SERGIO BONELLI EDITORE presenta I BASTARDI DI PIZZOFALCONE A FUMETTI tratto dalla serie di MAURIZIO DE GIOVANNI Ecco svelate le prime sbalorditive immagini dei Bastardi di Pizzofalcone ideati da Maurizio de Giovanni: una clamorosa sorpresa per tutti i fan dello scrittore

Dopo il successo della versione a fumetti dei romanzi del Commissario Ricciardi, si rinnova il sodalizio tra Sergio Bonelli Editore e lo scrittore Maurizio de Giovanni. E lo fa con una novità sorprendente. Nel mese di aprile, infatti, arriverà in libreria e in fumetteria l’interpretazione firmata Bonelli delle avventure del commissariato di Pizzofalcone che svelerà per la prima volta i “volti” dei protagonisti della serie. “Volevamo poter proporre ai lettori i personaggi in una maniera davvero originale e nuova anche per la nostra casa editrice e così abbiamo accettato la proposta di Fabiana Fiengo e di Maurizio de Giovanni di proiettare quel ciclo di storie in un universo animale mai immaginato fino ad oggi in Casa Bonelli. Le interpretazioni grafiche zoomorfe sono state scelte rispettando il carattere dei personaggi rispetto a quanto raccontato nei romanzi e anche questa volta siamo stati estremamente fedeli all’immaginario di de Giovanni come già avvenuto per il ciclo del Commissario Ricciardi” racconta il direttore editoriale Michele Masiero. Il primo volume, “I Bastardi di Pizzofalcone” proporrà l’adattamento del primo romanzo della serie poliziesca inaugurata dallo scrittore napoletano nel 2013 ed edita da Einaudi.

fumetto i bastardi di Pizzofalcone

Il volume cartonato a colori sarà disegnato da Fabiana Fiengo e sceneggiato da Claudio Falco e Paolo Terracciano e vedrà nuovamente il coinvolgimento per i colori e il lettering della Scuola Italiana di Comix, coordinata da Mario Punzo e Giuseppe Boccia. A firmare la copertina sarà invece Daniele Bigliardo. La storia è ambientata ai giorni nostri a Napoli. Dopo che alcuni agenti di polizia sono stati arrestati perché coinvolti in un traffico di stupefacenti, la squadra del commissariato di Pizzofalcone è allo sbando. A dirigerla viene chiamato Luigi Palma, a cui verranno affiancati alcuni nuovi poliziotti: l’ispettore Giuseppe Lojacono, l’assistente Francesco Romano, la giovane agente Alessandra Di Nardo, l’agente Marco Aragona. Tutti individui a cui è stata data l’ultima possibilità per restare in polizia e ai quali si affiancano il vicesovrintendente ed esperta di informatica Ottavia Calabrese e l’anziano agente Giorgio Pisanelli. Sono loro a costituire la squadra dei Bastardi di Pizzofalcone. “Pizzofalcone esiste veramente – racconta Maurizio de Giovanni – è il nome della collina sopra piazza del Plebiscito, nel centro storico di Napoli: è una zona che unisce realtà sociali e ceti diversi, tra nobiltà partenopea e gente dei quartieri spagnoli. Il commissariato l’ho inventato e collocato in quel luogo, perché tra quei confini invisibili di condizioni differenti emergono contrasti forti che danno luogo a personaggi straordinari”. Nel frattempo, in via Buonarroti si preparano novità anche per tutti i fan del Commissario Ricciardi. Nel mese di maggio arriverà infatti in edicola il Ricciardi Magazine 2019 con l’adattamento di cinque racconti di Maurizio de Giovanni accorpati in quattro storie a fumetti: “I vivi e i morti” (sceneggiata da Sergio Brancato e disegnata da Daniele Bigliardo), “Mammarella” (sceneggiata da Claudio Falco e disegnata da Luigi Siniscalchi), “Quando si dice il destino” (sceneggiata da Claudio Falco e disegnata da Lucilla Stellato), “L’ultimo passo di tango” (sceneggiata da Paolo Terracciano e disegnata Alessandro Nespolino). Ad arricchire il Magazine ci sarà inoltre un estratto di tavole in bianco e nero dedicato proprio a “I Bastardi di Pizzofalcone”.

uscita: aprile 2019 Tipologia: Cartonato Formato: 19 x 26 cm, colore Pagine: 144 ISBN 978-88-6961-379-1 Prezzo: 19 euro

Comunicato stampa mycomfactory

Don’t Worry

Caro formatore, forse “Don’t worry” di Gus Van Sant non è un film da utilizzare in aula, ma è un film da vedere. Non tanto per i temi moralistici o sociopolitici, che farebbero di Gus Van Sant l’ennesimo follower leftist della “Leggenda del Santo bevitore”. La critica ha sottovalutato questo capolavoro interpretandolo un atto di amore per omosessuali, diversi, disabili, oppure come una versione riscaldata della zuppa americana: “Se ci credi ce la puoi fare…”.

l’attore Joachim Phoenix (a sinistra) ed il regista Gus Van Sant

Secondo Federico Gironi (Cooming Soon) la vicenda del fumettista tetraplegico Callahan “si tramuta in un incoraggiamento a fare ciò che tutti noi dovremmo fare per vivere una vita più felice e sentirci più realizzati: smetterla di lamentarci e sentirci vittime, trovare nel mondo che ci circonda stimoli e aiuti, la forza di perdonare e di avere rispetto per gli altri e noi stessi, sorridere di fronte ai problemi e agli impedimenti ed esprimerci liberamente, per trovare così soluzioni giuste, che sono sempre possibili.”

