verrà

Il 2017 era il futuro immaginato da Ridley Scott nel suo capolavoro del 1982 e puntuale come la morte il 2017 è arrivato. Non abbiamo colonizzato altri pianeti e non ci serviamo di androidi per svolgere i lavori più degradanti o pericolosi che, i primi più dei secondi, continuano ad essere svolti dal genere umano. Eppure il tema della vita e della morte rimane sovrano sin dai tempi di Prometeo.

A dire il vero nel romanzo di Philip K. Dick da cui fu tratto Blade Runner il tema principale non è tanto la vita o la morte, bensì l’ontologica composizione del tessuto di ciò che è reale ed a corollario il senso ultimo dell’uomo. In sintesi a Dick interessa indagare sul concetto di verità, intesa come quella qualità che definisce ciò che è reale e ciò che non lo è. Nelle sue opere, si prenda Ubik ad esempio, non è tanto importante che una cosa esista in sé ma è sufficiente che essa sia percepita per poter definirsi reale. Se un sogno è percepito come reale, ebbene allora esso diviene la realtà per chi lo sogna e se un androide ha la capacità di sognare evidentemente ciò lo rende di fatto umano ed indistinguibile da noi. Non a caso il titolo originale de “Il cacciatore di androidi” (sfortunata traduzione italiana del titolo che descrive solo l’aspetto superficiale e per nulla affascinante del romanzo) è “Do Androids Dream of Electric Sheep?” ( e rendiamo merito alla Fanucci per aver restituito all’opera nella sua edizione del libro il titolo più consono di “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?“). L’interrogativo del titolo suggerisce già la risposta che Dick ha in serbo: se un soggetto è capace di percepire e di sognare, ebbene questa qualità lo rende umano, indipendentemente dalla sua genesi.

Il libro edito da Fanucci

In questo senso Dick non è certo un neo realista, anzi è molto vicino al radicalismo di Nietzsche quando dice “non ci sono fatti solo interpretazioni”, o di Kant per cui al centro della creazione vi è l’uomo che fabbrica mondi attraverso i concetti. E questo è forse l’unico aspetto che Ridley Scott mutua dall’opera di Dick ed emerge nel monologo finale dell’androide Roy (Rutger Hauer) che richiama con inquietante esattezza un brano de “Verità  e menzogna in senso extramorale” di Nietzsche.

“In un angolo remoto dell’universo scintillante, diffuso in innumerevoli sistemi solari, c’era una volta un astro sul quale animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia universale»; ma fu solo un minuto. Dopo pochi respiri della natura l’astro si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Qualcuno potrebbe inventare una favola del genere, ma non riuscirebbe mai a illustrare adeguatamente quanto lamentevole, quanto vago e fugace, quanto inane e capriccioso appaia nella natura l’intelletto umano. Ci furono eternità in cui esso non c’era, e quando di nuovo non ci sarà più non sarà successo niente.”

Ruger Hauer nell’ultima scena di Blade Runner (1982)

Perfino l’immagine suggerita dal passo “… e l’astro si irrigidì” ricorda lo spegnersi dell’androide dopo aver pronunciato quelle ultime parole che sono tra le più famose del cinema e non solo : “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, com lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire.”

Per il resto però la trasposizione cinematografica si concentra esclusivamente su questo tema di vita e morte, facendone un qualcosa che è altro rispetto al pensiero ed all’opera di Dick. Poco male poiché è diritto del cinema trarre spunti e tradirli e sottrarsi così allo sterile confronto tra libro e film. E’ comunque interessante come busillis ed è meritorio il modo con cui viene dipanato da Scott, che nello svolgimento della trama rivolge il suo tributo al “Novello Prometeo” di Mary Shilley , al secolo “Frankenstein“. Ogni creatura, comunque sia venuta al mondo, ha in comune con tutti gli esseri senzienti la paura della morte ed è questa la caratteristica che per Scott definisce il concetto di umanità più della capacità di astrarre e percepire. E’ con questo enunciato che il regista  apre il film, ossia per bocca del replicante Leon che dice a Decker (Harrison Ford) : “Brutto vivere nel terrore vero?Niente è peggio di avere una vita che non è una vita.”

