Il West di Scott Cooper

Il capitano Blocker (Christian Bale) deve scortare il vecchio e malato capo indiano Falco Giallo (Wes Studi) nel Montana, dove il presidente degli Stai Uniti ha concesso all’anziano pellerossa di poter morire nella Valle degli Orsi, il luogo sacro della sua tribu.  Durante il viaggio accoglierà sotto la sua protezione una giovane donna (Rosamund Pike) a cui gli indiani comanche hanno trucidato la famiglia e bruciato la casa. Il viaggio, lungo e difficile, sarà costellato da episodi di violenza e crudeltà che parlano dell’elaborazione del lutto, ma soprattutto dalla disumanizzazione progressiva cui è sottoposto chiunque si trova ad uccidere.

Rosamund Pike

Non bastano due ottimi attori per fare un buon film. Un giorno forse daranno un oscar a Rosamund Pike che già lo sfiorò per Gone Girl, e mi auguro che non sia per la carriera ma per una delle sue fortunate interpretazioni che certo non mancheranno anche in futuro. Christian Bale per lo meno l’ha già vinto e fu ampiamente meritato per il ruolo non protagonista in The Fighter (2010).

Christian Bale , Adam Beach e il Cultural Advisor “Capo” Philip Whiteman

Il ruolo degli indiani è interpretato da due indiani di professione come Wes Studi, che non ha bisogno di presentazioni ed Adam Beach, il navajo di “Windtalkers“. Insieme sono trama e ordito di un tessuto a cui Scott Cooper però non riesce a dare colore, ma solo un po’ di tedio, didascalici dialoghi ed inquadrature anguste in uno scenario che invece è spettacolare.

Lo sceneggiatore Donald E. Stewart

Colpa forse del manoscritto di Donald E. Stewart , da cui è partito Scott per la sceneggiatura (impossibile infatti che l’autore di sceneggiature come “Caccia a Ottobre Rosso” o “Missing” possa partorire un lavoro come “Hostiles” così farcito di dialoghi scolastici) o forse è stata la pressione di uno o entrambi i produttori , Le Grisbi e Way Point, preoccupati per gli incasi al botteghino, fatto sta che il finale ci regala pure una scena di finto addio ed un epilogo amoroso che pare forzato e fuori contesto come una zebra nelle foreste del Canada.

“Invidio l’ineluttabilità della morte” la signora Quaid al capitano Blocker in un momento lirico che suona quasi come un tributo a “Mongo” di “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” di Mel Brooks

Neppure le sparatorie sono all’altezza del genere, tanto più deludenti quanto più ci si rammenta della scena iniziale di “The Revenant” di Inarritu. Buona la fotografia di Masanobu Takayanagi che infatti è stata premiata a Capri Hollywood ed efficace il progetto sonoro con le musiche di Max Richter (“Shutter” Island di Martin Scorsese e “Valzer con Bashir” di Ari Folman). Nel complesso però non sufficienti a salvare un western che non convince per stile e narrazione. Alla fine, oltre agli attori ed al cast tecnico, servono soprattutto una sceneggiatura ed una regia per la buon riuscita di un film. Almeno per la sceneggiatura Scott Cooper avrebbe potuto farsi aiutare, invece così risulta colpevole per entrambi i crimini.

 

Il caso Weinstein

Il clamore delle accuse di violenza sessuale al ticoon della Miramax non accenna a diminuire, anzi aumenta con il moltiplicarsi delle rivelazioni. Ma al di là della sorte di questo personaggio, che oltretutto impersonifica fisicamente lo stereotipo del maialone grasso e sudato, di cui ci interessa ben poco, sorge naturale porsi il problema morale di quello che succede tra uomo e donna e di quanto siano distanti gli americani dagli italiani.
La donna, molto spesso, è cosciente del potere attrattivo che esercita sull’uomo e lo esalta, con vestiti, scarpe, atteggiamenti. Fa tutto parte della libertà individuale, ci mancherebbe altro, e il mondo dello spettacolo è composto anche di apparenza, se non prevalentemente, ma non c’è dubbio che l’uomo venga sollecitato nei suoi più bassi, originari, istinti da una supposta disponibilità della donna a farsi quantomeno guardare.
Nulla di strano, tutto abbastanza naturale, il desiderio è il motore della attrazione e l’attrazione spinge al rapporto e alla procreazione. Senza desiderio non ci sarebbe l’unione.