Gus Van Sant, che ne sa di cinema, ci racconta il percorso di redenzione di John Callahan (interpretato da uno strepitoso ed irreale Jaquin Phoenix) disegnatore umoristico nato nel 1951 e scomparso nel 2010. Dopo l’incidente, a ventuno anni, John inizia un percorso di liberazione dall’alcol e, nonostante la disabilità, riesce ad ottenere la pubblicazione delle proprie vignette, poco rispettose del “politically correct”, trovando anche l’idillio con una hostess svedese.

Rooney Mara e Joaquin Phoenix in una scena del film

Ma già nella scena iniziale Van Sant ci avverte esplicitamente che la vicenda è un pretesto per un’interrogazione sul senso della scrittura, del cinema, del destino umano, “che forse non ha un senso”.  Dunque non è un film sull’individualismo americano ma all’opposto un percorso di ricerca del senso attraverso i limiti dell’umano, creatura disabile per nascita. E ci deve essere un passato, un’origine, un qualcuno che ha scritto i 12 comandamenti (dell’Anonima Alcolisti)…!!!

E l’origine è chiaramente indicata da Danny Elfmann (Jonah Hill), lo sponsor dell’Anonima Alcolisti, il demiurgo che mette in ordine le cose, all’americana, passo dopo passo. I nonni ricchissimi di Danny hanno trasmesso la ricchezza ai suoi genitori che a loro volta l’anno trasmessa a lui, figura cristologica, sceso sulla terra dall’alto per salvarci. E il “dove” è al di fuori di noi, non sappiamo dove ma certamente da qualche parte ove si capisce che Danny sta ritornando. Non sono casuali le ripetute inquadrature della bocca, del fumo, di ciò che rimanda allo spirito, alla madre del racconto, ai “genitali”. E didascalica quindi la scena dei genitali sulla bocca. Un’omaggio a “Smoke” di Wayne Wang.

Harvey Keitel in “Smoke” (Wayne Wang 1995)

Ma dunque dove possiamo cercare le risposte? In un Dio ovviamente, che ci parla tramite gli angeli e i santi, che sono ovunque. Sono gli ex alcolisti del gruppo, sono i bambini, i passanti, basta saperli interrogare, anzi basta ascoltarli, senza giudicare, senza controbattere.

E nel percorso catartico del perdono universale e del ringraziamento John Callaghan ritrova il proprio professore di disegno. E guarda caso anche lui è una creatura divina, che capisce e perdona e ricorda che il manifestarsi del talento era già chiara all’epoca del Liceo. Tutto era già scritto.

Phoenix e Van Sant sul set

Dunque il talento, e questo si è un tema per la formazione, è la nostra cifra, la nostra radice personale, ciò che può dare i frutti nelle condizioni più estreme. Non si capisce perché, da anni, gli americani ci continuino a dire: “L’importante è il talento!”, e noi continuiamo a sentire: “L’importante è la motivazione!”. Ci vorrà tempo…

Luigi Rigolio

KDM Giorno 2 – UN ANGELO NERO

Martedì, 28 agosto 2018.

Un volto enigmatico, sfuggente, misterioso. Un volto perfetto per il cinema noir, il genere che l’ha resa celebre. Il suo sguardo ammaliatore, la sua figura eterea, una vita tormentata la fanno ricordare come una diva fragile ma elegante. Gene Tierney è un angelo nero, come recita il titolo della retrospettiva a lei dedicata nel corso di questa rassegna.

Gene Tierney

Per aprire la seconda giornata di festival non c’era film migliore del capolavoro di Otto Preminger “Laura” (in Italia distribuito con il titolo “Vertigine“), un vero monumento del noir classico che vanta un’immensa interpretazione della diva. Si tratta di un elegantissimo giallo dell’anima, illuminato magnificamente da Joseph LaShelle (Oscar alla miglior fotografia in bianco e nero), in cui un detective (Dana Andrews) è ossessionato da Laura (la Tierney, appunto), donna trovata assassinata all’inizio del film e che rivive solo nei flashback e in un ritratto, come un fantasma. Il film di Preminger mantiene la sua sconcertante modernità: è un’opera sul turbamento e sulla spettralità, sul doppio, il simulacro, e sull’impossibilità di ricostruire oggettivamente la verità. È un piacere riscoprire, nell’occasione di questa rassegna, un film come Laura in versione restaurata.