L’attore Brion James bell part del replicante Leon Kowalski

Nel proseguo del film si capirà invece che è proprio la consapevolezza della morte a dare alla vita un valore così prezioso. I replicanti fungono quindi da iperbole dell’esistenza umana. Sono creature progettate per vivere solo quattro anni per cui l’anello di vita e la sensazione del tempo che fugge è estremizzata, ma anche l’uomo non è immortale e a differenza di Roy non ci è dato di parlare con il nostro creatore e tanto meno stritolargli la testa con le nostre mani in caso le risposte non dovessero soddisfarci. Tutti noi quindi, come i replicanti, “corriamo sul filo” tra la vita e la morte.

Era un film quasi perfetto se non fosse per la voce fuori campo che recita un mantra consolatorio a beneficio del lieto fine che è imposto dalle necessità di botteghino, il vero monarca della cinematografia americana, un peccato a cui nel 1992 Ridley Scott farà ammenda cassandolo nella director’s cut facendo così raggiungere alla sua opera  una perfezione postuma.

Il regista Denis Villeneuve sul set di Sicario

Il timore di questi giorni, da che è apparso il teaser con alcune scene del sequel, è che un così azzeccato equilibrio possa spezzarsi con un estensione non necessaria che potrebbe risultare posticcia come un parrucchino. A calmare parzialmente i timori è la regia di Denis Villeneuve che ha già dimostrato di essere, oltre che bravo, assolutamente non banale (si veda ad esempio “The Arrival” 2016). Pure il cast è solido e confortante e vede in prima linea grandi professionisti come Ryan Gosling, Robin Wright, Jared Leto e lo stesso Harrison Ford. Eppure  un dubbio aleggia nelle menti di conoscono ed amano Blade Runner ed è: cosa altro si può aggiungere?  Non è certo la curiosità di come va a finire la storia d’amore tra Decker e la bella androide senza scadenza Rachael, oppure cosa comporta la evoluzione estrema dei modelli Nexus, termine che non a caso significa connessione, legame. Ma soprattutto è preoccupante la presenza di un supercattivo che verrà interpretato da Jared Leto . La sublime originalità di Blade Runner era scoprire poi che non c’è nessun cattivo. Non era cattivo Tyrrell, il creatore che amava i suoi replicanti, non era cattivo Decker che era anzi pieno di empatia, non era cattivo Roy che  negli ultimi istanti ha amato la vita in assoluto,  non era cattivo nemmeno il poliziotto Gaff (quello degli origami) che risparmiò Rachael. I supercattivi nel cinema servono ad assolvere l’umanità dai suoi peccati, convogliando su di un’unica pecora nera la responsabilità delle peggiori azioni. C’era bisogno  di ridurre il capolavoro di Scott ad un cliché ? Ma soprattutto, questa pecora nera, sarà almeno elettrica?

Il nuovo film di Farhadi

Ad appena (si fa per dire) 45 anni Asghar Farhadi ha già vinto due oscar come miglior film straniero, uno per “Una separazione” del 2011 ed un altro per “Il Cliente” dell’anno scorso. E’ entrato così in un club estremamente esclusivo che gli ha dischiuso budget importanti per realizzare la sua prossima opera dal titolo “Todos lo sabien” (titolo internazionale “Everybody knows”).

Si tratta di un thriller psicologico girato in Spagna con due grandi nomi del calibro di Javier Barderm e Penelope Cruz. La francese Memento Film Production,che ne curerà anche le vendite internazionali e l’iberica Morena films sono due dei produttori che hanno investito quasi dodici milioni di euro per girare il film del regista iraniano. Dall’Italia si è mossa Lucky Red di Andrea Occhipinti che già aveva distribuito “Il Cliente” (e che magari un giorno ci spiegherà perché come i francesi ha voluto rititolare “The salesman” con una parola di senso esattamente opposto)  per la co-produzione del film, mentre lo stesso autore partecipa alla produzione con la sua Asghar Farhadi Production con cui aveva già co prodotto “Una separazione”.

