ONE HALF OF ME

Titolo: ONE HALF OF ME (originale)

Titolo: L’ALTRA META’ DI ME (vs Ita)

Regia di Tuukka Temonen

Cast: Inka Kallén, Anu Sinisalo, Tommi Eronen

Award: 2021 Winner

Lingua originale – Finlandese Anno produzione 2021

Durata: 102 min Genere: Drammatico/Sport

Edizione e distribuzione italiana: MOVIES MANIA

Colonna Sonora / Sound design / Video editing / Doppiaggio di MOVIES MANIA

Risultato immagine per film ONE HALF OF ME

Jaana, proprietaria di un bar e madre di due bambine, vive con il suo carismatico ma irascibile compagno Marko. Il principale interesse di Jaana è l’equitazione che pratica a livello agonistico, partecipando regolarmente a diverse gare. Un giorno, a seguito di un incidente che le spezza la spina dorsale, la vita di Jaana subisce una svolta drammatica quando si risveglierà in un letto d’ospedale con le gambe paralizzate.

Determinata ad affrontare il suo destino, Jaana tenterà di riprendere in mano le redini della sua vita e tornare a cavalcare.

Non sarà un percorso facile e Jaana dovrà farsi strada tra le difficoltà.

Basato su una storia vera, questo film è un meraviglioso omaggio alla battaglia personale di una donna.

Prossimamente in streaming con www.e-cinema.it

Trailer

 

 

 

 

 

Giovanni De Santis

Escape from Mogadishu

Regia: Ryoo Seung-wan

Genere: Azione, basato su una storia vera

È il 1991 e in Somalia scoppia la guerra civile per destituire il dittatore Siad Barre.

La situazione di caos e incertezza coinvolge inevitabilmente anche le delegazioni diplomatiche dei paesi esteri con sede a Mogadiscio ma quello che ci viene raccontato in questo film è la situazione particolare, poco conosciuta e realmente accaduta, che coinvolge gli ambasciatori delle due Coree.
La proiezione viene infatti preceduta da un breve resoconto dell’ex ambasciatore italiano in Somalia, Mario Sica, che grazie alla sua collaborazione rese possibile l’espatrio in sicurezza dei delegati coreani.

Grazie a una produzione ricca con esterni girati in Marocco ma che ha ricostruito dettagliatamente i particolari di quella situazione e con realistiche scene di rivolta, il regista ha saputo raccontare in maniera precisa e delicata un episodio che forse non ha avuto precedenti nella storia.

La costante presenza dei bambini in questo scenario violento non solo ci ricorda come la guerra non risparmi davvero nessuno ma aggiunge anche una sfumatura tristemente giocosa (bellissima la scena in cui dei bambini soldato somali scovano le famiglie dei diplomatici delle due Coree e, con i fucili in mano, fingono di sparare e i bambini coreani in risposta fingono di morire).
Ma i messaggi che Ryoo Seung-wan vuole trasmettere sono tanti: il filo conduttore è la velata critica alla situazione coreana, la divisione di due popoli uguali ed entrambi vittime di propagande diverse e l’importanza della cultura come strumento di difesa e della cooperazione come soluzione di sopravvivenza.

Francesca De Santis

I MULINI DELLA MORTE

Nel 1945, alcune unità cinematografiche dell’esercito inglese entrarono in undici campi di sterminio nazisti, al seguito dell’esercito alleato; i cameramen si trovarono così a filmare in presa diretta l’orrore dei lager. Alfred Hitchcock, che aveva lavorato come inviato di guerra per il Regno Unito, accettò l’invito dell’amico produttore Sidney Bernstein di realizzare un film dai materiali girati intitolato “German Concentration Camps Factual Survey”. Ma, dopo una settimana di corpo a corpo con le sconvolgenti immagini, lasciò i Pinewood Studios, abbandonando la lavorazione. Anche se era il re del thriller, ciò che vide fece arretrare inorridito anche lui. Così, la pellicola, in gran parte già montata e con la sceneggiatura originale approvata (fra gli autori figurava lo stesso Hitchcock), venne ben presto archiviata. Inoltre i governi di Londra e Washington avevano cambiato idea, ritenendo che riproporre immediatamente ai tedeschi le loro colpe per la Shoa non avrebbe aiutato l’opera di ricostruzione e i buoni rapporti con il governo di Bonn. Così il filmato finì in un cassetto all’Imperial War Museum di Londra e lì venne dimenticato da tutti… anche se, una versione ridotta dal titolo “Death Mills – I mulini della morte” venne comunque rilasciata per un breve periodo. Ed è quella che vedrete in questo dvd.