Nel pomeriggio il fotografo Francesco Acerbis, già protagonista di un incontro nella serata di ieri, ha tenuto un workshop, dal titolo Immagini e parole. Per una fotografia letteraria, sul rapporto tra arte fotografica e parola, dunque letteratura, in relazione al suo recente progetto parigino Nero. È stato illuminante sentirlo parlare della fotografia come testo, cioè come mezzo per veicolare le idee, dunque libero da specifiche modalità di fruizione o tecniche di produzione/creazione. “Faccio foto anche con il cellulare”, ha detto.

Si è tornato a parlare del noir, con i noti fumettisti Ratigher & Marco Galli. Il secondo, in particolare, ha evidenziato un tema importante: il noir è il mondo dell’amoralità. Nelle storie noir, a differenza dei racconti o romanzi gialli, non esiste un confine ben definito tra bene e male, ma solo labili sfumature, come nella vita.

La “dark night” di martedì 28 è stata riscaldata da uno straordinario film, “Most beautiful island“, scritto, diretto, prodotto e interpretato dalla giovane Ana Asenzio. Una storia di forte impatto sull’immigrazione e la precarietà umana ambientata in un’alienante New York contemporanea, dove tutto è come assorbito, grazie alla suggestiva fotografia di Noah Greenberg, in una spirale di claustrofobica surrealtà. Girato con stile documentaristico, in location reali, il film riesce a trasfigurare la realtà che racconta, e raggiunge momenti cinematograficamente esaltanti, giocando magistralmente con la suspense, col sonoro metallico, nonché incentrando tutto il racconto sulla protagonista, Luciana, che viene pedinata quasi zavattinianamente. Le influenze del film, a detta della stessa regista, sono varie e molteplici: il realismo dei fratelli Dardenne e di Andrea Arnold si mescola con le atmosfere paranoiche di David Lynch e Krzysztof Kieślowski (la luce acida, malata di alcune sequenze del film rievoca quella dei capolavori del regista polacco). Eppure la voce di Ana Asenzio è nuova, originale e potentissima. La giovane esordiente spagnola porta la macchina da presa nei meandri dell’animo umano, come nei migliori noir, e pone delle domande decisive sulla società e la libertà, smascherando l’ipocrisia menzognera del cosiddetto sogno americano. Un nuovo cinema politico è alle porte.

Matteo Blanco.

Strider – La Grande Foresta

Giovedì 25 Maggio 2017 dalle ore 18:00 presso la Galleria Boragno di Busto Arsizio (VA) si terrà la presentazione della nuova edizione del romanzo fantasy “Strider – La Grande Foresta” di Andrea Grassi, classe 1981. E’ un autore esordiente che lavora come Sr Product Manager per Giochi Preziosi S.p.a. e che durante un lungo soggiorno in nord Europa ha deciso di scrivere e dar così vita ad un mondo fantasy affatto originale.

Andrea Grassi
Andrea Grassi

E’ così che è nata questa saga attualmente composta da due romanzi, “La Grande Foresta” e, di imminente pubblicazione, “I marchiati di Minharan” . E’ ambientata in un mondo selvaggio e diverso dal nostro, reduce da una guerra contro un nemico misterioso e spietato, in cui una natura indomabile convive con una tecnologia scalcinata.
La storia narra di tre ragazzini costretti ad intraprendere un viaggio che li cambierà per sempre, un’avventura a tratti inquietante, a tratti spensierata, che deve molto all’horror e alle influenze dell’animazione nipponica.

Ivan calcaterra
Ivan Calcaterra

Il primo volume è accompagnato da illustrazioni di Ivan Calcaterra, classe 1969, illustratore e disegnatore, ha collaborato con Focus Junior, Gazzetta dello Sport, GP Publishing e Piemme per cui ha realizzato alcuni disegni e copertine legate al celeberrimo Geronimo Stilton  , mentre per Sergio Bonelli Editore disegna “Nathan Never”, “Dylan Dog” e la testata tra le ultime nate “Dragonero”. per l’occasione verranno inoltre esposti in anteprima alcuni bozzetti realizzati da Calcaterra per la nuova edizione del secondo libro: “Strider – i marchiati di Minharan”.

strider

Ecco le date e gli orari di apertura della mostra.

Giovedì 25 maggio

18:00 apertura mostra

18:30 Presentazione del romanzo “Strider – La Grande Foresta”

 

Orari di apertura mostra

Da Venerdì 26 a Domenica 28 maggio

17:00/19:30

Giovedì 1 giugno

18:00/19:30 – 21:00/23:00

Sabato 27, Domenica 28 maggio e Giovedì 1 giugno saranno presenti l’Autore e l’Illustratore.