Il soggetto è come di consueto dello stesso Farhadi ed è incentrato sul viaggio di Carolina, Penelope Cruz, e della sua famiglia dall’Argentina alla terra natia in Spagna per una breve visita ai parenti, ma che a causa di una serie di eventi imprevisti sarà destinata a cambiare per sempre la vita di tutti.

Il regista iraniano insieme al produttore esecutivo Alexander Mallet-Guy esibiscono l’oscar vinto per “Una Separazione”

Produttore sarà Alexandre Mallet Guy, che già ha lavorato nel medesimo ruolo sempre con Asghar Farhadi per il più recente dei due film blasonati dagli oscar e che nell’ormai lontano 2006 aveva prodotto “Nuovomondo” del nostro Crialese.

Jose Luis Alcaine

Nel cast tecnico spicca anche Jose Luis Alcaine, direttore della fotografia tra i più raffinati ed appena premiato anche all’appena concluso festival di Locarno, che ha collaborato con autori dell’immagine quali Carlos Saura, Bigas Luna e Pedro Almodovar. I costumi saranno di Sonia Grande, nota per le sue creazioni a beneficio di “Midnight in Paris” di Allen e l’horror gotico di Alejandro Amenabar “The Others”. All’insegna di “squadra vincente non si cambia” il montaggio è affidato al connazionale Haydeh Safiyari che è stato al fianco di Farhadi sin dal 2009 per “About Elly” e per i due successivi già citati.

Tempesta nell’oceano Indie

Non è facile navigare nel mare della produzione e distribuzione di contenuti audiovisivi (potevo dire “cinema” ma avrei fatto torto a tanti altri media). Per le società indipendenti poi lo sta diventando ancor di più. Abbiamo appena dato la notizia delle difficoltà di Open Road e di IM Global passate entrambe sotto l’ala della Tang Media Partners, ma anche altri altrettanto blasonati operatori non se la passano meglio.


Broad Green ad esempio ha di recente chiuso la divisione dedicata alle produzioni licenziando una quindicina di dipendenti dopo una sfortunata serie di insuccessi durata per ben tre anni. Aveva esordito nel 2014 avendo alle spalle un miliardario di nome Gabriel Hammond e con progetti ambiziosi che includevano collaborazioni con maestri del calibro di  Terrence Malick per finire poi a rincorrere il botteghino con film di genere piuttosto mediocri come “Wish Upon” di John R. Leonetti (alla sua prima prova come regista e più noto come direttore della fotografia di “The Mask” e “Mortal Kombat”) che per fortuna in Italia probabilmente non arriverà mai.


EuropaCorp di Luc Besson ha accusato il colpo del modesto esordio dell’ultimo colossal di fantascienza Valerian e la città dei mille pianeti” (forse è la maledizione dei titoli troppo lunghi). Weinstein Company ha virato verso la TV riducendo considerevolmente i budget dedicati ai nuovi progetti cinematografici.


Relativity Media invece dopo il fallimento di due ani fa è risorta ridimensionata ed unicamente come casa di distribuzione. Eppure era sul mercato da undici anni, periodo non trascurabile per una casa di produzione indipendente, durante i quali aveva prodotto film di successo come il recente “Masterminds- i geni della truffa” , “L’ultimo dei templari” ma soprattutto il pluripremiato (tra cui due oscar entrambi per il ruolo di attori non protagonisti) “The Fighter” . Il suo fondatore Ryan Kavanaugh aveva dichiarato che un’accurata analisi dei dati consentiva alla società di violare i segreti di come funzionava il box office. Qualcosa si dev’essere guastato in quel formidabile algoritmo se alla fine la società è fallita con un buco da mezzo miliardo di dollari.