Jane Fonda prova i costumi del film “Barbarella”

La donna però, talvolta, utilizza il desiderio come un arma, e l’uomo utilizza in cambio il potere come arma.
Facciamo un esempio: la donna esercita il suo fascino esponendosi talvolta completamente, facendosi mirare, e l’uomo è un personaggio comune, senza potere, senza ascendente. Cosa succede in questo caso? Il nostro uomo è succube dell’immagine, diviene adorante, fan, si prostra, è pronto a tutto pur di avere una minuscola frazione del tempo di lei.
Oppure viceversa: lui è potente e ambizioso e lei vuole affermarsi, cerca spazio, è solo bella e sconosciuta, ha solo l’arma del desiderio, che è però affilata. Il nostro uomo, allora, esercita il potere, si afferma, concede i suoi servizi in cambio della bellezza, paga il rapporto con il lavoro. Orrendo, non c’è dubbio, ma capita tutti i giorni: le donne belle lo sanno, alcune sono incapaci di gestire il rapporto, altre ne approfittano, altre ancora si sposano l’uomo potente.

Harvey Weinstein e Rose Mc Gowan

Nel nostro paese di Weinstein ce ne sono centinaia, nello spettacolo, nelle televisioni in Rai, nelle aziende, ma noi siamo più tolleranti, una mano sul sedere non è nulla, una strusciatina è doverosa, una raccomandazione è naturale. Un celebre avvocato penalista disse: “se la Rai potesse utilizzare l’energia sessuale al posto di quella elettrica risparmierebbe miliardi”. Come ci si assicura un posto in prima fila? Così, ognuno combatte come può e con le armi che ha, gli uomini brutti e rattosi esistono, sono la maggioranza, e spesso sono potenti; donne belle ce ne sono, e non tutte sono intelligenti o capaci.

Asia Argento in “Scarlet Diva” primo film lungometraggio scritto, diretto ed interpretato dall’artista romana

La scorciatoia del sesso, anche quello rubacchiato, quello nato dalla fantasia maschile, diviene l’autostrada per arrivare. Weinstein pretendeva, anche nelle occasioni italiane, che ci fosse merce fresca, aveva assunto un reclutatore Fabrizio Lombardo, oppure si accontentava di Asia Argento durante le vacanze festival: era fatto così, si era abituato così, e gli altri rispettavano le sue esigenze!
Non aveva remore, semmai ringraziava con una particina, che alle sue vittime però serviva.
Asia Argento non è la Duse, e come molte altre non vive di talenti naturali, non spicca nel gruppone delle attrici. Oggi si pente e guadagna la cronaca, ma quanto di calcolo c’era nel sopportare il porcone Weinstein, che lui si era in grado di valutare le capacità altrui? I ricatti sessuali intendiamoci, sono sempre da condannare e i colli di bottiglia professionali sono un attentato alla società: in Italia, nello spettacolo, ci sono solo colli di bottiglia, e talvolta a sorvegliare ci sono uomini meschini e pronti ad approfittare. Ma le donne di questa epoca lo sanno bene e rischiare è pericoloso e si può evitare.

Eleonora Pedron

Più di un anno fa, su “Il Borghese”, pubblicavo un articolo profetico dal titolo “La televisione sessuale” nel quale scrivevo…. “le donne scosciate all’inverosimile delle trasmissioni sportive che vanno per la maggiore, sono l’offerta televisiva che oggi paghiamo con il canone: le farfalline inguinali di donne votate a tutto, pronte a tutto sono l’esasperazione di annunciatrici incapaci dotate di corpi seducenti e di sguardi promettenti in un continuo superamento dei limiti cui sembra i dirigenti televisivi siano diventati succubi” e concludevo nel finale…. “l’uomo è quell’animale che nasconde a stento la sua impulsività e che ogni tanto si lascia andare ad una sottile libidine, con le dipendenti, con le passeggere di un autobus, con le ragazze al parco.” Non è cambiato molto da allora, ma l’America ha scoperto Weinstein con le mani nel sacco: ogni tanto una vittima fa bene, serve come esempio per un po’ di mesi.

