LA MARSIGLIESE

Regia: Jean Renoir

Cast: Pierre Renoir, Louis Jouvet, Lise Delamare, Léon Larive, William Aguet, Elisa Ruis, Catherine Hessling, Werner Krauss

Cronaca degli eventi che portano alla caduta della monarchia francese durante i primi anni della Rivoluzione. Nel Luglio del 1792, 500 volontari muovono da Marsiglia verso Parigi per unirsi ai moti rivoluzionari. Nella capitale, dopo l’assalto al Palazzo delle Tuileries, il potere passa nelle mani della Comune Insurrezionale…

Tra tutti i film della sterminata filmografia di Jean Renoir questo fiammeggiante racconto di una fase cruciale della Rivoluzione Francese rappresenta forse il progetto più ambizioso.

Imponente l’assetto produttivo: centinaia le comparse, magnifiche le scene di guerra, grande l’accuratezza nei costumi, impressionanti per potenza ed efficacia molte scelte registiche. Ma quello che più colpisce, ancora oggi, è il fervore che sostiene e anima tutto il film, rendendolo convincente dall’inizio alla fine. Come molti grandi autori, Renoir parlava del passato per intendere il presente.

Girato negli anni di massimo fulgore artistico, La Marsigliese fu concepito dal regista in un periodo di intensa militanza politica. Espressamente dedicato all’azione del Fronte Popolare e finanziato attraverso una sottoscrizione popolare, nell’intenzione dell’autore nasceva come un forte richiamo ai valori democratici, socialisti e repubblicani.

In anni in cui cominciava a profilarsi sempre più chiaramente una loro pericolosa messa in discussione, Renoir scelse di tornare a questa pagina di storia, esempio di altissimo valore civile. La concitata parte finale, con la presa del Palazzo delle Tuileries, è un brano di grandissimo cinema!

Disponibile in streaming con www.e-cinema.it

A Settembre anche in DVD

Riccardo Cusin

Studioso della storia del cinema

Il digitale, la nuova frontiera per i film.

Non possiamo certo smentire che il 2020 sia stato l’anno (coatto) del “the beginning of the digital film”, causa la forzata clausura (leggere pandemia), l’intrattenimento inteso come la visione di prodotti cinematografici e non (oramai in streaming, per chi ha voluto seguire il modello), fiction o docufilm: la VOD l’ha fatta da padrona.
Il punto fondamentale è stata la visione della sfaccettatura di questo prezioso diamante, ovvero chi ha puntato sulla TVOD, chi su SVOD altri sulla PVOD ed infine sulla AVOD,
ma in compenso tutti hanno offerto quanto di più democratico potesse essere, la visione di un prodotto all’ora che preferivi, nelle volte che volevi e al prezzo più interessante, ovvero una TV orizzontale, senza l’imposizione di palinsesti dettati da questo o quel direttore di rete o proprietario di antenna.
La democrazia dal basso sembrava avverata.


Non proprio: Netflix punta sulla serie, principalmente.
Amazon prime su una sorta di Avod fatta in casa a proprio uso e consumo: compra i prodotti da me e io ti faccio vedere i films che i produttori caricano (a proprie spese) sul mio portale, offrendo questa opportunità (non proprio facilmente) a tutti gli altri operatori di questo settore, che non sono pochi.
Libertà di scelta da parte del consumatore, forse sì.
Libertà di offerta da parte dei vari distributori o licenzianti??? No!!


Anche in questo caso, come nell’ultimo film di Ken Loach dove il fattorino veniva turlupinato con la scusa che in quell’azienda sarebbe stato un libero professionista e non un dipendente, libero di scegliere gli orari e le ore di lavoro, come i produttori e distributori di contenuti video non sono liberi di proporre assolutamente nulla, mi spiego:

lo sfruttamento del film non lo pago, ma divido gli incassi,

decidendo Io senza nessuno spazio di trattativa la percentuale e durata del prodotto…!!

Mi ricorda tanto un film con Albertone: io sono io e Voi non siete “nessuno“!
Insomma siamo alle solite, sembrava di vedere la luce e come si usa in questo periodo di commemorazione di Dante: mi sembra di entrare in una selva oscura.
Passano gli anni ma il metodo è sempre lo stesso, il potente la fa da padrone e gli altri…..
La partita è ora nel campo delle sette sorelle, chiamate così le Major che con la loro potenza di fuoco potranno e dovranno (come sta già facendo Disney+) uscire dal giogo di quanto detto e proporre in diretta le loro novità e library, gli indipendenti che non hanno risorse “illimitate” dovranno anche in questa occasione ….arrangiarsi, come hanno sempre fatto: di necessità virtù.
Che dire, i tempi cambiano ma il modello è sempre quello, del Conte con il villano.

E allora Vi ricordo anche: www.e-cinema.it – grandi film in streaming, liberi di scegliere!

Rosa Trotta

Io, Vittorio Feltri-oggi in streaming

Disponibile da oggi 17 luglio 2020, in streaming sul sito

www.e-cinema.it , il docufilm con la regia di Tiziano Sossi e il commento di Pino Farinotti.

