DRACULA – L’amore perduto

Regia di Luc Besson
Cast: Caleb Landry Jones, Christoph Waltz, Zoë Bleu, Matilda de Angelis, Ewens Abid, Guillaume de TONQUEDEC
Durata: 129′
Genere: gotico, sentimentale

La storia del conte Dracula e delle origini del vampirismo in una versione sentimentale firmata Luc Besson.

Transilvania, XV secolo. Il principe Vlad, condottiero feroce e sanguinario, perde improvvisamente la sua amata Elisabetta. Decide così di rinnegare per sempre Dio, in nome del quale aveva sempre condotto le sue guerre, ed eredita una maledizione eterna: diventa un vampiro, condannato a vagare nei secoli e guidato dall’unica speranza di ritrovare il suo amore perduto.

Besson torna dietro la macchina da presa per portare sullo schermo la sua versione di Dracula che spazia tra i generi, utilizzando l’horror gotico per mettere in scena una storia d’amore ma anche una riflessione sulla virtù, senza tralasciare momenti di ironia e coreografie spettacolari.

Se sotto un certo punto di vista i salti da un genere all’altro potrebbero spiazzare il pubblico, dall’altro riescono a non fargli mai perdere l’attenzione grazie a un ritmo costante e a diverse scene veramente spettacolari che riescono a farlo quasi cadere nella stessa ipnosi che esercita il conte Dracula sulle sue vittime.

Che piaccia o meno questa versione del romanzo di Bram Stoker, sicuramente non si può rimanere indifferenti di fronte allo spettacolo di luci, costumi e interpretazioni perfette dei suoi protagonisti.

DRACULA, L’amore perduto è stato presentato in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma ed uscirà in sala il 29 ottobre, distribuito da Lucky Red in collaborazione con Sky Cinema. Il trailer è disponibile qui.

 

 

 

Francesca De Santis

AI un campo di battaglia

Se l’AI è il campo di battaglia, le debolezze di major e indipendenti non si misurano solo in termini tecnici, ma in visione, adattabilità e rischio culturale.

Le Major: debolezze strutturali e creative
  • Standardizzazione narrativa L’uso dell’AI per ottimizzare contenuti rischia di appiattire la varietà stilistica e tematica. Se l’algoritmo premia ciò che ha già funzionato, il cinema diventa ripetizione.
  • Dipendenza dai dati di mercato Le major tendono a usare l’AI per prevedere il successo commerciale. Ma il pubblico cambia, e i dati del passato non sempre anticipano le rivoluzioni culturali.
  • Rischio reputazionale L’uso di deepfake, attori sintetici o sceneggiature generate può sollevare polemiche etiche e legali. Il brand può essere danneggiato se l’AI viene percepita come “disumanizzante”.
  • Inerzia creativa Le strutture gerarchiche e i processi industriali rallentano l’adozione sperimentale. L’AI viene spesso integrata come strumento di efficienza, non come linguaggio.

The Greatest Independent Films of the Twentieth Century | The New Yorker

Gli Indipendenti: debolezze operative e di impatto
  • Accesso limitato alle tecnologie avanzate Molti strumenti AI sono costosi o richiedono competenze tecniche elevate. Gli indie rischiano di restare ai margini se non si creano reti di condivisione e formazione.
  • Sovraccarico creativo L’AI offre infinite possibilità, ma senza una visione chiara può generare dispersione. Il rischio è di produrre esperimenti affascinanti ma privi di struttura o impatto.
  • Difficoltà distributive Anche con contenuti innovativi, gli indipendenti faticano a entrare nei circuiti mainstream. L’AI può aiutare nel marketing, ma non risolve il problema della visibilità.
  • Fragilità legale e contrattuale L’uso di AI generativa solleva questioni di copyright, diritti d’autore e responsabilità. Senza supporto legale, gli indie possono trovarsi esposti.
Conclusione: vulnerabilità speculari

Le major rischiano di perdere l’anima, gli indipendenti di non avere voce. Ma proprio queste debolezze possono diventare punti di forza se affrontate con strategia:

  • Le major potrebbero investire in laboratori creativi AI-driven, aprendosi a nuovi linguaggi.
  • Gli indipendenti potrebbero creare reti di co-produzione e formazione, trasformando l’AI in leva collettiva.

 

 

 

 

 

Giovanni De Santis