“I MULINI DELLA MORTE” (Die Todesmühlen) venne assemblato da Hans Burger, con la collaborazione del grande
Billy Wilder, partendo dal materiale selezionato da Hitchcock. Il film principalmente è costituito da materiale proveniente dai vari campi di concentramento tedeschi all’indomani della liberazione, tra cui Dachau, Auschwitz, Majdanek, Bergen-Belsen e Buchenwald.

La pellicola mostra i sopravvissuti e narra le condizioni di vita nei campi. In altri spezzoni invece ci sono le prove degli omicidi di massa dove vengono fatte vedere fosse di sepoltura comune e cumuli di cadaveri.
(Il film viene qui presentato in versione integrale e comprende, separatamente, la parte mancante che venne realizzata da
Hitchcock e poi accantonata).

Riccardo Cusin

Studioso della storia del cinema

Il digitale, la nuova frontiera per i film.

Non possiamo certo smentire che il 2020 sia stato l’anno (coatto) del “the beginning of the digital film”, causa la forzata clausura (leggere pandemia), l’intrattenimento inteso come la visione di prodotti cinematografici e non (oramai in streaming, per chi ha voluto seguire il modello), fiction o docufilm: la VOD l’ha fatta da padrona.
Il punto fondamentale è stata la visione della sfaccettatura di questo prezioso diamante, ovvero chi ha puntato sulla TVOD, chi su SVOD altri sulla PVOD ed infine sulla AVOD,
ma in compenso tutti hanno offerto quanto di più democratico potesse essere, la visione di un prodotto all’ora che preferivi, nelle volte che volevi e al prezzo più interessante, ovvero una TV orizzontale, senza l’imposizione di palinsesti dettati da questo o quel direttore di rete o proprietario di antenna.
La democrazia dal basso sembrava avverata.


Non proprio: Netflix punta sulla serie, principalmente.
Amazon prime su una sorta di Avod fatta in casa a proprio uso e consumo: compra i prodotti da me e io ti faccio vedere i films che i produttori caricano (a proprie spese) sul mio portale, offrendo questa opportunità (non proprio facilmente) a tutti gli altri operatori di questo settore, che non sono pochi.
Libertà di scelta da parte del consumatore, forse sì.
Libertà di offerta da parte dei vari distributori o licenzianti??? No!!


Anche in questo caso, come nell’ultimo film di Ken Loach dove il fattorino veniva turlupinato con la scusa che in quell’azienda sarebbe stato un libero professionista e non un dipendente, libero di scegliere gli orari e le ore di lavoro, come i produttori e distributori di contenuti video non sono liberi di proporre assolutamente nulla, mi spiego:

lo sfruttamento del film non lo pago, ma divido gli incassi,

decidendo Io senza nessuno spazio di trattativa la percentuale e durata del prodotto…!!

Mi ricorda tanto un film con Albertone: io sono io e Voi non siete “nessuno“!
Insomma siamo alle solite, sembrava di vedere la luce e come si usa in questo periodo di commemorazione di Dante: mi sembra di entrare in una selva oscura.
Passano gli anni ma il metodo è sempre lo stesso, il potente la fa da padrone e gli altri…..
La partita è ora nel campo delle sette sorelle, chiamate così le Major che con la loro potenza di fuoco potranno e dovranno (come sta già facendo Disney+) uscire dal giogo di quanto detto e proporre in diretta le loro novità e library, gli indipendenti che non hanno risorse “illimitate” dovranno anche in questa occasione ….arrangiarsi, come hanno sempre fatto: di necessità virtù.
Che dire, i tempi cambiano ma il modello è sempre quello, del Conte con il villano.

E allora Vi ricordo anche: www.e-cinema.it – grandi film in streaming, liberi di scegliere!

