Scegliere un film può diventare un atto politico?

Spoiler: sì.

In quest’era di capitalismo digitale, anche il nostro tempo libero è diventato terreno di conquista. Ogni sera, o quasi, ci affidiamo a piattaforme di streaming per scegliere cosa guardare e nell’infinità di titoli a catalogo la serata può prendere due pieghe: o ci rifugiamo nella zona di confort e riguardiamo per l’ennesima volta lo stesso film, o ci affidiamo alle proposte che ci compaiono in home. Ma quanto sono affidabili i contenuti personalizzati? E soprattutto quanti altri ne celano che non rientrano nell’algoritmo?

Valore d’uso e valore di scambio nel mondo dell’arte

Spesso capita di dimenticarsi che anche il settore artististico non muove solo emozioni e pensieri ma anche soldi. E come in tutti i campi, anche qui il capitalismo ha definito i passi di tutte le persone coinvolte, ridefinendo il concetto di valore di un’opera.

Nella sfera digitale lo fa con gli algoritmi, i quali analizzano i nostri dati di comportamento: cosa guardiamo, quanto tempo trascorriamo su un titolo, quali generi preferiamo. Con queste informazioni ci vengono proposti contenuti calibrati ma con una logica essenzialmente commerciale. A prescindere dal suo valore artistico (e pensiamo al tema trattato, alla regia, alla fotografia, alla sceneggiatura o alle interpretazioni) i titoli con più visualizzazioni o popolarità tendono a essere presentati più spesso. In questo modo si genera un circolo vizioso che premia i prodotti dal grande appeal immediato o dalle grandi campagne di marketing a scapito del cinema indipendente. Film con budget contenuti, narrazioni non convenzionali o tematiche di nicchia faticano a emergere perché spesso vengono relegati ai margini, privandoli della visibilità necessaria per raggiungere un pubblico più vasto. 

Perfino Martin Scorsese ha denunciato questo fenomeno, sostenendo che la “cinema art” è stata ridotta a semplice contenuto da consumare, perdendo così la sua anima creativa e culturale.

Autobiography - Il ragazzo e il generale - Fondazione Brescia Musei

Un esempio

Potremmo citarne a decine, ma pensiamo al film indonesiano Autobiography. Il ragazzo e il generale.
Premio Fipresci nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia nel 2022 perché capace di rappresentare una fase storica dell’Indonesia attraverso il ritratto di due generazioni, risuonando profondamente ancora oggi e in tutto il mondo. Il film è disponibile su Prime Video ma dubitiamo vi sia capitato in home perché penalizzato da quelle politiche di intrattenimento della piattaforma.

Che fare? Cinque pratici consigli per invertire la rotta.

La nostra libera scelta può essere davvero un atto politico in questo senso: informarci e andare a cercare un titolo che non ci verrebbe mai proposto dagli algoritmi può essere un aiuto enorme. Ecco dunque alcuni consigli più o meno in ordine sparso su come invertire la logica delle piattaforme:

  1. In primis, ritorna al cinema. Spesso in sala, soprattutto in quelle d’essai, è possibile trovare anche solo per pochi giorni dei veri gioielli che non saprai mai se verranno distribuiti in altro modo.
  2. Quando vince la comodità del divano, non lasciarti guidare dalla homepage, cerca attivamente titoli e registi ignorati dalle piattaforme e prendi in considerazione piattaforme più indipendenti come OpenDDB, MY MOVIES ONE o persino Vimeo.
  3.  Qui tiriamo un po’ d’acqua al nostro mulino: per scoprire film di nicchia o più indipendenti puoi leggere riviste o magazine online come E-Cinema.it e seguirne le pagine social per orientarti sulla scelta.
  4. Sembrerà anacronistico, ma partecipare a cineforum, gruppi di visione, proiezioni autogestite che comunque esistono ancora, sono scelte politiche che permettono uno scambio reale di cultura.
  5. Sempre per restare nell’anacronistico ma funzionale: recupera l’analogico: DVD, archivi pubblici, biblioteche: il passato è un archivio di possibilità che il digitale ha dimenticato.

In un sistema che monetizza ogni secondo della nostra attenzione, scegliere cosa guardare è un atto politico. Alla fine il vero spettacolo non è proprio quello che decidiamo di cercare?

 

 

 

 

Francesca De Santis

The Lunch – A Letter to America,

Regia Gianluca Vassallo

Girato durante l’ultimo mese della campagna elettorale statunitense, il film è un viaggio corale e intimo che percorre un’America sospesa tra solitudini, appartenenze, ideologie e identità. Da New York al South Dakota si susseguono e intrecciano micro-storie che offrono uno spaccato sincero e profondo dell’America contemporanea: incontri fortuiti, canti patriottici, corpi accidentali, atti di pietà, militanza ludica, preghiere, violenza e tenerezze.