Feltri, il giornalista più “POP” del Paese.

Grandi personaggi hanno chiosato un “Direttore” unico e inimitabile nonostante le gag di comici che hanno cavalcato le sue affermazioni, da liberale che non si schiera e non piega a questo o a quel “padrone”.

Da Alberoni a Del Debbio, al grande regista algerino Rachid Benhadj, Sallusti, Facci e molti altri ma soprattutto c’è un ricordo commovente dello scrittore Andrea Pinketts.

Raccontano di un professionista con un percorso che pochi hanno, personaggio dalle mille sfaccettature, unico nel suo genere lo puoi amare o odiare, alla pari. Ma nel privato, in casa sua, quando racconta della sua famiglia e delle vicende, magari dolorose, che ha vissuto da giovane,  

allora la percezione cambia. E’ un altro uomo.

Alcuni passi significativi che porteranno a far conoscere il prodotto al pubblico sono:

Pino Farinotti:

In una delle sequenze finali gli dico: “C’è un momento in cui ti metti una maschera, indossi un costume e sali sul palcoscenico del piccolo schermo, e il pubblico ti applaude, sei attore di grande successo. Poi c’è l’uomo, che è diverso dall’attore… e forse è migliore.

Risposta: “Beh, se lo dice Farinotti devo credergli. Ma non del tutto.”

Gabriele Albertini, già sindaco di Milano, europarlamentare. Ha esordito dicendo: “Se Montanelli è il principe dei giornalisti, Feltri è il duca.” Poi si è rivolto a Feltri: “Credo che tu sia i titoli dei giornali che hai diretto. Il Borghese… e guarda la tua storia, sei il borghese del novecento, quello di qualità. Sei “libero”: il tuo pensiero non si assoggetta alle compiacenze del momento né al rapporto col potere. Indipendente: hai sempre cercato di avere i lettori come tuoi padroni. Europeo: intendi l’Europa non come burocrazia, non come UE, ma come storia.”

Ma non spoileriamo, ora il docufilm è disponibile ed ognuno potrà giudicare e commentare, personalmente.

Rosa Trotta

Matares

DISPONIBILE DA OGGI 15 GIUGNO IN STREAMING su:

Amazon Prime Video, Chili, Vativision, www.e-cinema.it

MATARES è un film del 2019 di 90 minuti, scritto e diretto da Rachid Benhadj, interpretato da Dorian Yohoo (Mona), Anis Salhi (Said), Hacene Kerkache (Djaffar), Kobe Alix Hermann (Cedric), Rebecca Yohoo (madre di Mona). È prodotto da Nour Film (Algeria) e Laser Film (Italia), distribuito da 30 Holding, con colonna sonora di Said Bouchelouche, voce cantata di Tetty Tezano e direzione della fotografia di Karim Benhadj.  Mona è una bambina ivoriana di 8 anni, fuggita dal suo paese di origine per stabilirsi insieme alla madre a Tipasa, città costiera algerina fondata dai Fenici, successivamente conquistata dai Romani, di cui sopravvivono le suggestive rovine cimiteriali “Matares”. Mona è costretta dal contrabbandiere Cedric a vendere fiori ai turisti per racimolare il denaro necessario alla traversata del Mediterraneo così da riabbracciare il padre che vive in Italia. Nella medesima zona Said, bambino algerino di 10 anni alle dipendenze di Djaffar, vende fiori ai turisti. La collisione tra i due è inevitabile, l’iniziale scontro si trasforma ben presto in un tenero incontro, dove il sentimento puro di amicizia trionfa sulle questioni affaristiche, le differenti matrici religiose – cattolica lei e musulmano lui – e razziali. Mona si esprime attraverso monologhi, dialoghi e pensieri, il racconto di Adamo della Genesi dell’Antico Testamento  apre la narrazione filmica.

Il primo essere umano caduto nella storia a causa del peccato originale era in realtà un africano di pelle nera che, nella tragedia della mondanità fatta di fatica e dolore «… non capiva perché la gente lo chiamasse sporco negro e perché odiasse la sua pelle nera. Aveva una gran voglia di gridare a tutti che i primi uomini erano neri come lui, ma per evitare altri problemi, preferiva tenere per sé questa verità. Per non capire gli insulti che gli urlavano, Adamo si rifiutò di imparare altre lingue. Ad ogni modo anche quando era obbligato a parlare la lingua del posto, nessuno lo ascoltava. Più il tempo passava, più si sentiva triste e solo». Ed è una pelle nera che con lo sviluppo secolare dell’umanità diviene bianca, avviene una sorta di sbiadimento dei connotati essenziali dell’essere umano in linea con la progressiva trasparenza della società contemporanea, in preda alle nuove tecnologie, alla lucida follia del “like/don’t like” in cui è bandita ogni opacità, e in cui il colore cessa di esistere, anche nella memoria, innescando antinomie razziali incomprensibili, in quanto la fissazione di ogni desiderio nelle cose e nell’appagamento degli effimeri bisogni terreni non primari diventa il timone di ogni azione umana, un raggiro che scolora tutto, anche la pelle, e soprattutto la memoria della comune origine ancestrale.