Lo scorso mese è toccato invece a Green Light international, i produttori di “Imperium” ed il più modesto “Urge” con un ormai sempre più decotto Pierce Brosnan, di dichiarare bancarotta dopo aver intascato anticipi dai distributori per 410 mila dollari per pagare stipendi ed una poco opportuna vacanza in Riviera dopo lo scorso festival di Cannes. Avevano lanciato la società appena due anni fa, hanno prodotto due film e co-prodotti altrettanti (“Custody” e “Antibirth”), prima di gettare la spugna ed scendere dal ring.


Società che chiudono ce ne sono sempre state nello show-biz ma la novità degli ultimi due anni è che non sono sorti nuovi soggetti del medesimo calibro di quelli che hanno abbandonato il campo. La dinamica a cui assistiamo è quindi una contrazione degli operatori, i quali rimangono schiacciati tra la potenza di fuoco delle major e la maggiore elasticità delle piccole società. Incapaci di competere con le une eppure troppo strutturate per mettersi alla cappa in caso di tempesta come fanno invece le altre.

Questa polarizzazione comporta la ritirata verso produzioni limitate dai generi di film. Un dramma o una commedia, al limite un horror, sono le piste battibili da piccole società, mentre la Sci-Fi, l’action, il colossal storico o fantasy rimangono appannaggio delle major. Un fenomeno che qui da noi è tristemente ben consolidato ormai da tempo. Un primato, almeno in questo settore, che avremmo volentieri mancato.

Open Road un’Avventura Indie

Ogni tanto qualcuno ci prova a sfidare gli studios e già questo da solo fa simpatia. Open Road era stata fondata nel 2011 da AMC Entertainment e Regal Entertainment per cercare di trovare una fonte di approvvigionamento alle proprie sale senza passare sotto le forche caudine delle major che, come è intuibile, hanno le proprie priorità spesso collidenti con le necessità degli esercenti e dei produttori indipendenti.

regal

La partenza era stata scoppiettante e sono seguiti anni di crescita costante almeno sino al 2015 ( $137 mil nel 2012 ; $150 mil nel 2013; $162 mil. nel 2014; $89 mil nel 2015 e $88M and 2016), anno della svolta che ha condotto sino al secondo trimestre di quest’anno in cui la società ha annunciato un a perdita di ben 179 mil di dollari, quando nello stesso periodo dell’anno precedente aveva registrato un utile di $24 milioni.

silent_hill_2

Titoli fortunati non sono mancati come “The Grey” (questo magari è più furbo che bello), “Silent Hill” e “The Host“, ma la distribuzione è una gara di fondo che si misura nel tempo e ci vuole, come è risaputo, costanza di prodotto. Inoltre le major hanno i loro piani ed un’uscita concomitante ad un blockbuster vanifica in un week end l’intero budget di lancio di un film indipendente.

Tom Ortenberg e Michael Keaton all'anteprima di Spotlight
Tom Ortenberg e Michael Keaton all’anteprima di Spotlight

Eppure il CEO Tom Ortenberg aveva né più né meno attuato la strategia che aveva fatto crescere Lion Gate, da cui proveniva, sino ai livelli attuali. La ricetta era quella di acquisire (anzi preferibilmente pre-acquisire quando i costi sono molto convenienti) e produrre un mix di generi in cui l’action dedicato ad un giovane pubblico maschile aveva la quota maggiore, seguito da qualche horror come “The Hounted House” e solo occasionalmente pochi dramma di qualità come “Snowden” e “Spotlight“, quest’ultimo vincitore dell’oscar come miglior film e miglior sceneggiatura.

amc-theaters-1069097
I numeri degli ultimi anni hanno fatto recedere AMC dalla partnership e l’ammontare dei debiti di Open Road impedisce la prosecuzione dell’attività e così si fa avanti la Tang Media Partners, azienda di proprietà di Donald Tang, un personaggio il cui cognome tradisce un origine cinese tanto quanto il suo nome di battesimo richiama una certa sgradevolezza procedurale. Sì perché Tang è quello che si è comprato IM Global lo scorso giugno per 200 milioni di dollari e a preso a calci in culo il suo fondatore e CEO Stuart Ford.