Ed infine per chi no avrà occasione di esserci ecco un link per approfondire: https://stridersaga.jimdo.com/

 

 

CONTAMINAZIONI n° 8 – Il misterioso annullamento dell’inerzia. “The Salesman” di Asghar Farhadi e “Interazioni d’urto n°1” (la porta magica di Daniele Puppi)

La Cinematheque di Miami Beach (1130 Washington Ave) è forse la sala cinematografica più accogliente che conosco. Avrà al massimo sessanta/settanta posti. Una pianta irregolare, con una specie di corridoio aperto che le gira intorno e permette al pubblico di passare dietro lo schermo, seguendo un percorso di manifesti, fotografie, oggetti e libri… sempre interessanti per curiosare un po’ in attesa del film. Ci sono andato diverse volte negli ultimi due anni, da quando ho iniziato a frequentare assiduamente Miami, e la speciale atmosfera che si respira, un po’ retrò, è perfetta in quella miniatura che ti fa sentire fuori dal tempo. E’ uno spazio sospeso, e la visione di un film si arricchisce di quello che il “contenitore”, come un velo discreto e avvolgente, aggiunge all’abituale magia della proiezione in sala per un gruppo di sconosciuti che hanno scelto di assistere allo stesso spettacolo.

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La selezione è tipicamente “art house”: in quel cinema ho sempre visto dei film interessati ma l’ultimo è stato davvero sorprendete. La sorpresa deve venire anche dal fatto che si tratta di un film iraniano, prodotto di un altro mondo quindi, di un’altra cultura, di una diversa sensibilità.

The Salesman” di Asghar Farhadi, premio Oscar come miglior film straniero 2017. Il regista non è andato a Los Angeles a ritirarlo per protesta contro il provvedimento del governo Trump che vuole limitare l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini di sette stati considerati ad alto rischio terrorismo, tra i quali appunto l’Iran. Durante la premiazione degli Oscar, in un clima un po’ radical chic e militante, decisamente critico verso il neo eletto Presidente, Farhadi ha affidato a una lettera le sue rimostranze, ricevendo la prevedibile ovazione della sala.

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Il film è straordinario nella sua esotica semplicità. Emad insegna in un liceo, ma è anche un attore di teatro piuttosto apprezzato. Lui e la moglie Rana sono i protagonisti di “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller, che una compagnia teatrale sta mettendo in scena.

Costretti ad abbandonare il loro appartamento per un cedimento strutturale del palazzo, trovano una soluzione abitativa temporanea grazie a un collega, e si trasferiscono in un altro quartiere di Teheran. Per un errore di persona, Rana, mentre sta facendo la doccia, viene aggredita da un vecchio cliente/amante della precedete inquilina, una donna di facili costumi..

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Emad non vuole coinvolgere la polizia e inizia una sua indagine personale che lo porta a scoprire il colpevole in un finale carico di tensione, sorprendete per il movimento tellurico dei sentimenti dei tre protagonisti.

Con pochi mezzi, senza effetti speciali, affidandosi solo a una grande scrittura e un gruppo di bravi attori, Farhadi conduce il pubblico nel suo gioco perfetto. La storia si muove con passo lento, ma con un ritmo emotivo incalzante che non da tregua. Significativo il fatto che scelga Rana quale depositaria di un’istintiva saggezza e umanità, di una superiorità morale: davanti al suo assalitore, umiliato e vinto, lei sola è capace di perdonare, mentre il marito, accecato dal rancore, non vede al di la del suo naso.

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Il colpevole, un uomo anziano e malato, è certamente un essere meschino ma è anche vittima del caso e della sua stessa debolezza. Le scuse che rivolge a Rana sono sincere, ma solo lei è in grado di leggere la sua disperazione, il terrore di perdere la faccia davanti alla sua famiglia per gli atti indegni che ha commesso, per la sua pochezza umana. La donna, in quel momento drammatico, non può che provare dell’affetto per lui e tendergli la mano con una carità che nel nostro mondo potremmo banalmente definire “cristiana”, ma è invece qualcosa di universale che convive in ogni essere umano con gli istinti più feroci. Questo movimento di sentimenti, contrastanti e contrastati, è davvero commovente.

Il film di Farhadi rimane nell’animo e ogni tanto riaffiora, per associazione, per similitudine, o per contrasto. Mi è tornato in mente pochi giorni fa, dopo un paio di mesi, quando meno me lo aspettavo.

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Era un po’ di tempo che avevo la curiosità di vedere dal vivo un’opera realizzata da Daniele Puppi a Milano, a casa di una coppia di collezionisti.

Ho conosciuto Daniele a Roma nel 2006 per scoprire che eravamo cresciuti a pochi chilometri di distanza in due paesi del Friuli, in provincia di Pordenone. Negli anni a seguire siamo diventati amici, abbiamo iniziato a collaborare ogni volta che si sia presentata un’occasione e ci teniamo informati sulle novità delle nostre vite e del lavoro. Sicuramente siamo dei “compagni di viaggio”, una tipologia speciale di amici, particolarmente preziosa, che non da mai niente per scontato ma non ha bisogno di conferme. Esiste una parola turca che sintetizza questo concetto: DOST. Nel mondo posso contare su una piccola rete molto selezionata di “dost” che “camminano con me” appunto. Daniele è uno di loro.

