LA CULTURA IPOCRITA

Stiamo assistendo in questi giorni alla protesta di registi e autori di sinistra contro la cessione dei cinema a gruppi immobiliari o a fondi.
È incredibile come tutte le parole versate in favore della cultura e della mancanza di spazi siano frutto di una straordinaria ipocrisia e di un atteggiamento unitario nel quale vengono coinvolti poveri operatori e personaggi ricchissimi che dal settore cinematografico e dall’esercizio hanno tratto il loro patrimonio.
Iniziamo da Valsecchi, il produttore più dotato e informato: non sapeva che il Cinema Adriano era all’asta? Non sapeva che l’asta era in essere da anni? Perché non ha partecipato?
Eppure, per lui il prezzo non era un problema, avrebbe potuto comprarne dieci di Adriano.
All’asta si è presentato un solo operatore, e ha comprato a una cifra ragguardevole che non ha comunque coperto i debiti di Ferrero.
Andiamo a fondo: qualcuno ha parlato di cultura quando Rutelli ha consentito la vendita dell’intero circuito a Ferrero?
Ferrero è un uomo di cultura?
E in questi anni, quando è stato chiaro che Ferrero non aveva intenzione di gestire i cinema minori ma solo l’Adriano, qualcuno si è offeso?
Ma passiamo a chi si agita: Verdone, Ozpetek, Bellocchio sono pieni di soldi. Che aspettano a farsi avanti e a rilevare le sale chiuse? E lo sanno perché sono chiuse?
L’Embassy non ha le licenze a posto e non può essere trasferito, altrimenti Mediaset lo avrebbe già fatto. Gli altri sono chiusi perché non guadagnavano a sufficienza per pagare le spese, alcuni non sono raggiungibili facilmente.
In definitiva, essendo la sala un negozio dove si vende cinema come un qualunque altro prodotto, può reggere se l’incasso non è sufficiente o se le spese di gestione sono eccessive?
Eppure, qualche esempio c’è stato di natura artistico-commerciale: Silvano Agosti ha gestito due salette dell’Azzurro Scipioni per decenni, scegliendo tra i film che gli sembravano capolavori e i suoi film autoprodotti. Pesci ha acquistato e gestisce le sale che erano di Franceschelli, le ha migliorate e non si lamenta. Lucisano gestisce da anni un suo circuito. Notorious cerca ancora sale che abbiano un minimo di redditività. Il Caravaggio ospita film di prima visione ed era una sala parrocchiale.
Chi dice che la cultura deve essere una punizione per impedire lo sviluppo commerciale di zone adatte ad altro che non sia un film?
Vogliamo parlare del Cinema Fiamma? Qualcuno dei nostri registi così preoccupati della cultura ha perso il sonno pensando al Cinema Fiamma? Che tipo di speculazione ha rimesso in circolo un cinema che non ha parcheggio neanche di notte? E perché non se ne occupano, visto che è di nuovo sul mercato?
Ozpetek, reduce dal successo imprevisto del suo filmetto, ha per caso la convinzione che, se le sale fossero aumentate, sarebbe cresciuto l’incasso del prodotto?
Il cinema, l’esercizio, è l’aspetto commerciale dell’opera filmica, che non sempre è cultura ma più spesso intrattenimento. Non bisogna confondere i due concetti, perché la cultura richiede applicazione e passione, l’intrattenimento comodità.
Un film di livello viene ricercato e il pubblico che lo apprezza lo va a vedere dove lo trova, mentre un film leggero deve essere a portata di mano con la possibilità di parcheggio.
I multiplex sono nati per questo, per offrire entrambe le soluzioni, mentre le piattaforme sono nate per far arrivare i prodotti direttamente sul divano di casa.
Perché i nostri stimabili registi non si sollevano per aumentare la distanza tra cinema e piattaforme?
Perché in Francia per vedere un film in televisione devono passare 15 mesi e da noi 105 giorni?
Perché i nostri esimi registi non si scandalizzano quando aziende estere si abbuffano di tax credit nostrano aumentando a dismisura i costi dei prodotti? Non sarà perché anche loro partecipano al festino alle spalle dello Stato e dei cittadini?
L’ipocrisia di chi invita lo Stato, la Regione e il Comune a modificare i flussi di mercato e a costringere la cultura dentro recinti inadatti e abbandonati dalla gente corrisponde all’avarizia di chi vuole sempre che i capitali li metta qualcun altro e mai spenderebbe un centesimo di quelli che il cinema generosamente fa loro guadagnare.
Se almeno stessero zitti, la città guadagnerebbe commercialmente e non perderebbe altro tempo nel rimettere in funzione stabili e negozi che da decenni languono senza destinazione.
Avv. Michele Lo Foco