Rosa Trotta

Matares

DISPONIBILE DA OGGI 15 GIUGNO IN STREAMING su:

Amazon Prime Video, Chili, Vativision, www.e-cinema.it

MATARES è un film del 2019 di 90 minuti, scritto e diretto da Rachid Benhadj, interpretato da Dorian Yohoo (Mona), Anis Salhi (Said), Hacene Kerkache (Djaffar), Kobe Alix Hermann (Cedric), Rebecca Yohoo (madre di Mona). È prodotto da Nour Film (Algeria) e Laser Film (Italia), distribuito da 30 Holding, con colonna sonora di Said Bouchelouche, voce cantata di Tetty Tezano e direzione della fotografia di Karim Benhadj.  Mona è una bambina ivoriana di 8 anni, fuggita dal suo paese di origine per stabilirsi insieme alla madre a Tipasa, città costiera algerina fondata dai Fenici, successivamente conquistata dai Romani, di cui sopravvivono le suggestive rovine cimiteriali “Matares”. Mona è costretta dal contrabbandiere Cedric a vendere fiori ai turisti per racimolare il denaro necessario alla traversata del Mediterraneo così da riabbracciare il padre che vive in Italia. Nella medesima zona Said, bambino algerino di 10 anni alle dipendenze di Djaffar, vende fiori ai turisti. La collisione tra i due è inevitabile, l’iniziale scontro si trasforma ben presto in un tenero incontro, dove il sentimento puro di amicizia trionfa sulle questioni affaristiche, le differenti matrici religiose – cattolica lei e musulmano lui – e razziali. Mona si esprime attraverso monologhi, dialoghi e pensieri, il racconto di Adamo della Genesi dell’Antico Testamento  apre la narrazione filmica.

Il primo essere umano caduto nella storia a causa del peccato originale era in realtà un africano di pelle nera che, nella tragedia della mondanità fatta di fatica e dolore «… non capiva perché la gente lo chiamasse sporco negro e perché odiasse la sua pelle nera. Aveva una gran voglia di gridare a tutti che i primi uomini erano neri come lui, ma per evitare altri problemi, preferiva tenere per sé questa verità. Per non capire gli insulti che gli urlavano, Adamo si rifiutò di imparare altre lingue. Ad ogni modo anche quando era obbligato a parlare la lingua del posto, nessuno lo ascoltava. Più il tempo passava, più si sentiva triste e solo». Ed è una pelle nera che con lo sviluppo secolare dell’umanità diviene bianca, avviene una sorta di sbiadimento dei connotati essenziali dell’essere umano in linea con la progressiva trasparenza della società contemporanea, in preda alle nuove tecnologie, alla lucida follia del “like/don’t like” in cui è bandita ogni opacità, e in cui il colore cessa di esistere, anche nella memoria, innescando antinomie razziali incomprensibili, in quanto la fissazione di ogni desiderio nelle cose e nell’appagamento degli effimeri bisogni terreni non primari diventa il timone di ogni azione umana, un raggiro che scolora tutto, anche la pelle, e soprattutto la memoria della comune origine ancestrale.

Benhadj affronta la questione razziale in termini assolutamente originali, non occorre solo accettare l’altro che ha una differente pigmentazione della pelle sulla base di considerazioni socio-antropologiche votate alla pace tra i popoli e alla pacifica convivenza sul pianeta, ma occorre riconoscerlo come fratello, come essere umano tassello del mosaico dell’umanità, la quale ha una medesima origine e un eguale destino, con un’alfa e un’omega sancite dal tempo in cui l’uomo è piombato a causa del peccato originale e con un quid che è esterno a ogni dimensione spaziale e temporale la cui eternità si realizza solo con l’adesione incondizionata al Trascendente. Tale adesione è scelta dall’uomo in ogni sua azione, in ogni momento della sua esistenza decidendo di accorgersi o meno delle differenze razziali, così come di ogni altra differenza, che alla fine esistono solo nel suo immaginario figlio delle fuorvianti esperienze sensibili, nel tunnel degli ammiccamenti mondani che troppo spesso non riesce a identificare.