 

Michele Lo Foco

Addio a John Heyman

The Rocky Horror Picture Show” (1975), “Reds” (1981), “Black Rain” (1989), “Awakenings” (1990) e “Edward mani di forbice” (1990) sono alcuni tra i film che forse non avremmo mai visto se John Heyman, classe ’33, non li avesse finanziati. Nativo di Lipisa, in Germania, è morto venerdì sera a New York uno dei più illuminati professionisti dell’industria cinematografica. Aveva fondato negli anni 60 l’agenzia londinese International Artists Agency la quale rappresentava giganti del cinema e della musica del calibro di Elizabeth Taylor, Richard Burton, Michael Caine, Richard Harris, Shirley Bassey e Burt Bacharach.

Heymanm al movie guide awards
Heymanm al movie guide awards

Insieme a Chris Blackwell fondò negli anni 90 la Island World Productions, che produsse o co-finanziò dei blockbuster come “Toy Soldiers” (1991), un azienda talmente di successo che fu poi venduta a Polygram già nel 1994. Fu un professionista brillante ma dai modi discreti, eppur sempre presente attorno ai tavoli che contano in questo strano settore dove i soldi si perdono più facilmente di quanto si guadagnino. Ora che non è più visibile la sua opera continua nei figli Dahlia e David e dobbiamo dedurre che fu anche un maestro esemplare se il figlio figura tra i produttori della saga di Harry Potter.

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Bill Paxton vedrà gli Oscar da lassù

E’ morto ieri a seguito di complicanze insorte durante un intervento chirurgico al cuore l’attore Bill Paxton, classe 1955. Era parte di quella solida categoria di attori che seppur raramente protagonisti, rendono spessore e credibilità ai film a cui partecipano. Da “Crazy Mama” a “Tempo Limite” appena concluso ed una miriade di serie TV e partecipazioni a vari programmi televisivi.

paxton alien
Bill PAxton in “Alien”

Non tutti i film a cui ha partecipato sono stati capolavori come “Tombstone” (1994) o “Soldi Sporchi” (1998) di Sam Raimi, oppure campioni d’incassi come “Titanic” (1997), “Terminator” (1984) e “U-571” (2000), ma anche in film meno fortunati come “Thunderbirds” (2004) ha sempre prestato la sua arte con professionalità e passione.

Bill Paxton nella parte di Morgan Earp "Tombstone"
Bill Paxton nella parte di Morgan Earp “Tombstone”

Aveva iniziato la sua carriera nel cinema lavorando come scenografo nella New World Pictures di Roger Corman. Il primo ruolo come attore lo ebbe in “Crazy Mama” di Jonathan Demme, quello di “Il silenzio degli innocenti” e “Philadelphia” mica bruscolini.  Fu anche produttore e regista. Produsse film più che degni tra cui ricordiamo “Parkland” (2013) e “Svolta Pericolosa” (1997) in cui recitò come protagonista accanto ad un giovanissimo Mark Wahlberg (cosa tocca fare per essere il protagonista). Come regista diresse il figlio James ne “Il più bel gioco della mia vita” e “Frailty- nessuno è al sicuro” di cui era anche attore protagonista.

Paxton e Wahlberg in "Svolta Pericolosa"
Paxton e Wahlberg in “Svolta Pericolosa”

Dopo 61 anni vissuti intensamente godrà ora di un posto privilegiato lassù per vedere la notte degli oscar che inizia tra poco.

 

L’Indice di Bancabillità

Quando si parla di industria del cinema a volte non se ne comprende la portata del senso letterale di questo termine. Negli Stati Uniti dove per primo questo media è diventata una reale industria c’è una rivista on line che si chiama “The Numbers” e consigliamo ai cineasti di visitare. Come si intuisce dal nome stesso della testata è incentrata su quanto è misurabile dell’ottava musa. troverete quindi incassi, audience, budget di produzione e di lancio e statistiche di ogni genere legate al mondo del cinema e, cosa ormai quasi più unica che rara, vi è un focus che riguarda il mercato dell’home video. Tra le informazioni notevoli che vi si possono trovare c’è l’indice di bancabilità, ovvero la stima di quanto valore un personaggio del cinema, sia esso attore, produttore o regista, apporta ad una produzione solo per il fatto di farvi parte.