Daniele Puppi
Daniele Puppi

L’opera che sono andato a vedere a Milano è stata realizzata su commissione, in uno spazio molto preciso: l’ingresso di un grande appartamento del centro, dove vivono Franco Tatò e sua moglie Sonia Raule. Sapendo che presto sarei andato a Milano, Daniele ha chiesto a Sonia se potevo passare a vedere la sua opera. Per un altro caso della vita (o per un’ennesima conferma della teoria dei “sei gradi di separazione”) quando ancora non conoscevo Daniele, avevo già incontrato Sonia a Roma, attraverso un comune amico che ha avuto un’importanza notevole per entrambi. Un altro “dost”, che purtroppo ha concluso la sua vita nel giungo del 2005. E’ con lui che anche Sonia, dopo essersi occupata di televisione per diversi anni (fino a diventare direttore dei programmi a Tele Montecarlo nel 2000) ha iniziato a produrre cinema con diversi film interessanti all’attivo, tra i quali “Miral” di Julian Schnabel, tratto dal libro dalla sua allora moglie, Rula Jebreal.

Sonia Raule e Franco Tatò
Sonia Raule e Franco Tatò

Sono arrivato all’appuntamento con la mia abituale puntualità friulana, alle 17:55. Sonia non era ancora arrivata e mi sono presentato a Franco Tatò che era in compagnia di una delle sue figlie. Non sapevano chi fossi ma mi hanno accolto bene e sono rimasto a conversare con loro in attesa della padrona di casa, che era rimasta un’ora indietro e pensava fossero ancora le 17:00.

Avevo sentito parlare molto di Franco Tatò quando era Amministratore Delegato dell’Enel (dal 1996 al 2002), ed era soprannominato “Kaiser Franz” per il rigore che aveva dimostrato nella sua volontà di risanamento dell’azienda.

Ne ho avuto subito un’ulteriore conferma.

Per rompere il ghiaccio e trovare un terreno comune, ho buttato lì la mia esperienza di lavoro per l’Enel con la produzione di un documentario nel 1994 che aveva un budget notevole.

“Quando c’era uno spreco vergognoso di denaro pubblico.” – ha commentato con ironia – Poi sono arrivato io.”

E’ andata meglio con Cardarelli, quando il discorso si è spostato sui suoi anni di formazione a Lodi. Nato nel 1932, a undici anni Franco Tatò ha avuto un incontro fondamentale con un insegnante che tra le altre cose aveva imposto ai suoi allievi, contro corrente, la traduzione dell’Odissea di Ettore Romagnoli (Zanichelli, 1923) rispetto a quella in versi del 1805 di Ippolito Pindemonte, all’epoca ancora utilizzata a tappeto in tutte le scuole del regno. Lo stesso insegnante, invece delle poesie di Pascoli, gli aveva fatto imparare a memoria quelle di Vincenzo Cardarelli… e lì forse ho guadagnato qualche punto, ricordando la citazione/omaggio che Tomasi di Lampedusa fa a Cardarelli nel Gattopardo.

Vincenzo Cardarelli
Vincenzo Cardarelli

Mentre sorseggiava un beverone di proteine, criticato dalla figlia assolutamente contraria a quel tipo di alimentazione, Franco Tatò ha iniziato improvvisamente a declamare Cardarelli, ma non con intento auto celebrativo… era un momento della sua dimensione mitologica privata che regalava alla figlia, e in quel caso anche a me che ho avuto la fortuna di capitare li al momento giusto. Quello scambio padre/figlia era molto bello e sincero. Lei ammetteva di non essere stata mai esposta alla poesia, di ignorare ci fosse Cardarelli, e si rammaricava che con tale ritardo il padre l’avesse stimolata con quei suoi lontani ricordi. Quello che mi ha sorpreso è la capacità di Franco Tatò nel declamare versi: uno stile asciutto ma partecipe, autorevole ma per niente aulico, molto intimo invece in quanto rivolto alla figlia che gli stava davanti. Bravissimo!

Il discorso è poi tornato ancora sulla grande lezione del suo insegnate delle medie che era riuscito a stimolarlo nella giusta direzione, dandogli la dimensione di elasticità e adattabilità che dovrebbero avere la cultura e l’insegnamento.

Mi ha fatto pensare a mio padre, laureato in fisica teorica, che mi aveva parlato di un suo insegnante di matematica del liceo e di quanto fosse stato fondamentale per la sua formazione. Se penso ai miei insegnanti del liceo non trovo nulla del genere. Solo più tardi, all’università, ho riconosciuto dei maestri: Jean Chirstensen, docente di storia della musica all’università di Louisville… Francesco Dal Co e Massimo Cacciari che ho seguito per un paio d’anni quando insegnavano rispettivamente storia dell’architettura ed estetica alla facoltà di architettura di Venezia.

Cacciari (dx) e Dal Co (sx)
Cacciari (dx) e Dal Co (sx)

Forse nell’arco di poche generazioni c’è stato un decadimento del livello degli insegnanti di medie e liceo, oppure mio padre e Franco sono stati più fortunati di me.