Altro tema trattato è il dialogo interreligioso, Mona è cattolica e Said è mussulmano, lei parla con Gesù, lui è identificato solo dall’etnia, dalla ricostruzione narrativa, non compie alcuna ritualità, è elemento di un sistema socio-culturale che lo identifica come tale, si realizza una sorta di metonimia che prende a base luoghi, discorsi, oggetti, un libro sul Corano consegnato a lei da Cedric affinché venda meglio, facendo emergere il  Credo del bambino algerino a contrariis, dall’intima violenza fatta a lei. D’altronde la dichiarazione Nostra aetate (1965) del Concilio Vaticano II parla chiaro. All’origine del dialogo tra le religioni c’è il dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, perché i vari popoli costituiscono una sola comunità, avendo una stessa origine e come fine ultimo Dio. La Chiesa Cattolica « considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini », guarda « con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno ». Un seme, questo, della Dottrina Cattolica che diventa foriero di altre non meno importanti “rivelazioni”, tra cui l’enciclica Redemptor hominis (1979) di Giovanni Paolo II in cui il grande Santo afferma che lo Spirito di verità opera in ogni ferma credenza dei seguaci delle religioni non cristiane (cf. n. 6) e che lo Spirito soffia dove vuole (cf. n. 12).

Benhadj unisce nella storia Mona e Said con un amore fraterno che emerge spontaneo e che si scrolla di dosso velocemente tutti i pregiudizi terreni quali il colore della pelle, la Fede religiosa, la provenienza etnico-geografica, il genere sessuale, etc., confermando le parole del grande Papa sulla scia dell’evangelista Giovanni « Lo Spirito come il vento, soffia dove vuole » (Gv. 3, 8), sancendo, quindi, il necessario abbandono alla chiamata divina hic et nunc affinché l’uomo trovi la strada della Verità. Nel film c’è qualche colpo di scena, solo accennato da Benhadj, che non contraddice mai il suo stile fatto di sguardi discreti, di scenari naturalistici meravigliosi, di bellezza umana indagata con pudore, con “timore e tremore”, utilizzando le parole del filosofo danese Søren Kierkegaard. Said ruba i soldi di Djaffar, che lo punisce, Mona pugnala Djaffar per difendere Said dall’aggressione violenta, i bambini algerini cacciano Mona dandole della “sporca negra”, Mona, assoldata da Djaffar, è indotta a un incontro di prostituzione. Tutte miserie umane che, tuttavia, non riescono a “bucare il video” in quanto la spiritualità e l’intimità emozionale che guidano la narrazione filmica non diminuiscono mai, e in ciò gioca un ruolo fondamentale la magnifica fotografia di Karim Benhadj, figlio del regista, che recepisce bene gli insegnamenti di Vittorio Storaro, di cui è allievo virtuoso. Al termine della visione lo spettatore dimentica quasi la questione degli immigrati clandestini, probabilmente ha voglia di abbracciare teneramente un membro della sua famiglia o un caro amico, in quanto il film accende la voglia di amare il prossimo e il mondo, unica modalità per abbattere divisioni e tristezze umane.

MATARES verrà proiettato on line in mondovisione il prossimo 15 giugno 2020.

Marco Eugenio Di Giandomenico

Marco Eugenio Di Giandomenico è scrittore, critico dell’arte sostenibile, economista della cultura, titolare di prestigiosi incarichi accademici presso università e accademie di belle arti italiane ed estere tra cui l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e l’ARD&NT Institute (Accademia di Belle Arti di Brera e Politecnico di Milano), creatore e curatore di mostre artistiche ed eventi culturali in Italia e all’estero. Per le sue attività è stato insignito di svariati premi e riconoscimenti, soprattutto con riferimento alla teoria della “sostenibilità dell’arte”, di cui è riconosciuto tra i principali assertori a livello internazionale.

www.marcoeugeniodigiandomenico.com

 

Matares

Cast: Dorian YOHOO (Mona) – Anis SALHI (Said) – Hacene KERKACHE (Djaffar)  Kobe Alix  HERMANN (Cedric) – Rebecca YOHOO (madre).