Benhadj affronta la questione razziale in termini assolutamente originali, non occorre solo accettare l’altro che ha una differente pigmentazione della pelle sulla base di considerazioni socio-antropologiche votate alla pace tra i popoli e alla pacifica convivenza sul pianeta, ma occorre riconoscerlo come fratello, come essere umano tassello del mosaico dell’umanità, la quale ha una medesima origine e un eguale destino, con un’alfa e un’omega sancite dal tempo in cui l’uomo è piombato a causa del peccato originale e con un quid che è esterno a ogni dimensione spaziale e temporale la cui eternità si realizza solo con l’adesione incondizionata al Trascendente. Tale adesione è scelta dall’uomo in ogni sua azione, in ogni momento della sua esistenza decidendo di accorgersi o meno delle differenze razziali, così come di ogni altra differenza, che alla fine esistono solo nel suo immaginario figlio delle fuorvianti esperienze sensibili, nel tunnel degli ammiccamenti mondani che troppo spesso non riesce a identificare.

Altro tema trattato è il dialogo interreligioso, Mona è cattolica e Said è mussulmano, lei parla con Gesù, lui è identificato solo dall’etnia, dalla ricostruzione narrativa, non compie alcuna ritualità, è elemento di un sistema socio-culturale che lo identifica come tale, si realizza una sorta di metonimia che prende a base luoghi, discorsi, oggetti, un libro sul Corano consegnato a lei da Cedric affinché venda meglio, facendo emergere il  Credo del bambino algerino a contrariis, dall’intima violenza fatta a lei. D’altronde la dichiarazione Nostra aetate (1965) del Concilio Vaticano II parla chiaro. All’origine del dialogo tra le religioni c’è il dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, perché i vari popoli costituiscono una sola comunità, avendo una stessa origine e come fine ultimo Dio. La Chiesa Cattolica « considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini », guarda « con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno ». Un seme, questo, della Dottrina Cattolica che diventa foriero di altre non meno importanti “rivelazioni”, tra cui l’enciclica Redemptor hominis (1979) di Giovanni Paolo II in cui il grande Santo afferma che lo Spirito di verità opera in ogni ferma credenza dei seguaci delle religioni non cristiane (cf. n. 6) e che lo Spirito soffia dove vuole (cf. n. 12).

Benhadj unisce nella storia Mona e Said con un amore fraterno che emerge spontaneo e che si scrolla di dosso velocemente tutti i pregiudizi terreni quali il colore della pelle, la Fede religiosa, la provenienza etnico-geografica, il genere sessuale, etc., confermando le parole del grande Papa sulla scia dell’evangelista Giovanni « Lo Spirito come il vento, soffia dove vuole » (Gv. 3, 8), sancendo, quindi, il necessario abbandono alla chiamata divina hic et nunc affinché l’uomo trovi la strada della Verità. Nel film c’è qualche colpo di scena, solo accennato da Benhadj, che non contraddice mai il suo stile fatto di sguardi discreti, di scenari naturalistici meravigliosi, di bellezza umana indagata con pudore, con “timore e tremore”, utilizzando le parole del filosofo danese Søren Kierkegaard. Said ruba i soldi di Djaffar, che lo punisce, Mona pugnala Djaffar per difendere Said dall’aggressione violenta, i bambini algerini cacciano Mona dandole della “sporca negra”, Mona, assoldata da Djaffar, è indotta a un incontro di prostituzione. Tutte miserie umane che, tuttavia, non riescono a “bucare il video” in quanto la spiritualità e l’intimità emozionale che guidano la narrazione filmica non diminuiscono mai, e in ciò gioca un ruolo fondamentale la magnifica fotografia di Karim Benhadj, figlio del regista, che recepisce bene gli insegnamenti di Vittorio Storaro, di cui è allievo virtuoso. Al termine della visione lo spettatore dimentica quasi la questione degli immigrati clandestini, probabilmente ha voglia di abbracciare teneramente un membro della sua famiglia o un caro amico, in quanto il film accende la voglia di amare il prossimo e il mondo, unica modalità per abbattere divisioni e tristezze umane.

MATARES verrà proiettato on line in mondovisione il prossimo 15 giugno 2020.

Marco Eugenio Di Giandomenico

Marco Eugenio Di Giandomenico è scrittore, critico dell’arte sostenibile, economista della cultura, titolare di prestigiosi incarichi accademici presso università e accademie di belle arti italiane ed estere tra cui l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e l’ARD&NT Institute (Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnico di Milano), creatore e curatore di mostre artistiche ed eventi culturali in Italia e all’estero. Per le sue attività è stato insignito di svariati premi e riconoscimenti, soprattutto con riferimento alla teoria della “sostenibilità dell’arte”, di cui è riconosciuto tra i principali assertori a livello internazionale.

www.marcoeugeniodigiandomenico.com