Mentre tutti ne parlano, il cinema denuncia.
Nel film Io ti conosco, Laura Angiulli non racconta il femminicidio: lo attraversa. Lo lascia emergere come una crepa nel tessuto della realtà, come un’assenza che non si può montare, come un dolore che non si lascia chiudere in una narrazione lineare. La protagonista Nina, interpretata con intensità da Sara Drago, è una montatrice. Ma quando il marito scompare, il suo lavoro, dare forma alle storie degli altri, si trasforma in una lotta per dare senso alla propria.
Il femminicidio, in questo film, non è un fatto di cronaca. È un vuoto che si insinua nel quotidiano, una violenza che si consuma nel silenzio, nella disattenzione, nella normalità. Angiulli sceglie di non mostrare l’atto, ma di farne sentire il peso. Il montaggio diventa metafora: ogni taglio è una ferita, ogni raccordo una domanda, ogni sequenza un tentativo di ricomporre ciò che è stato distrutto.
In un panorama cinematografico spesso incline alla spettacolarizzazione del dolore femminile, Io ti conosco sceglie la sottrazione. E proprio in questo gesto radicale trova la sua forza.
Il film non cerca di spiegare, ma di far sentire. Non offre soluzioni, ma invita a restare dentro il disagio, a non voltarsi altrove.
Il femminicidio è un tema sempre attuale, purtroppo. Ma è anche un tema che rischia di diventare retorico, anestetizzato, ridotto a hashtag. Io ti conosco lo restituisce alla sua dimensione più vera: quella dell’esperienza, della perdita, della memoria. E lo fa attraverso il cinema, che qui non è solo linguaggio, ma spazio etico, dispositivo critico, atto politico.
Distribuito da Galleria Toledo e DNA srl, il film è stato presentato al Festival del Cinema di Spello, e rappresenta una delle voci più urgenti e consapevoli del nuovo cinema italiano.
Un’opera prima che non chiede di essere capita, ma di essere ascoltata. Come un grido che arriva da lontano, e che non possiamo più ignorare.
Giovanni de Santis