Steven Spielberg
Steven Spielberg

Non vi stupirà scoprire che al primo posto c’è Steven Spielberg con una valore di 29.479.903 U$D, al secondo posto Samuel Jackson che ha contribuito a generare con i suoi 51 film in cui ha recitato la ragguardevole cifra di 11,863,705,749 U$D e che gli vale ora un indice di 24,478,226 U$D, mentre al terzo posto troviamo (e qui un po’ di sorpresa c’è) Adam Sandler che, avendo generato una media di incassi di oltre 9 milioni di dollari per ciascuno dei 26 films che ha girato, gode ora di un indice di bancabilità di $23,852,763, superiore a Johny Depp che sta invece al quarto posto avendo una media incassi per film di soli, si fa per dire, 7,490,217 U$D. Segno che non è quanti film si è fatto nella propria carriera a determinare un buon indice, ma è il successo in termini di incassi a fare la differenza.

Thomas Tull
Thomas Tull

Che effetti sortisce sul lato pratico questo indice di bancaibilità? Che ci crediate o no in America le banche non si limitano a concedere fondi a fronte di garanzie reali fornite dal produttore, ma partecipano in parte al rischio e nell’algoritmo della valutazione della somma finanziabile di un progetto entra in gioco anche l’indice di bancabilità delle persone che di questo progetto fanno parte. Ad esempio de il produttore esecutivo del film fosse Thomas Tull, classe 1970, a cui si devono opere del calibro di “Jurassic World“, “Batman – Il cavaliere Oscuro“, “Inseption” e “Una notte da leoni“, la banca valuterà il suo apporto al progetto in potenziali 20 milioni di dollari/anno, poiché difficilmente chi ha generato un monte incassi di oltre 10 miliardi di dollari si farebbe coinvolgere in un filmetto men che modesto.

il produttore carlo Ponti e Sophia Loren
il produttore carlo Ponti e Sophia Loren

Inutile inveire contro il dio denaro, nell’industria è il motore che fa funzionare le cose e con cui, nonostante tutto, si producono pure dei capolavori d’arte. In Italia non abbiamo nulla di simile all’indice di bancabilità. Al limite c’è il concetto di “nome da cartellone”, perché intuitivamente anche da noi si avverte un nesso tra le persone e la riuscita di un film, ma tale  relazione si limita agli attori o a qualche regista, mentre quasi mai è legata al produttore. Nonostante sia un indice dedicato alle banche, come il nome chiaramente suggerisce, le banche italiane non mostrano di farne uso e questo relega le nostre società di produzione in uno scenario che più che industria del cinema sembra attenere più ad una dimensione artigianale. Tuttavia sarebbe sbagliato dare tutta la colpa alle banche, poiché il sistema dei produttori e distributori italiani hanno la colpevole mancanza di non aver mai promosso un osservatorio permanente del cinema italiano. Le varie associazioni si limitano a commissionare studi, anche frequenti e pure interessanti, ma che stentano a diventare strumento di lavoro per gli addetti del settore. L’esito è di triste evidenza: se le informazioni non servono alla pianificazione, rimangono soltanto il riferimento per un cahier de doelances  stilato necessariamente a posteriori, quando tutto ormai è accaduto e niente si può più fare.

Michael Cimino addio

Dicono che dopo il suicidio e la droga è il 2016 ad essere la maggior causa di morte per i vip dello spettacolo. Forse invece è il normale corso delle cose, soprattutto per il grande Cimino che aveva comunque 77 anni quando ci ha lasciato lo scorso 02 luglio. Lo conferma il nipote T. Rafael Cimino che ha dichiarato che lo zio è morto sabato nella sua casa di Beverly Hills per cause naturali.

cimino young

Era un pittore e scrittore che quasi per caso approda al mondo del cinema dove incomincia nel 1971 come sceneggiatore collaborando alla sceneggiatura dell’ottimo “2002 La seconda Odissea” (Silent Running), mentre dietro la macchina da presa debutterà tre anni dopo nel 1974 con “Una calibro per lo specialista” dirigendo Clint Eastwood con cui rimarrà profondamente amico ed un giovane Jeff Bridges.