Donald Tang, una carriera maturata ai vertici della Bear Stearns & Co
Donald Tang, una carriera maturata ai vertici della Bear Stearns & Co

Una miglior sorte è toccato per ora a Ortenberg che continuerà ad essere a capo della Open Road che è stata acquistata da Tang all’esorbitante prezzo di un dollaro, ma con l’impegno di evitarne il tracollo accollandosene i debiti.

Stuart Ford fondatore ed ex CEO di IM Global
Stuart Ford fondatore ed ex CEO di IM Global

A ben pensarci tutto ciò non è poi una gran notizia, ma serve a confermare come il cinema sia il modo più rapido ed infallibile per perdere un’immensa fortuna incontrando nel contempo degli autentici squali dall’appetito più grande del loro portafoglio. Inevitabile l’accostamento analogo con esperienze italiane più o meno lontante come il CIDIF o la Distributori Associati , ma l’idea che la produzione incontri direttamente gli esercenti rimane affascinante e merita che un giorno possa trovare una prassi vincente. In fin dei conti ogni esercente non solo conosce il cinema , ma conosce il pubblico molto da vicino. Forse in futuro si assisterà anche in Italia ad un soggetto in cui confluiranno le professionalità migliori provenienti da esercizio, porduzione e distribuzione. Sì perché, anche a costo di usurarlo, vale ricordare l’antico adagio “Ofelé fa el to mesté”.

La legge di riforma del settore audiovisivo e la cenerentola dell’audiovisivo

E’ ormai imminente l’emanazione del decreto attuativo della legge 14 novembre 2016 n. 220 “disciplina del cinema e dell’audiovisivo”. Non solo riguarda i tanto attesi contributi automatici a sostegno della produzione nazionale di audiovisivi, ma contiene anche finalmente un corpus di definizioni finalmente specifiche che connoteranno i contratti che regolano i rapporti tra gli operatori del settore. Si tratta non tanto di una rivoluzione bensì di un’evoluzione comunque epocale. Nasce ad esempio il concetto di “opera web“, è definita la nozione di “videogioco” che assurge infine con piena dignità ad opera audiovisiva. Nel novero delle imprese cinematografiche o audiovisive sono ora ricomprese non solo i distributori di tutti i canali (cinema, internazionale e dei supporti audiovisivi), gli editori dell’audiovisivo (definiti senza imbarazzi xenofobi con il termine inglese home entertainment), ma anche i laboratori di postproduzione ed ovviamente gli esercenti delle sale cinematografiche (sembra incredibile ma prima non lo erano, come se vendessero bucce di mela anziché proiettare film). Addirittura sono normate le nozioni dei processi quali la produzione, sviluppo, realizzazione, distribuzione, insomma un vero conforto per manager e loro legulei.

mibact

Complimenti sinceri sono dovuti al Ministero ed al Consiglio Superiore del cinema e dell’audiovisivo, il nuovo organo introdotto dalla legge n.220 composto da tecnici che sono in grado di consigliare il Ministero in un’industria della cinematografia che evolve secondo linee niente affatto note e secondo modelli articolati e sempre inediti.

univideo

Meno chiaro è il ruolo svolto da quella che è sempre stata immeritatamente la cenerentola delle associazioni di categoria del settore, ovvero l’Univideo. Nonostante i non trascurabili volumi di giro d’affari che dagli anni 90 e sino alla fine degli anni 2000 ha rappresentato è sempre stato un organismo dominato dalle major americane contente di trarre per se ogni possibile beneficio (ad esempio il bollino SIAE generico per non dover stare ad impazzire nei loro stabilimenti di duplicazione per lo più collocati all’estero) e piuttosto insensibili ai bisogni del sistema Italia ed in particolare delle piccole imprese nazionali che vi operano. Il sistema di rappresentanza e voto è notoriamente ancorato a livelli di ricavi che generano un’ abnorme sperequazione tra le major ed il resto del mondo, come se i problemi e i bisogni fossero proporzionali al fatturato, invece essi impattano su grandi e piccoli in maniera inversamente proporzionale.

