Cinecittà e il PNRR

Il “piano nazionale di ripresa e resilienza” è una delle dizioni politiche utilizzate per far capire alla gente che si tratta di un affare di grandi proporzioni e non farne capire i contenuti.

Le parole che la politica talvolta adotta, Welfare, hub, e da ultima “resilienza” sono utilizzate per introdurre nell’ambiente concetti impalpabili, vaghi ma autorevoli destinati ad incartare una serie di provvedimenti di varia natura e di notevole impatto economico.

Cos’è la resilienza, parola usata raramente e certamente cacofonica?

“E’ la capacità di affrontare resistere e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dopo eventi particolarmente traumatici.”

Bene, ciò detto, il piano di “resilienza” è un intervento economico europeo teso ad agevolare le nazioni nello sforzo di sistemare aspetti delle loro strutture. Cinecittà è la struttura individuata da Franceschini per indirizzare 300 milioni di euro: dal momento che non aveva altre strutture apprezzabili, gli era sembrata la soluzione proponibile, anche se lo stato dei luoghi dopo la cura Abete era già costata allo Stato decine di milioni di euro.

Cinecittà, gli studios compiono 80 anni e tornano allo Stato ...

Pertanto la “resilienza” si è trasformata in un progetto faraonico, sostenuto da giornali e giornalisti, con a capo Gloria Satta, nel quale Cinecittà sarebbe diventata virtualmente lo studios degli studios, Roma caput studios.

La moltiplicazione di terreni e capannoni è diventata un effetto speciale ed a tutti è stata pubblicizzata l’immagine di Maccanico con la spada sguainata e i nemici europei distrutti.

Improvvisamente però la resilienza ha un brivido: il Ministro che se ne occupa comunica che qualcosa non va, le rate non arrivano, l’Europa vuole spiegazioni, il piano italiano è sbagliato. Cinecittà non invade l’Italia con 17 nuovi capannoni, ma ci ripensa, sono la metà e sempre entro il 2026.

Cosa diranno le banche e gli appaltatori, dove finisce il sogno degli studios degli studios? Cinecittà fa una doccia di realismo, e comincia a pensare che forse sarà utile rivedere i conti e dare una calmata alla Satta.

Maccanico rinfodera la spada e pensa alle vacanze, che sono alle porte, tanto Cinecittà è affittata per lo più ad un’azienda straniera, e quella paga.

Ma c’è un ultimo trucco da utilizzare: basta con il nome di Istituto Luce Studios, torniamo a Cinecittà S.p.A., cioè il nome che aveva l’azienda quando io fui nominato consigliere quarant’anni fa.

Da allora le carte sono state rimescolate varie volte e le fusioni si sono succedute per confondere i conti. Prima Ente Cinema S.p.A., poi Cinecittà Studios, poi Cinecittà Luce, poi Luce Cinecittà, poi Istituto Luce Studios e qualcuno lo dimentico. Non sono un indovino ma temo che degli Studios, comunque si chiamino, e del parco a tema, ne sentiremo parlare ancora, e non solo per la resilienza ma per la loro sopravvivenza.

Avv. Michele Lo Foco

I RISULTATI DEL FESTIVAL

Per smentire le parole del ministro Franceschini sul festival di Venezia, da Lui descritto come testimonianza dell’ottimo livello del cinema italiano, bastano i risultati dei primi giorni al botteghino: un disastro.

I film italiani vengono talmente trascurati che la riedizione di un vecchio colossal “Avatar” è il prodotto più visto, mentre il “Signore delle formiche” arriva stentatamente ad un milione di Euro, Crialese sfiora la metà ed addirittura “Siccità”, titolo orrendo, esordisce con 70mila euro.

Pertanto, pur pompati dalla stampa di sinistra e dalla televisione di sinistra, pur lanciati da Venezia, i nostri film cui lo Stato regala decine di milioni di Euro, non riescono a trovare la strada del pubblico, che forse si accontenta, a ragione, di vedere Elodie seminuda che è almeno una novità assoluta.

Il nostro cinema è malato, ha il lungo Covid, ed è sorprendente, quasi incredibile, che nessuno cerchi di comprendere come mai la legge Franceschini sia stata così velenosa e come sia ancora possibile buttare soldi su soldi in prodotti invisibili ed intimisti.

Eppure è chiaro che le Commissioni ministeriali sono eterodirette, se non totalmente condizionate, e che le scelte editoriali dei burocrati messi a capo delle strutture non fanno altro che riflettere la loro angustia mentale ed il loro desiderio di favorire i potentati del settore.

Gli indipendenti, quelli veri che studiano i progetti, che fanno riscrivere dieci volte le sceneggiature, che non mettono a recitare le loro amanti, che capiscono gli interessi dei giovani o del pubblico maturo, ormai sono pochi, e qui pochi danno fastidio. Una volta, se un film non aveva il successo sperato, tutti i partecipanti ne risentivano, andavano a piangere in un angolo.

Oggi, no, va tutto bene, nessuno protesta per il disastro di un film, anzi è colpa del pubblico se una storia non viene apprezzata.

Attori che collezionano flop uno dietro l’altro, se fanno parte del cerchio magico di qualche struttura continuano a lavorare e ad incassare, tanto chi paga è lo Stato, sempre e solo lo Stato.

Avv. Michele Lo Foco

SBAGLI

Il cinema a 3 euro e 50 è un’altra delle iniziative Franceschini che non hanno senso, in quanto si basano come sempre unicamente sull’effetto “regalo”, che è l’unico che il ministro conosce.