Il discorso è poi passato alla Divina Commedia che da ragazzo aveva imparato a memoria integralmente… ma ora si ricorda solo qualche frammento. Ed ecco che nel bel mezzo di una declamazione dantesca, Sonia fa il suo ingresso in casa…

Sonia Raule
Sonia Raule

Ci siamo fermati un attimo a ricordare il comune amico che ci ha lasciati (il “dost” che abbiamo condiviso) e dopo qualche informazione di carattere generale mi ha portato a vedere l’opera di Daniele nell’ingresso, accendendo le luci.

Ci vuole del coraggio per osare un simile azzardo e ospitare un’opera così invasiva nel proprio ingresso di casa! Mi sono avvicinato, spostandomi nella stanza per osservarla bene dalle diverse angolazioni.

“E’ stata lei…!” ha puntato il dito Franco.

A quanto pare, approfittando di una sua assenza per lavoro, lo aveva messo davanti al fatto compiuto, facendo installare l’opera dove lui aveva pensato di sistemare una parte della sua grande biblioteca.

Conosco bene il lavoro del mio amico friulano, ma quello che ha fatto in quello spazio “privato” è qualcosa di completamente nuovo.

Ho lavorato con lui la prima volta nel marzo del 2008, girando una breve documentario su una sua grande video installazione all’hangar Bicocca (“Fatica n° 16”) realizzata in collaborazione con Magazzino d’Arte Moderna di Roma e curata da Federica Schiavo. In quello spazio enorme, prima della ristrutturazione dell’hangar (100 x 30 metri, 8 metri di altezza), aveva utilizzato sette videoproiettori sincronizzati che con la necessaria complicità del suono davano per una frazione di secondo la sensazione di una dilatazione dello spazio, giocando con lo sfalsamento della percezione dei nostri sensi.

fatica n. 16
fatica n. 16

Il lavoro a casa di Sonia e Franco invece, è un oggetto fisso e inanimato che stranamente riesce a dare una percezione analoga e persistente, giocando con la proporzione sballata del volume in relazione con lo spazio che lo ospita.

E’ una “porta gigante” che seguendo una traiettoria quasi diagonale, taglia la stanza a metà, con spavalderia, osando un gesto estremo che sembra non temere conseguenze, che non si preoccupa in alcun modo di avere una funzionalità, un senso pratico. Quel movimento aggressivo e inaspettato è una sorpresa per chiunque entri in casa. Il titolo dell’opera rende l’idea: “Interazioni d’urto n° 1”

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Questo lavoro, forse più degli altri, è in linea con il carattere di Daniele che a volte appare totalmente privo di diplomazia e pur di chiarire il suo punto di vista arriva a essere quasi aggressivo, parlando senza filtri, lasciando le persone che lo ascoltano perplesse, a volte offese. Mi è capitato più volte di assistere a queste dinamiche che mi divertono molto, che per me sono una conferma del valore della persona e del suo lavoro. In un mondo pieno di lacchè che non si vogliono esporre, che si muovono timidamente per non perdere posizioni, Daniele va avanti con spavalderia e coraggio, rischiando sempre, con candore e onestà intellettuale.

Interazioni d'urto
Interazioni d’urto n. 1

Come per il film di Asghar Farhadi che fa esplodere i sentimenti dei protagonisti della storia nell’immobilità di una stanza, ecco un altro movimento tellurico interiore che annulla l’inerzia dell’oggetto e gli dà vita con una dinamica misteriosa, troppo complessa per essere sviscerata razionalmente, ma il cui potente effetto percettivo e innegabile. La grande “porta magica” vibra come un diapason, ma è come se lo facesse in una dimensione parallela di cui percepiamo solo l’eco, in contrasto con la nostra lettura razionale.

Jim Morrison
Jim Morrison

Sarebbe certamente piaciuta a Jim Morrison, che scelse per la sua band il nome “The Doors”, proprio pensando a “The doors of Perception” di Aldous Huxley… e a Dino Buzzati, che nella sua Milano, raccontava spesso di porte misteriose che permettevano il passaggio da una dimensione all’altra.

Poema a fumetti
una tavola tratta da “Poema a fumetti” di Dino Buzzati

E’ bello sapere che a casa di Sonia e Franco esiste uno di questi “passaggi segreti”, risultato del felice incontro tra la visione di un artista e la volontà sperimentale, l’apertura mentale di chi gli ha dato fiducia, accogliendo il mistero di una creatività estranea tra la mura della propria casa.

 

Ferdinando Vicentini Orgnani

Ferdinando Vicentini Orgnani

Ghost In The Shell

C’era molta attesa e molta paura da parte dei fan circa l’arrivo del live action della celeberrima creazione del fumettista giapponese Masamune Shirow, che essendo uscito nel 1989 rende quel futuro immaginato nel 2029 ormai piuttosto prossimo. Il fatto che il manga fosse già diventato un anime per opera di Momoru Oshii, che nel 1995 realizzò un lungometraggio d’animazione che ebbe grande successo, spinse la Dreamworks di Spielberg ad acquistare i diritti per la trasposizione dal vivo.