Davide Rossi
Davide Rossi

Un epifenomeno del contrarsi del giro d’affari complessivo e del conseguente abbandono dell’italia da parte delle case americane è stato un cambio nella governance che ha visto finalmente affermarsi delle volenterose presidenze italiane con Davide Rossi e Roberto Guerrazzi. Oggi al vertice c’è un valente e giovane manager, Lorenzo Ferrari Ardicini, espressione di una casa dalla lunga tradizione e che eredita il marchio storico di Cecchi Gori.

ardicini migliavacca (2)
Lorenzo Ferrari Ardicini

Se vi è un appunto da muovere è relativo alla comunicazione ed al coinvolgimento. Sì perché se qualcosa è stato fatto per far valere le ragioni del comparto presso gli estensori della legge 220 non si sa bene però che cosa in particolare. Né si è assistito ad un tentativo di coinvolgere quel 5% che ostinatamente si mantiene fuori dalla associazione ed al quale varrebbe la pena rivolgere la domanda circa il perché di questa persistente titubanza. Bene il commissionare uno studio sull’ Home Entertainment a GFK ed organizzare eventi interessanti come il PRESS PLAY – TRADE MEETING 2017 (sempre a cura di GFK), ma intanto l’Italia è ancora e sempre condannata al bollino SIAE fisico da applicare su ogni supporto, per citare solo una delle molte vessazioni ancora agenti. Insomma i nodi cruciali rimangono lì e neppure sorgono nuove iniziative come corsi di formazione o aggiornamento dedicati ai dipendenti delle aziende del settore, piuttosto che servizi (anche a pagamento al limite) che aiutino le aziende più piccole con le istruttorie per finanziamenti italiani ed europei, giusto per tirare fuori qualche idea propositiva. Al limite aggiornare il logo che con il suo mondo stilizzato a ricordare uno schermo in 4:3 con le sue brave righe interlacciate rimane a vestigia di un media ormai vetusto e praticamente scomparso nel mondo dei mega schermi a 16:9 e 5K.

immagine della campagna Univideo contro la pirateria
immagine della campagna Univideo contro la pirateria

E’ vero che il budget è sempre più stringato, ma un’associazione che non ha mutato i propri criteri di adesione e di rappresentanza e non si produce in iniziative e servizi utili per i propri associati e destinata a spegnersi a poco a poco. Era lecito pensare che un giovane (ma nel frattempo non più giovanissimo) presidente desse una svolta significativa ad Univideo e invece tutto continua più o meno come prima nella quiete delle mura degli uffici di C.so Buenos Aires a Milano, come fosse il palazzo delle Blacherne a Bisanzio nel maggio del 1453.

NON NUOTATE IN QUEL FIUME 2 – LO SCONTRO FINALE

Dopo il successo del primo capitolo realizzato, con soli 80 euro di budget, come omaggio ai film di serie b in vhs che negli anni 80 e 90 riempivano le videoteche , esce il nuovo film di Roberto Albanesi (“The Pyramid“, “Catacomba” “17 a Mezzanotte“).

il regista Roberto Albanesi
il regista Roberto Albanesi

Nel secondo capitolo il mistero verrà rivelato e quella che sembrava una vicenda isolata assumerà i connotati di un attacco globale. Gli alieni esistono e sono fra noi. Nuove storie e nuovi personaggi sono pronti ad i intrecciarsi, mentre Bruce Fagaroni (Ivan Brusa) decide di giocarsi il tutto per tutto per salvarsi la pellaccia e ottenere la sua vendetta nei confronti del Boss (Roberta Nicosia).
Ma gli alieni non renderanno per nulla facile tutto ciò!

