Mani Nude

Regia di Mauro Mancini.

Un film con Francesco Gheghi, Alessandro Gassmann, Fotinì Peluso, Giordana Marengo, Renato Carpentieri

Genere drammatico

Davide (Francesco Gheghi), un ragazzo di buona famiglia, una notte viene rapito e rinchiuso nel cassone buio di un camion. Finisce così prigioniero di una misteriosa organizzazione che lo costringe a lottare, a mani nude, in combattimenti clandestini estremi, che si possono concludere in un solo modo: con la morte di uno dei due sfidanti. Per sopravvivere, Davide è costretto ad annullare la sua umanità, seguendo le istruzioni di Minuto (Alessandro Gassmann), un carceriere e allenatore di altri uomini destinati, come lui, a questi combattimenti estremi. Pian piano nasce, però, un legame segreto tra il ragazzo e l’uomo, sua unica possibilità di salvezza.

Mani nude: trailer, cast, trama, Alessandro Gassmann | Amica

Senza nessuno sconto alla violenza più spietata e crudele, il regista Mauro Mancini dipinge un luogo, una vera nave scuola, dove si allenano questi condannati a morte. E lo fa offrendoci scene durissime di lotte crudeli con una notevole bravura, dimostrando grande padronanza della camera. Pur immersi nel sangue e nella durezza dei combattimenti, assistiamo come spettatori in modo distaccato, quasi come si trattasse di videogiochi, più interessati ai risultati che non emotivamente coinvolti nelle scene di combattimento.

A questo proposito, forse, una sforbiciata di alcuni minuti avrebbe alleggerito positivamente il racconto.

Mani Nude: il teaser del film con Alessandro Gassmann e Francesco ...

A poco più di metà pellicola si cambia totalmente registro, i due, sfuggiti all’organizzazione clandestina, vivono nascosti in un luogo fatto di palazzi bui, tetri. Un vero non luogo. Ora conducono una vita “normale”: lavorano, iniziano a cercare rapporti con luoghi e persone “normali”.

In questa seconda parte del film, il coinvolgimento emotivo dello spettatore diventa più pressante, questa è la realtà vera, siamo usciti dal videogioco e aspettiamo la conclusione della vicenda, che non può averne che  una e che il regista ci la lascia intravedere.

Un particolare plauso ad Alessandro Gassmann, di cui conosciamo la bravura, ma anche a  Francesco Gheghi, ottimo volto giovane del nostro cinema, che in pochi anni sta componendo una filmografia decisamente interessante , come nel recente Familia (Francesco Costabile, 2024) presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, dove  ha vinto il premio  per la miglior interpretazione maschile.

Trailer

Al cinema dal 5 giugno

Maria Serena Pasinetti

ARAGOSTE A MANHATTAN

Regia: Alonso Ruizpalacios
Attori: Rooney Mara, Raul Briones, James Waterston, Oded Fehr
Genere: Drammatico
Paese: Usa
Durata: 139’
Trailer disponibile qui.

Al cinema dal 5 giugno 2025

In un ristorante di Manhattan che sembra sul punto di esplodere, tra vapori, urla e ordini incessanti, nasce la storia d’amore tra un cuoco messicano (Raul Briones), emigrato in cerca di riscatto, e una cameriera statunitense (Rooney Mara) disillusa, ma ancora in cerca di qualcosa che somigli al futuro.

Alonso Ruizpalacios torna al suo sguardo preciso e visionario sulle dinamiche di potere e identità, questa volta calato nel ventre molle del capitalismo gastronomico newyorkese. La cucina di un ristorante di lusso diventa il luogo simbolico dove si consuma — letteralmente — il dramma degli immigrati, ingranaggi indispensabili ma invisibili del sistema.

Ruizpalacios orchestra la narrazione con il consueto virtuosismo tecnico: piani sequenza serrati, camera mobile e, soprattutto, un uso narrativo del suono — la stampante degli ordini, le urla, le lingue sovrapposte — che dà al film un ritmo quasi musicale, nervoso e incessante. È qui che la citazione a Tempi moderni si fa più evidente: la cucina come catena di montaggio umana, che annulla l’individuo a favore della performance.

Tuttavia, se c’è un punto debole nella costruzione del film, è l’eccessiva insistenza narrativa: ogni personaggio, ogni conflitto, ogni background viene approfondito, costruito e sviluppato con una cura che, paradossalmente, finisce per appesantire il ritmo. La sensazione non è di trame lasciate indietro, ma di un film che non riesce a scegliere cosa sacrificare. Ogni storia è portata fino in fondo, ma il prezzo è un minutaggio dilatato e una tensione che, pur partendo forte, si sfilaccia nel corso del tempo.

La messa in scena rimane comunque notevole. Ruizpalacios sa costruire immagini potenti: la bolgia della cucina, tra vapori e luci calde, diventa un inferno coreografato dove il caos è costante ma mai casuale. In questa confusione di lingue e culture, il regista restituisce l’umanità dei suoi personaggi senza sentimentalismi, ma con una rabbia lucida.

Aragoste a Manhattan è un film che vuole dire tutto e lo dice bene, ma forse dice troppo. Ruizpalacios gira con stile e precisione, ma avrebbe potuto alleggerire la narrazione, accorciare i tempi e concedere più spazio alla tensione implicita delle situazioni. Rimane però un’opera visivamente incisiva, un lavoro ambizioso, visivamente ricco e politicamente netto. Una bolgia organizzata dove il vero protagonista è il rumore del sistema che macina vite, una dopo l’altra.

 

 

 

 

 

Miriam Dimase