Il personaggio Kusanagi Motoko nell'anime di Oshii
Il personaggio Kusanagi Motoko nell’anime di Oshii

Diciamo subito che il risultato finale è soddisfacente e l’atmosfera è resa molto bene e la scelta delle inquadrature del regista Rupert Anders ricordano molto alcune tavole si Shirow. Perfetto anche il corredo di musiche e suggestivo l’uso degli effetti per rendere i mega ologrammi pubblicitari che affollano la metropoli. Unica pecca tecnica la CGI di una scena in qui la protagonista salta sulle macerie di un ponte che sta crollando. Una svista davvero inspiegabile se si considera il budget disponibile ed il livello medio della pellicola. Dal punto di vista narrativo c’è tensione e ritmo, con un solo buco di sceneggiatura che disturba solo i più attenti.

ghost confronto
La diatriba riguardante la scelta della protagonista, occidentale piuttosto che asiatica, non ha molto senso se si considera che il personaggio principale è in realtà un corpo sintetico, lo “shell” per l’appunto. Al limite è criticabile la scelta in particolare di Scarlett Johansson, in luogo della Margot Robbie che ha preferito impelagarsi nel pessimo “Suicide Squad” o di qualsiasi altra (sommessamente mi piace immaginare una ginnica Jessica Biel anche in edizione post partum). Questo perché la Johansson, complice forse il presenzialismo del personaggio della Vedova Nera nei film Marvel, è così inflazionata che sembra ormai sempre sé stessa in un cosplay che azzera il personaggio a favore dell’attrice.

ghost cyber
Alla fine abbiamo comunque un buon film cyberpunk che fa onore alla Dreamworks e per chi dovesse lagnarsi della Johansson, si consoli al pensiero che poteva andare peggio: potevano scritturare Emma Stone e lei avrebbe potuto pure… cantare.

I Difensori su Netflix e Doc Strange al CInema

L’accordo tra la Marvel e Netflix prevedeva 5 serie di cui la prima è quella ormai celeberrima dedicata a Dare Devil. L’ultima serie porterà sugli schermi il gruppo di supereroi guidati dal Dottor Strange, di cui uscirà ad ottobre il film sui grandi schermi per la regia di Scott Derrickson (“Ultimato Alla Terra”;”Sinister”) che di mistero e soprannaturale ha dato prova d’intendersi.

Doctor Strange

Il dottor Strange (nome completo Stephen Vincent Strange) è uno dei personaggi Marvel che sta in bilico sul confine dell’ambito dei supereroi. I suoi infatti non sono superpoteri, ma arti magiche e il piano in cui spesso opera, e senzaltro il più importante, è quello metafisico e trascendentale. Nato da un’idea di Steve Ditko nel 1963 (anche se poi Stan Lee ci ha messo, in senso letterale è il caso di dire, la firma) si muove sì nell’universo Marvel ma potrebbe benissimo trovarsi a suo agio in un romanzo di H.P. Lovercaft per combattere contro Cthulhu. Un personaggio indubbiamente forte e carismatico, dote indispensabile per tenere insieme Hulk e un uomo del ghetto come Luke Cage in un gruppo chiamato “I Difensori”.

Steve Ditko
Steve Ditko

Ma nella serie di Netflix inizialmente non ci sarà il mistico dottore (forse un’apparizione che prelude a futuri sviluppi). Rivedremo i supereroi della quarta serie Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage ed Iron Fist affrontare la più grande minaccia di sempre (comme d’habitude). Ma prima di allora attendiamo la seconda serie di Dare Devil presentata un mese fa e la terza improntata su Luke Cage, che sarà lanciata il prossimo settembre, oltre ovviamente alla quarta.

un selfie di Drew goddard con ... Devil
un selfie di Drew goddard con … Devil

Oltre ai due showrunner (il termine identifica nel mondo della TV chi cura l’andamento di un programma giorno per giorno, in pratica è il ruolo di chi segue una serie interfacciandosi con registi attori, direttori dell’emittente e dirigenti della produzione, spesso sono quelli che decidono di far morire o resuscitare tizio o caio a seconda degli ascolti) Douglas Petrie and Marco Ramirez si aggiunge per la realizzazione de “I DIfensori” anche Drew Goddard (“The Martian”) nelle vesti di produttore esecutivo.

Dal fumetto al cinema e… ritorno

Dal 19 marzo al 5 giugno si tiene a Milano presso WOW Spazio Fumetto, in Viale Campania 12, una mostra-evento che celebra la saga di Star Wars.
I costi dei biglietti sono veramente popolari se si pensa che l’ingresso intero è di 5 euro, ridotto 3 euro (bambini fino ai 10 anni, over 65, tesserati WOW), convenzionati 4 euro Orario. Gli orari sono pomeridiani: da martedì a venerdì, ore 15-19; sabato e domenica, ore 15-20. Lunedì chiuso. La mostra è allestita in collaborazione con l’Associazione Galaxy, La Bettola di Yoda, 501st Legion Italica Garrison e Rebel Legion Italian Base. Grazie alla preziosa partecipazione di Panini Comics propone per la prima volta in Italia il più completo percorso espositivo mai dedicato alla saga di Star Wars unendo due aspetti fondamentali: la passione dei fans, che prestano i gioielli delle loro collezioni private, e lo straordinario percorso editoriale compiuto dai fumetti parallelamente al cinema, dal 1977 (e ancora prima come fonte d’ispirazione) ad oggi.