Locandina-Non-Nuotate-In-Quel-Fiume-poster-UFFICIALE_1-1000

Il film è stato realizzato con luci naturali e audio in presa diretta, a cavallo dell’estate “zanzarosa” del 2016, fra il lodigiano, comasco, la bassa bergamasca e le meravigliose valli piacentine. Nel cast figurano volti noti del cinema e della televisione italiana:
Ivan Brusa, Stefano Galli, William Angiuli, Jack Gallo, Roberta Nicosia, Paolo Riva, Leo salemi, Debby Love, Dana Santo, Massimo Mas Scano, Luca Tung, Simona Bramini.

Le musiche originali, chiaro omaggio all’elettronica anni 80, sono del maestro tolmezzese Oscar Perticoni.

NON NUOTATE LOGO T-SHIRT

Il film verrà proiettato gratuitamente a Giugno al cinema comunale di Casalpusterlengo, per poi uscire in sale selezionate in tutta Italia ed in dvd per la Sandroni Distribuzione.

BOLIVIA – Chi ha incastrato Evo Morales?

Durante l’ultimo Festival di Cannes appena concluso, DNA srl ha chiuso un accordo per la distribuzione in Francia e in Brasile del controverso documentario “Un minuto de silencio” di Ferdinando Vicentini Orgnani, che mette a nudo la gestione del governo di Evo Morales in Bolivia.

un_minuto_fronte

La lettura superficiale, spesso ideologica, della stampa Europea rispetto al “cambio” nella politica Boliviana, viene ribaltata dal regista con un’indagine condotta “sul campo” nell’arco di sei anni: nove viaggi in Bolivia e decine di interviste a tutti i protagonisti della politica boliviana degli ultimi vent’anni, oltre a un ricchissimo e inedito materiale di repertorio (fornito dal giornalista indipendente Carlos Valverde, ora costretto all’esilio in Argentina per la sua opposizione al regime).

il giornalista Carlos Valverde
il giornalista Carlos Valverde

Dopo l’uscita americana nel maggio del 2016, recensita dal NY Times, nei prossimi mesi il film si vedrà nella sale francesi con la distribuzione di TUCUMAN FRANCE e in quelle brasiliane con FENIX FILMES, ma ci sono altre trattative in corso per l’uscita in diversi altri paesi.

Dal 2006 a oggi, dopo oltre dieci anni di gestione da parte del presidente Morales, democraticamente eletto dal popolo, ci troviamo davanti alla dittatura soft di quello che oramai a tutti gli effetti è un “narco stato”. I “cocaleros” (i coltivatori di coca) un’organizzazione criminale, molto capace e lungimirante, dopo aver preso il potere con un presidente che in barba al conflitto di interessi ancora oggi è il leader del loro sindacato, si è dedicata a espandere in modo esponenziale la produzione di cocaina e allo stesso tempo a mantenere con ogni mezzo il potere politico. Tutti i leader dell’opposizione sono in prigione o costretti all’esilio. Come fu per Hugo Chavez in Venezuala (un paese ormai allo sbando) anche in Bolivia il Presidente Evo (già eletto tre volte con ardite modifiche costituzionali), si sta organizzando per mantenere il potere ad oltranza.

01-bolivia-cocaleros1.thumbnail

I cartelli messicani e colombiani ormai operano liberamente in Bolivia, dove possono contare una grande tolleranza e il più delle volte su una complicità del governo. Migliaia di tonnellate di cocaina partono dalla Bolivia e, attraverso i porti brasiliani, raggiungono i mercati di tutto il  mondo. Si calcola che solo il consumo interno della cocaina boliviana in Brasile sia di tre tonnellate al giorno. Quello che Pablo Escobar tentò di fare in Colombia negli anni ottanta è di fatto accaduto in Bolivia sotto gli oggi bendati della maggior parte della stampa internazionale.

