Il futuro del settore

Di solito, nei miei appunti, cerco di mettere in evidenza gli errori legislativi, le corruzioni, gli imbrogli contabili, per far capire che il cinema e le produzioni televisive non sono più frutto di creatività, di professionalità e di mercato, ma della ricerca di vantaggi economici rappresentati unicamente dal tax Credit, quella forma di sostegno che Franceschini ha deliberatamente insinuato nel DNA dello spettacolo.

E Franceschini il DNA lo ha realmente modificato al punto tale che, grazie anche al sostegno della senatrice Borgonzoni e della Lega, ormai tutto il settore dipende dalla concessione del Tax Credit, a partire dai grandi speculatori internazionali fino al piccolo miserabile produttorello locale. Tutti i tentativi di far comprendere la negatività e l’artificiosità del sistema sono risultati vani, e fino ad ora né i giornali nè la magistratura sono intervenuti adeguatamente.
E’ allora opportuno, lo dico anche a me stesso, capire dove ci sta portando questa legislazione maligna e quale sarà il futuro dello spettacolo.
Partiamo dalla realtà attuale: le grandi società internazionali, con sedi operative dove si erogano i denari, continuano ad abbuffarsi di Tax Credit che le banche, nonostante il perdurante blocco, continuano ad anticipare. Queste società hanno collegamenti solidi con la politica, con la televisione nazionale, hanno uffici che si occupano della burocrazia, hanno il pelo sullo stomaco e conquistano, indisturbate, la maggior parte del fatturato complessivo.
Di solito non pagano le tasse che dovrebbero perché nessuno riesce a capire la loro contabilità e talvolta nemmeno chi sono i soci. Queste società navigano nel lusso delle strutture al punto da impressionare i loro interlocutori.
Poi ci sono le medie e soprattutto piccole imprese, quelle che dovrebbero essere definite indipendenti se questo termine non fosse stato sequestrato dalle major. Costoro, vittime della burocrazia che le tormenta quasi come una forma di tortura legalizzata, non hanno l’appoggio bancario non avendo garanzie sufficienti, non hanno, spesso, il DURC regolare, perché non hanno pagato tutti i contributi, non hanno uffici ad hoc, non hanno sedi accettabili, non hanno disponibilità finanziarie perché il Tax Credit non glielo anticipano che in minima parte, non hanno rapporti privilegiati con Rai ed emittenti o piattaforme perché non possono essere compiacenti in alcun modo.
Una volta queste società indipendenti basavano il proprio lavoro sulla capacità di intuire storie avvincenti, di lavorare su soggetti e sceneggiature di livello, di acquistare diritti editoriali interessanti, di scoprire attori di grande levatura: allora la nostra cinematografia conquistava il mondo.
Oggi il Tax Credit ha fatto diventare produttori i commercialisti, che come noto, non sono capaci di guizzi di fantasia ma solo di fare le somme. Pertanto, mentre le grosse società si gonfiano sempre di più, le piccole soffrono, si richiudono in se stesse e falliscono: tra un po’ saranno decimate o ridotte a servire a tavola i grandi, che ne potranno abusare in tutti i modi, intendo proprio in tutti. Il futuro sarà di conseguenza nelle mani di un manipolo, forse 15/20, strutture, che avranno il monopolio del Tax Credit, del fatturato televisivo, che lavoreranno in tutto il mondo, e di 4/5 società nazionali, sopravvissute grazie al rapporto con la televisione. Finirà in definitiva come in tutte le situazioni tecnologiche: usiamo solo le mega strutture americane, Google, Apple, Microsoft, acquistiamo da Amazon o nei mega supermercati, mentre i piccoli negozi al dettaglio stanno per scomparire o la hanno già fatto. E l’arte cinematografica? Interessa a qualcuno? Mediamente no, ma se ne occuperanno comunque Netflix, (sempre con l’appoggio della politica), che avrà la possibilità di selezionare anche prodotti di nicchia ma originali, e Rai che dovrà sostenere che il suo è servizio pubblico e pertanto va fatto.
Il cinema eroico, impastato col rischio e con la qualità, non ci sarà più, fagocitato dalle serie e dai prodotti americani, e si spegnerà insieme a Pupi Avati e a qualche regista storico, che sono ancora oggi i testimoni che quel cinema esisteva ma è stato sacrificato all’altare dal Tax Credit e dei suoi discepoli.
Avv. Michele Lo Foco

BERLINO, ESTATE ’42

Regia: Andreas Dresen
Sceneggiatura: Laila Stieler
Con: Liv Lisa Fries, Johannes Hegemann
Durata: 124′
Genere: Drammatico

Tratto da una storia realmente accaduta, Berlino, estate ’42 racconta una pagina della resistenza antinazista di un gruppo di giovani tedeschi tra i venti e i trent’anni che passerà alla storia come “L’Orchestra rossa.”
Hilde e Hans si incontrano e si innamorano in quell’estate del ’42 quando, insieme ad altri coetanei e coetanee, scrivono e diffondono messaggi di propaganda antinazista e pacifista che diffondono clandestinamente sui muri e sui mezzi di trasporto della città e, con l’aiuto di un radiotrasmettitore, anche oltre confine. Quando la Gestapo li arresterà, Hilde è incinta e costretta a partorire in carcere, nonché ad affrontare il processo con questa nuova responsabilità.

Berlino, estate ’42 non è un film che vuole dipingere gli eroi della resistenza in modo sensazionalista, come siamo di solito abituate a vedere dal cinema hollywoodiano, e nemmeno sottolineare ancora una volta la disumanità delle SS e degli apparati della dittatura nazista. I personaggi vengono mostrati perlopiù nella loro natura più semplice: un gruppo di giovani come tanti che vive e si comporta come chiunque altro a quell’età: flirta, si innamora, si ribella e ha paura. Purtroppo però il contesto storico ridefinisce ovviamente tutti i contorni e complica le storie di vita di questi ragazzi che altrimenti sarebbero collocabili in qualunque altra epoca e con cui non è difficile identificarsi.

In uscita il 20 marzo al cinema distribuito da Teodora, è un film da vedere per scoprire un lato della storia della Resistenza tedesca ancora ingiustamente poco raccontato.

 

 

 

Francesca De Santis