IO TI CONOSCO

“Io ti conosco”: il dolore si fa montaggio, il trauma diventa spazio scenico

Con il suo primo lungometraggio, Io ti conosco, Laura Angiulli abbandona momentaneamente le tavole del palcoscenico per trasporre sullo schermo un’opera rarefatta e profondamente autoriale, in cui l’universo femminile ferito diventa linguaggio visivo.
Il film nasce da un’urgenza espressiva: raccontare il femminicidio non attraverso lo sdegno gridato, ma con un tono intimo, stratificato, poetico.

Sara Drago incarna Nina, montatrice alle prese con le immagini di un film sulla violenza di genere. Ma quel montaggio si trasforma in specchio disturbante, in cui il suo passato riaffiora come riflesso non più eludibile. La scomparsa del marito Giulio in una notte sul mare segna lo scarto narrativo verso un cinema che si nutre di sospensione, non-detto e simbologia.

L’approccio registico rivela la matrice teatrale di Angiulli: corpi in scena come figure astratte, silenzi che pesano quanto i dialoghi, scenografie ridotte all’essenziale. Il film sceglie con coraggio la via della sottrazione. Il mare, onnipresente e inafferrabile, si fa dispositivo simbolico: limite, memoria, dissolvenza.

Nonostante l’assenza di una struttura narrativa convenzionale possa destabilizzare il pubblico generalista, Io ti conosco conquista nella sua coerenza stilistica. Non è un film che cerca empatia immediata, ma sedimentazione. Non offre risposte, ma squarci.

Un’opera necessaria, Io ti conosco si impone come uno degli esperimenti più coerenti e radicali del recente cinema italiano indipendente.

Un film che lascia il segno, in silenzio.