Itaca – Il ritorno

Regia: Uberto Pasolini

Attori: Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Charlie Plummer, Marwan Kenzari, Claudio Santamaria, Ángela Molina

Genere: Storico

Paese: Gran Bretagna, Italia, Grecia, Francia

Durata: 116′

Al cinema dal 30 gennaio 2025

Dopo vent’anni di assenza da Itaca, Ulisse (Ralph Fiennes), partito per combattere nella guerra di Troia, decide di tornare, ma a Itaca dove Penelope (Juliette Binoche) ancora lo attende, molte cose sono cambiate.

Itaca – Il Ritorno, l’Odissea rivive con Ralph Fiennes e Juliette ...

È sempre molto difficile mettere sul grande schermo, cercando di reinterpretarli  magari in chiave moderna, testi classici come in questo caso l’Odissea, e in particolare il ritorno di Ulisse in patria. La difficoltà innanzi tutto sta nel fatto che queste opere grandiose sono tali proprio perché sono senza tempo e narrano storie con significati universali e quindi le reinterpretazioni soffrono inevitabilmente di limitatezza e incompiutezza. Uno dei temi più  affascinanti è sicuramente quello del ritorno alla propria casa e ai propri affetti, trattato anche da Omero. Ulisse, o meglio Odisseo, ritorna ad Itaca: nel film egli è descritto dal regista come un reduce, vittima di traumi postbellici, che fatica mentalmente ad allontanarsi dalla guerra.

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In modo realistico, Uberto Pasolini ci mostra Ulisse con il corpo segnato da ferite profonde e con  l’animo dilaniato dagli orrori della guerra, tanto che non potrà che concludere con una strage l’atto conclusivo del suo ritorno. Il film, un vero ossimoro, assume una connotazione pacifista. Il finale ci offre un Odisseo pacificato, in questo rapporto con Penelope, senza l’inquietudine di chi vuol rimettersi in viaggio. Sicuramente un’interpretazione interessante di Odisseo.

La scenografia è di tutto rispetto, ma purtroppo i dialoghi sono mal scritti e la scelta di alcune figure di secondo piano è poco riuscita, facendo scadere la narrazione a un  livello non certo adeguato a un’ opera quale l’Odissea.

Maria Serena Pasinetti

 

 

IO SONO ANCORA QUI

Regia: Walter Salles

Attori: Fernanda Montenegro, Fernanda Torres, Selton Mello, Maeve Jinkings, Carla Ribas

Genere: Drammatico, Storico

Paese: Brasile, Francia

Durata: 135′

Al cinema dal 30 gennaio 2025

Durante la dittatura brasiliana agli inizi degli anni settanta, Eunice Paiva (Fernanda Torres) affronta la scomparsa del marito Rubens (Selton Mello), ex deputato laburista arrestato e mai più tornato, mantenendo unita la famiglia e trasformando il dolore in attivismo politico.

Io sono ancora qui: trama, cast, recensione | Amica

Presentato in concorso alla 81° Mostra del Cinema di Venezia, Walter Salles decide di adottare un registro più intimista e meno diretto rispetto ad altri film che affrontano il tema delle dittature: qui la violenza e la repressione vengono filtrate attraverso le emozioni dei personaggi, lasciando fuori scena il loro lato più brutale.

Il cuore pulsante del film è proprio Fernanda Torres che, con la sua straordinaria interpretazione, incarna l’anima e la forza emotiva del film: la regia sembra costruita interamente attorno al suo personaggio, Eunice Paiva, e alla sua ricerca silenziosa ma incessante del marito scomparso.

“Io sono ancora qui” e gli altri film della settimana - Il Sole 24 ORE

Più che sulla dittatura stessa, il film si concentra su come questa tragedia politica colpisca l’intimità della vita familiare e personale, facendo emergere il ritratto di una donna che lotta non solo contro l’assenza, ma anche contro l’ingiustizia: Eunice è la lente attraverso cui lo spettatore vive il dramma, e il film trova il suo significato più profondo nel percorso di trasformazione da moglie e madre devastata dal dolore a simbolo di memoria.

Questo approccio intimo e personale è il punto di forza ma anche il limite del film: se da un lato crea una connessione profonda con il personaggio, dall’altro lascia sullo sfondo il contesto storico e politico più ampio, rendendo il film più focalizzato sull’esperienza umana ma nel contempo apparendo come un’occasione mancata per offrire una riflessione storica più incisiva.

Miriam Dimase