Sceneggiatura, montaggio e Regia di: Rachid BENHADJ

Cinematografia: Karim BENHADJ – Musica: Said BOUCHELOUCHE 

Cantante: Tetty TEZANO 

Produttori:

NOUR FILM (Algeria) – LASER FILM (Italia)

Distributore internazionale 3OHolding

FILMOGRAFIA

Rachid BENHADJ è nato ad Algeri (Algeria), si è laureato in architettura e poi in regia a Parigi (Francia). Ha diretto diversi lungometraggi con grandi attori: Gérard Depardieu, Vanessa Redgrave, Said Taghmaoui, Franco Nero e il direttore della fotografia Vittorio Storaro.

 In anteprima mondiale dal 15 Giugno, disponibile in streaming, in esclusiva su queste piattaforme:

Amazon Prime video, Vativision, Chili cinema, www.e-cinema.it

Diretto dal regista algerino Rachid Benhadj,  Matares è la storia della piccola Mona, di otto anni, che dalla Costa d’Avorio ha raggiunto l’Algeria con la sua famiglia. Il padre è riuscito a varcare il Mediterraneo per dare a moglie e figlia almeno una sopravvivenza, in attesa di essere raggiunto. Mona, che è cristiana, per raccogliere il denaro vende fiori ai turisti, che non mancano nella zona di Matares. L’incontro con Said un bambino algerino è l’inizio di un percorso di odio e amore, fatto di innocenza e pregiudizi, di intolleranze culturali e religiose, di amicizia e sincerità.  

Già dalle prime immagini del film è evidente la magnificenza della fotografia, che esalta il territorio Algerino nei suoi più intimi angoli. Affidare una sceneggiatura di così grande portata storico/sociale a due bambini Mona e Said, è stata una scelta coraggiosa ma efficacissima. Raccontare la povertà, il dolore, le difficoltà di un popolo con gli occhi dell’innocenza, ha donato al film una dolce ferocia che arriva fino in fondo all’anima anche di chi come noi, quella realtà può soltanto immaginarla.

Le prime parole sono di Mona, voce fuori campo sono: “C’era una volta un uomo che si chiamava Adamo. Lui ed Eva vivevano in paradiso, avevano tutto ciò che desideravano, ma un giorno fece una stupidaggine bella grossa. Credo che avesse rubato una mela. Quando dio venne a saperlo si arrabbiò e cacciò entrambi dal paradiso. Sulla terra la vita non era facile. Adamo ed Eva dovevano lavorare per poter vivere. Ma un giorno Adamo fu costretto a lasciare la sua Africa, sua moglie e anche i suoi bambini. Andò altrove per trovare qualcosa da mangiare. Cercò per interi giorni ma non trovò cibo per la sua famiglia. Decise di riposarsi, dopo di che si rimise in viaggio”. Una metafora che ci accompagnerà per tutta la storia, tenendo per mano i due protagonisti e noi spettatori. Adamo per Mona era un uomo di colore, poiché la fede, l’amore, la speranza portano il volto e il colore di chi le serba in cuore,perché  rappresentano la più alta manifestazione dell’Io a cui affidiamo le nostre preghiere. Ma da sempre, in realtà,  l’unico colore che unisce le nostre razze, è il rosso sangue.

“Il film si ispira alla storia dei 13mila emigranti africani espulsi dal territorio algerino negli ultimi due anni. La piccola Mona e sua mamma hanno fatto parte di un gruppo di donne e bambini che sono stati espulsi, abbandonati senz’acqua né cibo al sud del Sahara. Tra gli altri rifugiati africani che hanno partecipato a questo film, alcuni hanno pagato con la vita il loro sogno e riposano nel fondo del Mediterraneo. I più fortunati, malgrado abbiano visto la costa italiana, si sono visti rifiutare l’entrata”. Laggiù in Africa, il grande viaggio verso la felicità non è mai stata un’opzione ma una necessità.

Della piccola Mona, dopo le riprese del film, non se ne è saputo più nulla.

Matares rappresenta una potente dicotomia; da un lato, i grandi che sfruttano, puniscono con violenza, impongono politiche e religioni che frammentano la società, dall’altro ci sono i bambini, lo specchio di questo nefasto spettacolo. 

Ma se una bambina ivoriana di otto anni è riuscita a dare lezioni di storia, di vita e di bontà al  mondo, a questo stesso dovrebbe essere chiaro da che parte iniziare a ruotare! Quella giusta…

Un film ASSOLUTAMENTE da non perdere.

Francesca Bochicchio