Cimino e De Niro sul set de "Il cacciatore"
Cimino e De Niro sul set de “Il cacciatore”

Il suo capolavoro lo realizzerà però nel 1979 con “The Deer Hunter” (Il cacciatore) nel quale recita un cast irripetibile i cui compaiono mostri del calibro di Robert De Niro, Meryl Streep, John CazaleChristopher Walken and John Savage, seguito l’anno successivo dal meno fortunato “Heaven’s Gate” (I cancelli del cielo) un film per il quale la United Artist rimpianse di aver concesso carta bianca a Cimino che lasciò levitare i costi all’eccesso tanto che ancora oggi a Hollywood l’espressione “cancelli del cielo” è divenuta sinonimo di budget fuori controllo. Ma Michael era così, esuberante e fuori controllo, secondo l’ambiente dei produttori ben più di Terence Malik ed è tutto dire. Per questo girò pochi altri film negli anni ottanta e novanta tra cui è giusto menzionare almeno “L’anno del dragone” (1985)  con Mickey Rourke ed “Il Siciliano” (1987) con Christopher Lambert.

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Una delle ultime apparizioni pubbliche fu al festival di Venezia del 2012 dove ricevette il premio alla carriera (vinse anche il “pardo d’onore” Swisscom nel 2015, ma siamo seri, volete mettere?) e ci piace pensare che giunto allora quasi al termine del suo percorso, proprio nella bellissima città lagunare impregnata d’arte, ha potuto riannodare i fili della sua carriera di scrittore, regista e produttore con quelli più antichi ed originari che lo legavano alle arti grafiche e che lo attraevano verso la centralità dell’uomo. “Non faccio film per sostenere un argomento, faccio film per raccontare storie di persone”. C’è niente di più bello e artistico?

Lara Croft riparte da Alicia Vikander

Chi pensava di aver archiviato la serie di Lara Croft ,che aveva portato sugli schermi un celebre personaggio dei videogame, dovrà ricredersi. Una potente cordata formata da Warner Bros, MGM e GK Films produrranno il reboot della spericolata archeologa. Questa volta si partirà dal principio, quando Lara Croft era ancora un’inseperta e talentuosa cacciatrice di tesori nascosti. Alla regia è stato chiamato Roar Uthaug al suo (“appena” verrebbe da dire) quinto lungometraggio, nessuno dei quali distribuito al cinema in Italia; solo “The Wave” è stato presentato al festival di Torino lo scorso anno, mentre “Magic Silver” è passato direttamente in TV.

Roar Uthaug
Roar Uthaug

Ciò che conforta è il produttore Graham King, davanti al di cui curriculum viene da inchinarsi. Per convincervi di ciò  elenchiamo qualche film in più rispetto a quanto facciamo di solito. King è stato produttore di “Traffic” (2000 Sodenbergh), “Alì” (2001 Michael Mann), “The Aviator” (2004 Martin Scorsese); “The Departed” (2006 Martin Scorsese); “Diamanti di sangue” (“2006 Edward Zick); “The Turist” (2010 Florian Henckel von Donnersmarck); “Rango” (2011 Gore Verbinski); “Argo” (2012 Ben Affleck); “World War Z” (2013 Marc Forster). Vi basta? Non ancora? E allora pur sempre senza pretesa di esaustività beccatevi anche “Hugo cabret” (2011 Martin Scorsese – ebbene sì si vede che lavorano bene insieme); “Il Dottor T e le donne” (2000 Robert Altman) in qualità di co produttore e “Jersey Boys” (2014 CLint Eastwood). Questo per dire che di soggetti, sceneggiature, attori e buoni registi se ne deve intendere per forza e potremmo trovarci a rimpiangere di non aver visto i soli quattro film girati dal norvegese Roar Uthaug (sì ma che nome).

Graham King
Graham King

Che questo nuovo lancio di Lara Croft abbia successo non è cosa di poco conto per Alicia Vikander,  appena reduce da un oscar per attrice non protagonista in “The Danish Girl” e chiamata ora ad  impersonare il ruolo che già fu di Angelina Jolie, senza avere peraltro, a differenza della Jolie, quella peculiarità fisica così caratterizzante di Lara Croft. Il pericolo è che ciò che segnò l’inizio di una brillante carriera per una non sia invece una macchia nel curriculum per l’altra. Ma in fin dei conti gli studios coinvolti, così come il produttore, sono di gran livello e molto brava ha dato prova di essere anche la protagonista, a pensarci bene forse l’elemento più debole risulta essere proprio Lara Croft.