La vicenda di Eduardo, cuoco al Parkview Diner di Coney Island, e di Robert, fervente sostenitore di Trump, è il cardine inconsapevole di un racconto che si muove da sé nell’ultima settimana della campagna presidenziale americana in un percorso narrativo circolare. Le loro vite apparentemente indipendenti si incontrano nel finale, il 5 novembre 2024: mentre i seggi si chiudono e la Storia si compie, il trumpiano Robert riceve un hamburger cucinato dal messicano Eduardo, nel diner di Coney Island. Un gesto semplice e quotidiano si trasforma in atto poetico di riconciliazione.

Il film è stato girato durante un viaggio su strada di 5.500 km attraverso 11 stati degli Stati Uniti, durato 31 giorni tra il 10 ottobre e il 9 novembre 2024. Le riprese iniziano a Coney Island, New York, e proseguono a New York City. Da lì il racconto si sposta verso ovest, attraversando New Jersey e Pennsylvania, per poi entrare in West Virginia, Ohio, Indiana e Illinois, per continuare in Wisconsin, Iowa e verso ovest con arrivo a Fort Pierre, South Dakota. Il ritorno a New York ha seguito un itinerario più settentrionale, passando per il Minnesota, per poi toccare Wisconsin, Illinois, Ohio, Pennsylvania e New Jersey, chiudendo il cerchio a Coney Island. Una seconda e più breve sessione di riprese si è svolta dal 7 al 24 gennaio 2025, durante la settimana dell’insediamento presidenziale, limitata a New York City e Washington D.C.

Quando ho iniziato a lavorare sul The Lunch, avevo la certezza che sarebbe stato un lavoro politico. Ma mentre eravamo sul campo, perduti tra le mille incertezze di chi insegue la realtà, ho sentito che questa ci stava portando verso uno spazio poetico, in una accezione terrena e affatto aulica, lasciando la politica dentro il corpo dell’intimità del quotidiano. Ho capito quasi subito che quella che stavamo filmando era l’ultima l’America come l’abbiamo conosciuta, la testimonianza dell’ultimo stadio della purezza primitiva del paese che determina, nostro malgrado o per nostra grazia, il destino de mondo. Un destino determinato da quelli che, in questo film, possono sedersi a tavola ad attendere il cibo.

Mentre gli ultimi, così consapevoli della loro condizione da diventare una speranza di rinascita dell’umanità, preparano il pranzo.

Trailer: https://vimeo.com/1127095147

Al cinema da gennaio 2026

La Redazione

If I had legs I’d kick you

All’interno della Festa del Cinema di Roma c’è quest’anno una sezione dedicata ai “Best of 2025”, ovvero quei film già usciti in sala o presentati in un altro festival nel corso dell’anno corrente che si sono meritati, per qualità o riconoscimenti, di essere proposti anche al pubblico romano.

È il caso di “If I had legs I’d kick you” (letteralmente: “Se avessi le gambe, ti prenderei a calci”) premiato con l’Orso d’argento per la migliore interpretazione femminile alla protagonista Rose Byrne alla scorsa edizione del Festival di Berlino.

 

 

 

 

 

 

Come riconoscimenti, dunque, ci siamo. Quanto a riuscita qualitativa, ci permettiamo di dubitarne. Sì, perché l’”odissea da incubo di proporzioni freudiane”, come la definisce la regista Mary Bronstein, è una cavalcata senza respiro nella notte della vita attraversata dalla protagonista, una psicologa stressata dalla malattia della figlia, dalle sue stesse nevrosi e da una serie di vicissitudini che stanno in bilico tra l’ironico, il surreale e l’horror, che però non conduce a nessun traguardo, nessun approdo, se non a un finale talmente prevedibile che sarebbe stato possibile anticiparlo dopo 20 minuti di film.

If I Had Legs I'd Kick You” Stomps Into Theaters This October - Irish Film Critic

Discorso a parte merita la recitazione della protagonista, Rose Byrne, talmente brava da risultare credibile anche quando la trama non lo è ed empatica per un personaggio a tratti semplicemente insopportabile.

Promozione a pieni voti per l’attrice e “rimandata a settembre” per  la regista, in attesa di una nuova prova in cui i guizzi di talento registico che qua e là si intravedono siano al servizio di una sceneggiatura più solida e coraggiosa.

 

 

 

 

 

 

Luigi Sardiello