Il regista Ferdinando vicentini Orgnani
Il regista Ferdinando Vicentini Orgnani

Il regista, che ha subito delle minacce per questo lavoro, ha avuto la prova evidente del boicottaggio da parte del governo di Evo Morales quando il film, invitato a Madrid da “Casa America” è stato improvvisamente escluso per l’intervento dell’ambasciata boliviana in Spagna, episodio denunciato da El Pais.

Un silencio crítico de la reciente historia boliviana

Dal 2006 a oggi in Bolivia (un paese di circa dieci milioni di abitanti) ci sono stati oltre duemila morti per ragioni politiche oltre a una diaspora di oltre cinquemila boliviani costretti all’esilio. Violenze, linciaggi, brutalità, minacce, incarcerazioni sommarie senza processo, persecuzione ai familiari degli oppositori (cosa che nemmeno le dittature del “plan condor” avevano mai perseguito)… un sistema giudiziario ormai completamente al servizio del regime.

Per le prossime uscite in sala, i distributori hanno deciso un cambiamento sia nell’immagine del film che nella strategia di comunicazione, giocando con un’immagine ben nota nell’immaginario collettivo che paragona il Presidente Evo Morales a un noto cartone animato, con una paradossale satira che vuole richiamare l’attenzione sulla gravissima situazione della Bolivia.

Chi ha incastrato Evo Morales?

EVO2_yellowENG

Who framed Evo Morales?

Qui veut la peau de Evo Morales?

¿Quién engañó a Evo Morales?

HEA e il popolo di Milazzo

HEA è l’acronimo di Home Entertainment Awards. Quest’anno la premiazione si è tenuta lo scorso 23 giugno al circolo della stampa di Milano. In questa edizione, più che le presenze, spiccavano le sempre maggiori assenze. Il tutto si è svolto all’insegna di un’alea di nostalgica transitorietà rafforzata dall’imminente chiusura della divisione home video della 20Th Century Fox.

HEA-e1374753749460

In virtù della linea surreale della manifestazione si sono conferiti premi a operazioni la cui esistenza va rilevata strumentalmente poiché non se ne ha un’evidenza palese, come il caso della miglior in-store promotion che premia “Masha e Orso” che pare abbiano conquistato Milano e senza che Milano se ne accorgesse minimamente. Insomma aziende che non ci sono più, aziende che non ci saranno tra poco, premi che non c’erano ad operazioni che non ci sono mai state ed infine aziende che pur esistendo non sono state invitate affinché nessuno possa dire che c’erano. Neppure aggrumando videogame e home video in un evento contro natura si è comunque raggiunto l’effetto di far parlare degli Home Entertainment Awards 2016. Provate a “googolare” home video awards 2016 e cercate di spingervi almeno sino alla terza pagina: non troverete nulla. Se poi come chiave di ricerca digitate HEA trovate come primo risultato una tabella di profilati metallici. Perché allora parlarne noi? Per additare un esempio negativo di inutile evento elitario organizzato da un unico soggetto a favore e con il favore di pochi noti, un mesto rito a metà tra la convention che si organizza per i propri clienti e la sterile autocelebrazione di un settore ormai al lumicino. Si tratta di roba da fantasmi che si aggirano ancora tra le rovine del castello dove ebbero a soffrire quando erano ancora in vita. Per citare l’amministratore delegato (donna) di una holding dei tempi d’oro dell’home entertainment “Sì vabbé, ma di tutto ciò al popolo di Milazzo…?” lasciando volutamente sospesa una rima poco elegante che nulla ha a che fare con la città siciliana, ma in fin dei conti pure questi premi non hanno nulla a che fare con l’intrattenimento che si trasforma e vive benissimo al di là e nonostante certe liturgie.