Qualche giorno di film a metà prezzo nella settimana delle elezioni: ma che generosità pagata però dai produttori, e quale risultato!

Infatti chi vuole vedere un film andrà ora in sala e non dopo, e pertanto il guadagno di ingressi, e non di soldi, attuale verrà pareggiato con i mancati ingressi successivi a prezzo regolare.

È tutto talmente logico che sembra difficile non comprenderlo, anche perché è esattamente quello che è successo la volta precedente.

Lo staff di Franceschini sostiene che il vantaggio è che la gente in questo modo ritrova la strada del cinema, si riabitua ad andare in sala, ma a parte il fatto che il pubblico non è quel gregge di pecore che loro immaginano, resta il problema che sono i film a determinare gli ingressi e non il costo.

Questo principio ai nostri legislatori di sinistra non va giù: secondo loro la sala è un posto dove rinfrescarsi, passare ore, dormire, tutto purché guardare un prodotto che deve essere attraente, interessante, dedicato ad un target.

Si sono chiesti come mai i film americani, di animazione, o i grandi action incassano milioni di euro mentre i nostri film migliori soltanto le briciole?

E se fosse una questione di soldi, perché non esistono più le seconde e terze visioni come una volta?

Secondo Franceschini se il film costa tre euro e mezzo io vado comunque al cinema a vedere uno di quei filmati “sfigati” che il tax credit ha consentito di produrre?

Piuttosto faccio una passeggiata, o risparmio per andare a vedere qualcosa di serio! Perché se il ministro pensa che le società importanti facciano uscire i loro film a prezzo ridotto, si è, come sempre, sbagliato.

Così come si è sbagliato a regalare la Siae a Nastasi.

Il nostro futuro ex ministro, che ha sostenuto questa nomina proprio in zona cesarini, compiendo una duplice scorrettezza (la nomina e Nastasi), una volta era decisamente favorevole a seguire l’esempio europeo e a consentire la liberalizzazione della tutela editoriale, togliendo il monopolio a Siae.

Improvvisamente, quando Gianni Letta gli ha spiegato che Siae è un presidio politico ed un ente economico, con grande sorpresa dei suoi compagni PD, ha invertito la posizione ed è diventato uno strenuo difensore del monopolio.

D’altra parte, credo ormai sia chiaro a tutti, Franceschini è l’uomo più di destra che abbiamo in Italia: ha privilegiato i grossi gruppi e gli investitori stranieri e ha penalizzato i produttori indipendenti.

Ha consentito l’utilizzo del tax credit da parte di gruppi esteri e ha appoggiato la crescita delle piattaforme a scapito del cinema nazionale, riducendolo al 10%.

Difficile fare peggio.

Avv. Michele Lo Foco

VELTRONI E NON SOLO

VELTRONI E NON SOLO

Se qualcuno si domandasse perché Veltroni continua a dirigere film ed a scrivere soggetti e sceneggiature, e per certo so che quasi tutti gli esercenti si sono posti questa domanda, la risposta sta nella metodologia storica della sinistra.

Infatti mentre la destra, nelle sue espressioni più basse e disonorevoli, ha trovato sponsor negli imprenditori, con i quali talvolta ha concluso accordi fuori delle regole, la sinistra da sempre ha preferito agire all’interno del sistema, modificando valori e corrispettivi in modo da remunerare al massimo i propri accoliti anche a costo di creare un enorme danno al settore.

Veltroni è stato artefice di una delle peggiori legislazioni del comparto, dotando di una cifra immensa il valore “culturale” dei prodotti filmici e pertanto premiando autori, sceneggiatori, montatori, registi di sinistra con cifre che non avrebbero mai più immaginato nella vita. Di quel disastro strutturale residua ancora la cosiddetta “cartolarizzazione”, che poi tale non è, sistema che cerca di nascondere i rottami dei film “culturali” nel corpaccione di Cinecittà.

Ma Veltroni è rimasto nel cuore di tutti coloro che da quel periodo ne uscivano ricchi, e che provano un senso di riconoscenza tale da ignorare i risultati modestissimi dei lavori precedenti, concedendogli altre ben pagate occasioni per imparare un mestiere.

Ovviamente queste occasioni sono sostenute dal Ministero e da tutti gli enti erogatori e pertanto possiamo dire che far lavorare Veltroni è un onere dei cittadini italiani.

Francheschini invece usa la strategia della testa nella sabbia e forse inconsapevolmente, forse su suggerimento di Nastasi, forse ipocritamente, sostiene che il suo tax credit “è stata una leva che ha riportato in alto il cinema italiano”. Premesso che il cinema italiano è scivolato al 10% del fatturato nazionale e che mai, dico mai, c’è stato un così forte rigetto da parte del pubblico per il prodotto nazionale, è ovvio, soprattutto per gli esercenti, che il cinema italiano, grazie a Franceschini, è morto ma continua ad alimentare società care al ministro e soprattutto straniere. In un paese che sta ragionando sulla diminuzione del riscaldamento e delle illuminazioni cittadine, il tax credit dato a prodotti mediocri, che ci hanno escluso dal commercio mondiale, è una forma delittuosa di spreco statale.

Se non fosse per il fatto che Franceschini è sposato con una futura parlamentare, bella ed intelligente, le sue colpe sarebbero tali da superare quelle di Veltroni, che è invece anche un uomo triste.

Avv. Michele Lo Foco