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Già abbiamo rimarcato in diversi articoli su questa rivista il forte rapporto (intensificatosi negli ultimi anni) tra il mondo del fumetto e l’industria cinematografica. Sia nella realizzazione di film live action che nelle opere di animazione i produttori attingono a piene mani dai successi editoriali dei fumetti. Non si pensi solo al mega fenomeno Marvel e DC Comics, ma anche a quanto si rivolge all’universo manga (Di Caprio produrrà la versione Live Action di Akira, mentre Netflix si accinge a produrre una serie ispirata a Death Note) ed a quei capolavori che sono alcune graphic novel (“Watchmen” e “La Leggenda degli uomini Straordinari” di Alan Moore e le saghe di “Sincity” e “300” di Frank Miller, per citarne solo alcuni). Spielberg, impareggiabile cacciatore di tendenze, non ha disdegnato di produrre “Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno” ed anche produzioni più piccole come la giapponese  Deiz Productions si è cimentata con il lungometraggio Sci-Fi “Avalon“diretto dal regista di “Ghost in the shellMamoru Oshii.

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Avalon di Mamoru Oshii

Non si può non notare come questo fenomeno sia in atto un po’ dappertutto, Francia compresa dove Ian Kounen realizza il western visionario “Bluberry” attingendo a piene mani dall’opera del grande disegnatore Moebius, tranne che in Italia dove pure c’è una prolifica produzione fumettistica. Tra “Tex e il signore degli abissi” (1985) di Duccio Tessari (con un imperdibile Bonelli, proprio lui, nella parte dell’indiano con tanto di penne e pitture di guerra) e Dylan Dog del 2010 (la cui produzione si badi bene è però a guida statunitense) sono ben poche le pellicole italiane tratte dalla produzione nostrana di fumetti. Le cause vanno ricercate da un lato nei costi di produzione, perché vien da sé che costa meno disegnarla un’astronave di Nathan Never piuttosto che riprodurla su schermo, ma dall’altra c’è l’inveterata attitudine italiana volta alla realizzazione del capolavoro autoriale che lascia poco spazio all’intrattenimento.

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A volte si è additato il ricorso al fumetto come all’effetto di una pochezza di idee ed è in molti casi un’intuizione niente affatto peregrina, ma anche ostracizzare strutturalmente una realtà culturale (e popolare) come il fumetto costituisce un limite di segno opposto. La saggezza dei proverbi dice che è la dose a fare il veleno e quindi possiamo auspicare che il cinema italiano recuperi in video almeno qualcosa di quanto di buono c’è nel fumetto patrio. Si è fatto sino ad ora così poco che anche facendo molto d’ora in avanti, difficilmente si giungerà a dosi… letali.

il disegnatore Oscar Scalco alla manifestazione di WOW spazio Fumetto
il disegnatore Oscar Scalco alla manifestazione di WOW spazio Fumetto

Netflix produrrà Death Note

Inizialmente avrebbe dovuto essere la Warner Bros. ma pare invece che il progetto di una serie ispirata al famoso fumetto manga giapponese Death Note sarà realizzata invece da Netlfix.

Il regista Adam Wingard
Il regista Adam Wingard

La regia è dell’ideatore del progetto Adam Wingard, classe 1982, un professionista giovane eppur già con una ragguardevole carriera che affonda le radici nell’horror con uno stile alla David Lynch e Shinya Tsukamoto. Suoi sono i ben riusciti “You’re Next” (2011), “V/H/S” (2012) e “The Guest” (2014).
Deah Note è un importante fenomeno editoriale che risale ai primi anni 2000 e che oltre agli appassionati storici, ormai cresciuti, miete ogni anno nuovi adepti tra i teen ager di tutto il mondo. La trama è assolutamente “emo” e narra di uno studente che trova un quaderno dal potere infernale che consente di decretare la morte di chiunque semplicemente scrivendo il nome della persona condannata sulle sue pagine. Ben presto un acuto ispettore si accorge dell’esistenza di un certo schema e regolarità in casi di morti avvenute in circostanze solo apparentemente casuali e scatta quindi il gioco del gatto e del topo.

Nat Wolff
Nat Wolff

Nel cast ci saranno Nat Wolff , che ha dato prova di essere un perfetto teen ager in “Città di Carta” (2015) ma soprattutto nel precedente strappalacrime  “Colpa delle stelle” (2014) e Margaret Qualley che non ha fatto molto oltre alla serie Tv “The Leftovers – Svaniti nel nulla”, ma che i più attenti ricorderanno nella parte di Raquel in “Palo Alto” (2013) di Gia Coppola sempre al fianco di Nat Wolff.

Margaret Qualley
Margaret Qualley

Continua quindi la prassi di giocare sul sicuro traendo dai fumetti di successo spunti per produrre, la qual cosa fa rivalutare ancor di più operazioni ben riuscite ed originali come “House Of Cards”.